Comunità delle Beatitudini: la ripartenza

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La comunità delle Beatitudini è stata riconosciuta dal vescovo di Tolosa, Robert Le Gall, come «Famiglia ecclesiale di vita consacrata» diocesana. L’erezione è avvenuta l’8 dicembre nella casa generale della fondazione a Blagnac (Haute Garonne, Francia).

Il riconoscimento segna, da un lato, un formale “riavvio” della comunità dopo alcuni lustri di faticosa rielaborazione di statuti, metodi e strutture a seguito delle denunce di abusi e del ritiro di molti e, dall’altro, avvia l’applicazione di una novità giuridica da parte della Santa Sede e cioè il riconoscimento formale, in capo al dicastero dei religiosi, di una “famiglia” mista (uomini e donne) e che ha al suo interno preti, consacrati e laici.

Con 763 membri la “famiglia” è organizzata in tre direzioni: 180 fratelli (fra cui 89 preti e 14 diaconi transeunti), 275 suore, 308 laici in maggioranza sposati, ma con 11 diaconi permanenti e 49 celibi. 34 persone vivono un anno di discernimento in vista di una scelta.

La “famiglia” alimenta 50 fondazioni in Francia e in 26 paesi del mondo (Europa, Asia, Africa, Americhe, Oceania e Medio Oriente. Ha una rivista (Feu et lumière), una radio (Radio Ecclesia) e una casa editrice (Edition des Béatitudes). È nota per le sessioni formative, per l’ospitalità spirituale, per le forme di evangelizzazione “di strada” e giovanili.

Una nuova veste canonica

Prima di accennare alla storia della comunità, vale la pena sottolineare la novità giuridica. È una delle prime volte del riconoscimento di una famiglia spirituale in cui la vita fraterna di preghiera e di missione di consacrati, consacrate, preti, laici e famiglie con un medesimo carisma viene approvata nel suo insieme.

Le nuove fondazioni e comunità di questo tipo per decenni facevano riferimento al Pontificio consiglio dei laici. Ora la “famiglia” è in relazione alla Congregazione dei religiosi, in ragione del nucleo centrale costituito dai consacrati con voti.

L’intervento romano per una fondazione che ha ancora un carattere diocesano applica un recente mutamento del Codice di diritto canonico, occidentale e orientale (cf. Settimananew: “Carisma, discernimento e diritto”). Esso impone ai vescovi un obbligatorio parere positivo di Roma, prima di ogni approvazione anche diocesana.

Il dicastero riguardante la vita consacrata ha la competenza sulla vita apostolica, monastica e missionaria di forme di vita cristiane che implicano i voti, la vita comune, il riferimento al carisma del fondatore.

Inoltre si occupa degli istituti secolari: una consacrazione particolare, nata nel 1947, che prevede una testimonianza “nel mondo” (professione, servizio civile o politico ecc.), non vincolata alla vita comune, per essere fermento di Vangelo nella città di tutti. Anche il rinato Ordo virginum (consacrazione con o senza vita comune), di riferimento diocesano, le società di vita apostolica (preti, fratelli o suore con voti o promesse) finalizzate a specifici compiti pastorali e gli eremiti fanno capo al dicastero.

A tutti questi si aggiunge ora la «Famiglia ecclesiale di vita consacrata». Un modello che risponde alle aspirazioni di numerose delle nuove fondazioni che integrano nello stesso carisma e istituzione le diverse vocazioni (uomini–donne, sposati–celibi, preti–laici). La novità maggiore di quest’ultimo modello è la presenza mista (uomini e donne) con i differenti stati di vita. Si tratta di istituti che uniscono in una stessa struttura canonica membri consacrati, chierici e laici.

Tutto nasce in pizzeria

Le Beatitudini si sono orientate verso la struttura di «famiglia ecclesiale» a partire dalla grave crisi che ha attraversato le comunità nel primo decennio del secolo.

Nel 2007 il Pontificio consigli dei laici (il precedente riferimento vaticano) consigliava un profondo rinnovamento degli statuti, avviato e portato a termine con la presenza di un visitatore apostolico (il domenicano Henri Donneaud). I nuovi statuti, approvati nel 2011 (da mons. Le Gall) aprivano sull’orientamento canonico di «famiglia ecclesiale».

La storia comincia prima. Nel 1973, in una pizzeria di Montpellier, si ritrovano due coppie di cristiani protestanti, ambedue coinvolte nel movimento carismatico, con l’esperienza dell’effusione dello Spirito Santo. Una delle coppie è formata da Gérard Croissant (che poi si farà chiamare Ephraïm) e la sposa, Jo. Decidono di vivere in comunità secondo il Vangelo. La comunità cresce rapidamente. Nel 1975 hanno già una fondazione in Italia, Marocco, Congo e in Israele. Alle radici ebraiche danno molto rilievo e il primo nome della comunità lo rivela (Leone di Giuda e l’Agnello immolato).

Nel 1981 cominciano i primi campi estivi per adolescenti, si avvia l’evangelizzazione attraverso le cassette audio. In pochi anni si apre la rivista, la radio e l’editrice. I primi grandi raduni estivi sono del 1983. Si fondano comunità in Russia, Ungheria e Cecoslovacchia. Si inventano forme creative di evangelizzazione dei giovani “distanti”, come «le strade del Signore».

