Gesuiti: leggere i segni dei tempi

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giubileo

Quest’anno l’ordine dei gesuiti celebra un anno giubilare in occasione del 500° anniversario della conversione di sant’Ignazio di Loyola. In questa intervista a katholisch.de padre Arturo Sosa, da quasi cinque anni preposito generale della Compagnia di Gesù, spiega perché sant’Ignazio può essere un modello per i credenti di oggi, qual è la situazione attuale della Compagnia, cosa significa lo scandalo degli abusi per i gesuiti e qual è il rapporto del papa con il suo ordine e con lui personalmente.

– Cosa ha da dire sant’Ignazio di Loyola ai credenti dei nostri giorni?

La vita di Ignazio può insegnarci soprattutto due cose: la prima è la grande capacità di cambiare se stesso e la sua vita in modo del tutto inatteso. Sant’Ignazio non si aggrappò spasmodicamente al suo progetto di una vita di successo, ma si lasciò guidare da eventi imprevedibili, come la ferita nella battaglia di Pamplona o il fallimento del suo intento di vivere in Terra Santa, tanto desiderato.

Non si lasciò scoraggiare dai contrattempi e percorse nuove vie. Ebbe in questo fiducia nello Spirito Santo e alla fine fondò i gesuiti. Ignazio ha avuto l’ardire di lasciarsi cambiare confidando in Dio.

– E qual è il secondo punto importante della vita di sant’Ignazio?

Il profondo incontro personale con Cristo. Questo è stato il centro della sua vita ed è anche il centro dell’ordine dei gesuiti e di tutta la Chiesa, ieri e oggi. Come cristiani, siamo chiamati a mettere Cristo al centro della nostra vita, dei nostri sentimenti e delle nostre motivazioni. Ciò fu estremamente importante per Ignazio nella fondazione della Compagnia di Gesù.

Ecco perché noi come ordine ci siamo proposti in questo anno giubilare ignaziano di porre sempre più l’orientamento a Cristo al centro della nostra missione. Di qui il motto di quest’anno: “Vedere tutto nuovamente in Cristo”. Questa inconsueta prospettiva è un arricchimento per il mondo d’oggi.

– Ma la gente di oggi ha bisogno di questo nuovo sguardo di Ignazio per lasciarsi cambiare da ciò che non è abituale?

Assolutamente, perché Ignazio ha esperimentato che Dio era all’opera nella sua vita. Il Concilio Vaticano II ha attribuito ai cosiddetti “segni dei tempi” un significato particolare per la Chiesa. Questo è esattamente ciò che anche Ignazio ha imparato: Dio parla nel presente alle persone, alla Chiesa, e invia loro dei segni per il cammino su cui li invita.

Di fronte allo stato attuale della Chiesa, è particolarmente importante saper leggere i segni dei tempi. Fa parte di ciò anche la capacità di discernimento per riconoscere quali segni provengono realmente da Dio e quali hanno origine da altre fonti, come le ideologie o le idee politiche.

– Soprattutto in Europa e Nord America, ma anche in altri continenti, i credenti chiedono l’apertura del ministero consacrato alle donne e una maggiore partecipazione nella Chiesa. Sono anche questi “segni dei tempi”?

Non c’è nulla in contrario a queste richieste, perché colgono importanti sviluppi nella società. Ma bisogna imparare a leggere se questi sono segni dei tempi in senso evangelico. Dobbiamo chiederci cosa in Germania o in qualsiasi altra Chiesa locale rende la Chiesa di Cristo migliore alla luce della Buona Novella.

Nei segni dei tempi non si tratta di mettersi a proprio agio nel presente e creare meno urti possibili. La Chiesa deve anche prendere le distanze da certe tendenze della società. Perciò è importante imparare a discernere. Ciò significa che è importante scegliere dove andare con lo sguardo di Cristo. Si tratta di lasciarsi guidare dal vangelo, dallo Spirito Santo.

Ma è un compito molto difficile perché non è sempre chiaro ciò che Dio vuole da noi. E occorre del tempo per questo: non si impara a discernere da un giorno all’altro.

– Le decisioni e le dichiarazioni del papa non sono sempre facili da capire e talvolta sono contraddittorie. Ciò fa parte del discernimento degli spiriti? Il papa può essere capito meglio da chi conosce la sua formazione gesuitica e la spiritualità ignaziana?

Sicuramente chi conosce la storia dei gesuiti e la nostra spiritualità può capire meglio il papa, perché in fondo è un gesuita. Ma va anche detto che il discernimento non fu una scoperta di Ignazio. Appartiene al popolo di Dio fin dai tempi biblici.

