Bose: Vivere in Cristo

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La vita in Cristo è dimensione fondante ogni esperienza di fede cristiana e tende alla divinizzazione. Le note informative sui lavori del convegno di spiritualità ortodossa (Bose, 4-6 settembre) permettono di evidenziare la ricchezza delle relazioni, la continuità nel tempo dell’iniziativa (27ª convocazione) e la presenza di tutte le anime dell’Ortodossia, nonostante le gravi divisioni in atto. 

“Chiamati alla vita in Cristo”: questo il tema del 27° Convegno internazionale di spiritualità ortodossa che si è tenuto presso la Comunità monastica di Bose dal 4 al 6 settembre scorso.

La Comunità di Bose vuole continuare ad essere un luogo ospitale in cui in cui i cristiani, a qualunque confessione appartengano, possano sentirsi a casa, riflettere insieme, dialogare, gioire insieme e soffrire insieme, e insieme cercare vie di pace per vivere la vocazione cristiana nel mondo.

27 convegno spiritualità ortodossa

Come sempre numerosissimi sono stati i partecipanti, vescovi, preti, monaci e monache, laici provenienti dalle diverse Chiese. Numerosi i membri della Chiesa ortodossa greca e russa, ma anche della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, dell’Albania, delle Chiese armena e copta. Tra i partecipanti vi erano anche diversi monaci e monache cattolici, oltre a un discreto numero di laici.

Fratel Luciano, priore della Comunità di Bose, nel saluto iniziale, ha ricordato come la vita in Cristo è la dimensione interiore che fonda ogni comunione ecclesiale, intraecclesiale e interecclesiale.

I lavori del Convegno si sono aperti con la prolusione di fratel Enzo, presidente del comitato scientifico organizzatore dei convegni di spiritualità, il quale ha ricordato come nell’ebraismo e nel cristianesimo la lettura della storia dell’umanità si manifesta come testimonianza di ripetute vocazioni e chiamate da parte di Dio. Dio, anzitutto, chiama all’esistenza le creature del cielo e della terra, chiama l’essere umano alla vita; su questa vocazione alla vita, al lavoro per fare della vita un’opera d’arte, si innesta la vocazione cristiana, la chiamata a vivere «in Cristo».

Come è stato ricordato anche in altre relazioni, la vita cristiana non si riduce a un’etica, è accoglienza della presenza del Cristo dentro di noi fino a raggiungere, come afferma la spiritualità dell’Oriente cristiano, la divinizzazione. Atanasio di Alessandria conia quel detto che verrà ripreso nel corso dei secoli: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio» (L’incarnazione 54,3).

Ci sono ancora profeti?

Le relazioni del primo giorno hanno posto le basi bibliche per l’approfondimento del tema che è stato oggetto di studio nei giorni successivi.

Arsenij Sokolov, biblista e rappresentante del Patriarcato di Mosca a Damasco, ha parlato della vocazione profetica in una bella relazione dal titolo “Le mie parole sulla tua bocca” (Ger 1,9); dopo aver percorso le vocazioni dei profeti nell’Antico Testamento, ha sollevato la domanda attuale e bruciante: «Ci sono ancora profeti tra di noi? Ci sono figure paragonabili ai profeti di Israele, che facciano risuonare nell’oggi l’appello alla santità?».

Il professor John Fotopoulos, dell’Università di Notre Dame (Indiana, USA), si è soffermato sul testo di Paolo nella Lettera ai filippesi 3,13-14: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta». Dimenticare il passato non significa perdere le proprie radici ma fare spazio al seme della Parola che è stato seminato in noi, seme di vita nuova, che poco per volta trasforma le nostre vite e fa di noi creature nuove. Il processo di salvezza è dinamico, come diceva Gregorio di Nissa: «si va da inizio a inizio per una serie di inizi che non hanno mai fine» (Omelie sul Cantico dei cantici 8).

Al termine dell’esegesi del passo paolino, il professor Fotopoulos ha osservato come spesso la Chiesa ortodossa sia tentata di volgersi al passato e di non accogliere le sfide del presente. Ci possiamo domandare se questo non sia vero anche per la Chiesa cattolica.