Nel decenni ’90-2000 si moltiplicano le fondazioni in Francia e altrove (Messico, Nuova Zelanda, Vietnam, Stati Uniti ecc.). Un contesto effervescente che suggerisce il cambio di nome in Comunità delle Beatitudini.

La comunione degli stati di vita, la spinta apostolica e missionaria e la dimensione contemplativa proiettano comunità convinte della forza dello Spirito a immettersi nella corrente ecclesiale della nuova evangelizzazione. Nel 1981 la comunità è riconosciuta come «pia unione», quattro anni dopo come «associazione privata di fedeli di diritto diocesano» (mons. R. Coffy), nel 2002 come «associazione privata di diritto pontificio» (per un quinquennio). Nel frattempo, Ephraïm e la sposa diventano cattolici e lui è ordinato diacono.

Effervescenza e crescita

Impressionano positivamente la vita comune, la letizia, la fantasia dei servizi, le testimonianze convinte. Crescono anche le prime fratture e le prime voci di comportamenti illeciti del fondatore e di alcuni dei suoi più vicini collaboratori.

La fase di espansione evidenzia dis-funzionamenti strutturali nel governo e le logiche dei distinti stati di vita entrano in tensioni che non vengono riconosciute. Come la comunità ammette in una lettera pubblica nel 2011: sono apparsi «fragilità, difetti, derive che, senza mettere in questione i valori dell’insieme della missione, hanno gravemente intaccato la sua crescita: pratiche psico-spirituali poco equilibrate, confusione nella vita comune dei differenti stati di vita, problemi di governance, gravi abusi commessi da alcuni. A segnalare il malessere profondo, numerosi membri della comunità (preti, consacrati e laici) abbandonano durante l’ultimo decennio».

Dopo anni di silenzio e di rimozione, arrivano denunce circostanziate e precise contro alcune figure apicali: dal fondatore Ephraïm Croissant (che improvvisamente scompare nel 2007, per trasferirsi in Africa e far perdere le proprie tracce) ad alcuni suoi collaboratori della prima ora come Pierre-Etienne Albert e Philippe Madre.

Emergono i segnali delle deviazioni settarie: dal ruolo indiscusso del fondatore e dei responsabili delle comunità al ricorso assai dubbio a esorcismi davanti a malattie e disagi psichici, dalla gestione personalistica e disinvolta dei fondi comuni all’emarginazione immediata e colpevolizzante di ogni critica. Fino a pretese «notti mistiche» in cui gli abusi sessuali venivano fatti passare per volontà di Dio, in nome di una superiore spiritualità, inarrivabile per i cristiani comuni. Alcuni dei genitori dei partecipanti alle comunità si indignano e cominciano le accuse anche nei tribunali. Ce ne sono in atto ancora una quarantina.

Gli abusi e i nuovi statuti

Nel 2007, il Pontificio consiglio impone la revisione degli statuti e un radicale mutamento delle strutture formative interne e del sistema di governo. Le Beatitudini perdono in pochi anni quasi la metà dei loro effettivi. Suor Anna-Katharina Pollmeyer, presidente della “famiglia” annota: «Riconosciamo totalmente gli errori del nostro passato, legati in parte alla mancanza di maturità ecclesiale. Negli ultimi dieci anni abbiamo fatto tutto quello che potevamo, con l’aiuto di p. Donneaud, per seguire quanto la Chiesa ci domandava», organizzando sistematici incontri «con teologi moralisti per tutti i responsabili delle case e per il governo generale».

Nel 2015 e nel 2019 si celebrano le prime assemblee generali elettive secondo i nuovi statuti. Un cambiamento e un rinnovamento che il dicastero romano e il vescovo locale hanno ora riconosciuti.

La sincera spinta della riforma conciliare ha incrociato la singolare esperienza di un “popolo” che gli aderenti avvertono essere parte del popolo di Dio. «La spiritualità della comunità riconosce al primo posto la vita di preghiera e la ricerca della preghiera continua. Essa ha un posto essenziale nella vita dei suoi membri ed è la sorgente di tutto il loro vissuto. La comunità è fortemente animata dalla convinzione che il Signore viene presto e che si può accelerare il suo ritorno, anticipando il Regno attraverso la lode, la bellezza della liturgia e la vita fraterna.

Si caratterizza per un’apertura ai carismi e ai doni dello Spirito in vista della missione e dell’evangelizzazione. Il suo interesse specifico alle radici ebraiche della fede cristiana apre un particolare spazio alla preghiera per il popolo ebraico e per l’unità dei cristiani. Infine, la devozione e la consacrazione a Maria impregnano tutta la spiritualità delle Beatitudini».

Vivere assieme

Un cammino creativo e doloroso, di grande impatto e sottoposto a dure critiche, permette ora alla presidente, suor Anna-Katharina Pollmeyer, di dire: «La nostra non è una nuova forma di vita consacrata. Siamo come tutti gli altri consacrati nella Chiesa, con gli stessi voti (castità, povertà, obbedienza), le stesse regole del Diritto canonico, le medesime tappe formative.

La novità è che possiamo viverle assieme, uomini e donne consacrate, assieme ai laici associati» (La Croix, 9 dicembre). La loro attesa è per un riconoscimento pontificio, che non sarà immediato.

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