Anche Gesù conosce questa prassi: ne offre un buon esempio la notte nell’orto del Getsemani, prima della Passione. Gesù si chiede cosa deve fare. Piange, prega e suda sangue, perché prova una grande angoscia davanti alla sofferenza che lo attende. Ma alla fine decide di percorrere questa strada.

Oppure i profeti dell’Antico Testamento: essi hanno un messaggio da proclamare in nome di Dio e, nonostante le avversità, scelgono il modo migliore per svolgere la loro missione. Il discernimento è presente già nella Bibbia e non è un proprium della Chiesa cattolica, ma avviene anche al di fuori di essa per opera dello Spirito Santo.

Credo anche che il sinodo dei vescovi sulla sinodalità e la sua preparazione nelle Chiese locali farà capire meglio quanto nella Chiesa è importante il discernimento degli spiriti.

– Ma lei può capire coloro che non possono mettere in pratica le decisioni e le dichiarazioni del papa perché si basano sul discernimento, ossia su un atto del tutto individuale?

Bisogna tener presente che qui non si tratta del discernimento di una singola persona, ma dell’intera comunità ecclesiale. Perciò è importante promuovere lo spirito sinodale nella Chiesa. Questo riguarda tutti, dai ministri ordinati ai fedeli delle parrocchie. Tutti hanno il compito – nella loro vita personale, ma anche nella comunità ecclesiale – di discernere gli spiriti.

– Come può contribuire l’ordine dei gesuiti allo sviluppo sinodale della Chiesa?

La sinodalità non è un’invenzione di papa Francesco, ma è fondata nel Vaticano II. I Padri conciliari hanno iscritto la sinodalità nel DNA della Chiesa. La costituzione Lumen gentium definisce la Chiesa popolo di Dio in cammino guidato dallo Spirito Santo. Il popolo e la comunità stanno al centro. È solo partendo da questa base che sono descritti i ruoli dei vescovi, dei sacerdoti e dei religiosi nella Chiesa.

Dobbiamo riscoprire e realizzare sempre più questa struttura di servizio e di comunione nella Chiesa. Il contributo di noi gesuiti, particolarmente impegnati nei campi della teologia, dell’educazione e della pastorale, consiste nel dovere di attuare il Concilio Vaticano II. Siamo chiamati a fare quanto oggi è necessario per far progredire la sinodalità nella Chiesa.

– Se guardiamo un po’ alla storia dei gesuiti, qual è il maggior impegno dell’ordine? E dove ha avuto le sue colpe?

Non pretendo di rispondere a questa domanda, perché si tratta di una storia di oltre 500 anni, fatta di innumerevoli persone e migliaia di nuovi inizi. La Compagnia di Gesù era ed è così diversa e differenziata in così tanti paesi che un giudizio del genere mi sembra impossibile.

Questo naturalmente si capisce. Ma riprendo un argomento doloroso: gli abusi che ci sono stati anche nelle parrocchie e nelle scuole dei gesuiti. Rappresenta un grosso problema per l’ordine?

Purtroppo il tema degli abusi è presente anche tra noi gesuiti, ma circola anche in altre strutture e istituzioni. A mio parere, abbiamo reagito energicamente al problema e oggi stiamo facendo tutto il possibile per il bene dei bambini e dei giovani nelle nostre scuole e parrocchie.

Prima di tutto, abbiamo riconosciuto cosa è successo e abbiamo avviato dettagliati processi di elaborazione in molti paesi, ad esempio in Germania, ma anche in Irlanda, Canada, Stati Uniti o in Cile. Per noi era importante fare tutto nel modo più trasparente possibile. Abbiamo chiesto perdono e fatto ammenda.

L’attenzione ora è posta sulla prevenzione. Vogliamo creare un “ambiente sicuro” per tutti nelle nostre strutture, una “cultura del bene del bambino”. Purtroppo, questo non è sempre facile, perché le differenze culturali nei singoli paesi sono molto grandi. Tuttavia, per noi è importante raggiungere ovunque quanto prima un elevato livello di prevenzione e di trasparenza in materia di abusi. Il tempo dell’occultamento è finito.

– In Germania, la Provincia dei gesuiti è stata recentemente sciolta ed è stata creata una sola Provincia dell’Europa Centrale. Il numero delle vocazioni in Europa è diminuito così tanto da rendere necessario questo passo?

In numero dei gesuiti è molto cambiato, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Tuttavia, noi non consideriamo tanto le nostre strutture in relazione ai numeri, ma dal miglior adempimento possibile del nostro mandato.