27 congresso di spiritualità ortodossa

L’appello alla vita in Cristo risuona nella Chiesa, corpo di Cristo. Bassam Nassif, docente di teologia pastorale alla Facoltà teologica di Balamand in Libano, ha parlato della Chiesa come Corpo di Cristo e dei carismi del popolo di Dio. Nella Chiesa i doni sono innumerevoli e diversi; tutti vanno vissuti nell’amore e fatti fruttificare per il bene comune; tutti vanno riconosciuti evitando ogni tentazione di clericalismo che riduce il laicato a una «seconda classe».

Due relazioni hanno considerato il rapporto tra le comunità cristiane e le società nelle quali sono chiamate a vivere. I cristiani non possono limitarsi «a un lavoro filantropico o sociale o alla pura celebrazione di liturgie e teleliturgie; devono essere laboratori viventi e operanti per la salvezza e la divinizzazione dell’uomo», ha detto l’Archimandrita Athenagoras Fasiolo.

Questo tema è stato ripreso dal professor Aristotle Papanikolau (Università di Fordham, New York), il quale ha affermato che «la Chiesa e la polis sono spazi distinti e la comunione divino-umana possibile nella polis non può mai coincidere con la sua pienezza realizzata nella Chiesa… è molto forte la tentazione di utilizzare lo stato e il nazionalismo per assicurare il privilegio dell’ortodossia in una società in nome della deificazione della cultura della e della polis. Ma questa è la tentazione di Giuda, non la politica della divinizzazione cui tutti siamo tutti chiamati».

Perdonare Dio?

Altre due relazioni si sono incentrate sul tema della donna nel cristianesimo. Despina Prassas (Providence, RI negli USA) ha parlato degli incontri di Gesù con le donne, fermandosi in particolare sull’incontro con la samaritana di Gv 4, chiamata nella tradizione ortodossa Potheteinί, «donna di luce».

“Il carisma della donna nella Chiesa” è stato il tema trattato da Julija Vidović (Parigi), un tema assai attuale che deve tener conto dello sconvolgimento antropologico in atto, ha osservato la relatrice, e non ricadere in forme di «clericalismo al femminile».

Il metropolita Ilarion di Volokolamsk, confrontando la tradizione orientale (Nicola Cabasila, xiv sec. e Giovanni di Kronstadt, xix sec.) e quella occidentale (L’imitazione di Cristo, xv sec.), ha concluso che «sia la vita in Cristo nella tradizione ortodossa, sia l’imitazione di Cristo nella tradizione cattolica hanno messo in risalto la stessa idea fondamentale, senza la quale non esiste una vera fede cristiana: il centro della vita di un cristiano è la persona viva del Dio-Uomo Gesù Cristo».

E il Cristo che abita in noi è la fonte della nostra speranza, ha ricordato Andrei, metropolita di Cluj, in Romania: «speranza di incontrare Cristo nell’amore», «speranza che ci aiuta a guardare al futuro con fiducia», sapendo che Dio ci attende al termine del nostro cammino.

La santità non è riducibile a un’etica; nella Chiesa cerchiamo la divinizzazione dell’uomo, un modo di esistenza che ci è stato rivelato nel Figlio, ha dichiarato il teologo greco Christos Yannaras. La vita cristiana è una vita «buona e bella».

Sebastian Brock, dell’Università di Oxford, ha parlato di questa bellezza analizzando alcuni testi di Efrem il Siro (iv sec.): «la salvezza è acquisita una volta che lo specchio interiore del cuore si trovi in stato di pulizia tale da riflettere nuovamente la bellezza dell’immagine di Dio con cui gli esseri umani furono originariamente creati».

Stephen Headley, del Patriarcato di Mosca, ha trattato di questo tema a partire dal Typikόn di san Saba (v sec.), mentre Peter Bouteneff (Istituto teologico St Vladimir, Crestwood, USA) si è soffermato su una particolare dimensione della bellezza della vita cristiana: l’esperienza del perdono. Quando la bellezza dell’immagine di Dio è ottenebrata dall’odio e dall’inimicizia, solo il perdono può restaurarla, ricostruire relazioni fraterne, ristabilire in noi il volto di Cristo. «È bello perdonare, è bello essere perdonati»; solo il perdono ricevuto dal Signore ci consente di aprirci al perdono dei fratelli ma, ricordando l’esperienza di Giobbe e di alcuni santi, il relatore ha aggiunto: «Anche noi, a volte, dobbiamo perdonare Dio!». Per dare forma al corpo di Cristo, Dio ha bisogno di noi, vuole aver bisogno di noi, della nostra disponibilità a perdonare.

Maschio/femmina: famiglia/cenobio

La vocazione battesimale, morire a se stessi per vivere in Cristo, viene realizzata in diverse forme di sequela del Signore, nella via del celibato per il Regno e nella via del matrimonio vissuto nella tensione da parte dell’uomo e della donna a diventare uno in Cristo.

Della vocazione monastica hanno parlato padre Porfirije, del Patriarcato di Serbia, per quanto concerne la tradizione ortodossa, e padre Michel van Parys per la tradizione occidentale; quest’ultimo ha ripercorso le tappe del cammino del profeta Elia, tradizionalmente considerato precursore della vita monastica, leggendo in ciascuna di essa i nodi cruciali del cammino monastico.

Nektarios, metropolita dell’Argolide, riflettendo sulla condizione del monachesimo odierno in Grecia, si è interrogato sulla capacità delle guide spirituali di discernere le motivazioni che conducono un giovane a bussare alle porte di un monastero. A volte la vita monastica è soltanto un luogo di rifugio, a volte si accolgono tutti indiscriminatamente, «sacrificando la qualità alla quantità», «facendo violenza alle coscienze».

27 convegno spiritualità ortodossa

Padre Angaelos, vescovo della Chiesa copta a Londra, originario del monastero egiziano di abba Bishoj, ha offerto una viva testimonianza del monachesimo in Egitto, un monachesimo che non è semplicemente «un capitolo all’interno di un libro di storia», ma una realtà tuttora vivace, testimonianza di una vita cristiana che sa andare «controcorrente e presentarsi come controcultura».

Un’altra relazione si è rivolta a un ambito più specifico: “La vocazione del monachesimo accademico”, fermandosi sull’esperienza dell’Accademia teologica di Kiev.

La vocazione alla santità, alla vita in Cristo è vissuta anche nella vita matrimoniale. John Behr (Istituto St Vladimir, New York) ha ricordato come, nella tradizione ortodossa, durante la liturgia nuziale, gli sposi vengono incoronati «perché stanno entrando nel cammino del martirio. Il matrimonio, proprio come il monachesimo, continua la fondamentale vocazione cristiana al martirio e non ha necessità di essere, né dovrebbe essere assimilato al monachesimo».

Geografia ecumenica dei saluti

Numerosi i messaggi di saluto pervenuti dalle diverse Chiese sono stati letti nel corso del convegno. Il Patriarca ecumenico Bartholomeos, il Metropolita Ilarion a nome del Patriarca di Mosca Kirill, il Patriarca di Antiochia Youhanna X, il Patriarca di Alessandria Theodoros II, il Patriarca della Chiesa ortodossa serba Irinej hanno inviato lettere di saluto in cui hanno espresso la loro gratitudine e la loro vicinanza alla Comunità e ai partecipanti al convegno.

Da parte cattolica, papa Francesco ha voluto inviarci la sua benedizione; anche il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e diversi vescovi ci hanno inviato messaggi di saluto.

Fratel Enzo, presidente del Comitato scientifico dei convegni di spiritualità ortodossa, esprimendo il suo ringraziamento innanzitutto al Signore, poi ai relatori e a tutti i partecipanti al convegno, così ha concluso i lavori di questi giorni: «Desideriamo continuare questo umile servizio alle Chiese, un servizio, che crediamo stia nello spazio della fraternità, della stima e dell’amicizia reciproca, dell’attenzione all’altro, un servizio che sta nel proprio della vocazione monastica, in risposta e in puntuale obbedienza al Signore… Un grazie a tutti voi, che ci incoraggiate con la vostra presenza e il vostro amore a perseverare nella comune sequela del Signore».

L’autrice, Lisa Cremaschi, è una  sorella della Comunità di Bose.

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