Negli ultimi decenni, l’Europa si è trasformata in una forte comunità politica dove la comunicazione vicendevole è molto più semplice e le frontiere sono sempre meno importanti. Ecco perché non è più così importante per noi organizzare le nostre province esclusivamente in base ai confini nazionali.

Queste decisioni dipendono anche da come possiamo utilizzare al meglio le risorse per la nostra missione. La creazione della nuova Provincia dell’Europa Centrale è stato un processo di discernimento molto lungo. Fa parte di una serie di accorpamenti simili negli ultimi anni, ad esempio quello di una sola provincia francofona in Europa o di un’unica provincia religiosa in Spagna. Anche in altri continenti sono previsti cambiamenti analoghi.

Queste strutture, inoltre, non sono create per durare in eterno, ma possono essere rimodulate in una ventina d’anni se le circostanze esterne o interne dovessero cambiare. Su questo punto, l’ordine dei gesuiti è un’organizzazione molto flessibile, a differenza dei benedettini, ad esempio, che come ordine hanno delle associazioni di singoli monasteri. In quel caso i cambiamenti sono più difficili.

Noi siamo flessibili anche con le nostre istituzioni religiose. Un esempio: il servizio dei gesuiti per i rifugiati è strutturato a livello internazionale e si adatta alle esigenze attuali. Come cambiano gli itinerari percorsi dei rifugiati, così cambia anche questo servizio.

– Guardiamo i numeri: dove cresce l’ordine e dove è in diminuzione?

Se guardiamo solo ai numeri, l’Europa è sempre il centro della nostra attenzione. Qui però vivono anche i membri più anziani. Le vocazioni in Europa sono relativamente minori rispetto a 75 o 50 anni fa. In Africa, la Compagnia di Gesù ha un altissimo numero di ingressi ed è in costante crescita.

Questo ha a che fare anche con lo sviluppo della popolazione nella maggior parte dei paesi africani, perché lì ci sono molti giovani. In Europa, invece, ci sono meno giovani e quindi meno vocazioni. In America Latina, per così dire, il numero dei gesuiti è rimasto molto stabile, ma un quarto di tutti i gesuiti vive in India: 21 province con più di 4.000 membri.

– Lei è a capo della Compagnia di Gesù. Come riesce a tenere insieme questo ordine i cui membri godono fama di essere grandi individualisti?

(ride) Questo è possibile perché l’unità dell’ordine è garantita non solo dalla sua leadership, ma da ogni gesuita. Noi siamo un corpo e Gesù è il nostro capo, non io come preposito generale. A questo riguardo è particolarmente importante il voto di obbedienza. Ma non è obbedienza ad un’associazione umana, ma allo Spirito Santo, alla nostra missione.

Perciò compito di chi guida non sta nell’impartire ordini, ma nel vedere dove nell’ordine e in che posto ogni gesuita può servire al meglio la nostra missione. Ciò presuppone che tutti i membri dell’ordine siano possibilmente ben formati, e siano in grado di pensare autonomamente e in maniera diversa. La diversità è un tratto distintivo di noi gesuiti. Lo si può vedere nel multiculturalismo della nostra comunità: mai prima d’ora i gesuiti provenivano da contesti culturali così diversi.

Questa è una grande ricchezza, ma anche un’enorme sfida. Dobbiamo sempre chiederci come utilizziamo questa diversità per la nostra missione. Il mio compito di preposito consiste proprio nel mantenere viva questa attenzione.

– Lei ha menzionato l’obbedienza di cui i gesuiti sono celebri. Ma l’obbedienza può anche essere fraintesa…

Certo. Circolano tanti paragoni satirici tra la Compagnia di Gesù e i militari. Ma per noi è esattamente il contrario. Noi non vogliamo un’obbedienza da cadaveri, ma cerchiamo uomini che sappiano pensare e discernere autonomamente. Obbedienza significa cercare insieme come e dove uno può offrire al meglio il suo contributo all’insieme. È quanto ho sempre cercato anch’io durante tutta la mia vita di gesuita.

 – Come preposito generale dei gesuiti, lei ha grandi possibilità di influire e per questo è anche chiamato il “papa nero”. Di recente, lei si è opposto con forza a questa definizione. Perché? È anche una specie di riconoscimento

Non mi piace per niente questa espressione! Perché è l’esatto contrario di quello che i gesuiti considerano nella loro missione. Si vuole dire con questa espressione che il preposito generale dei gesuiti ha un potere simile a quello del santo padre. Ciò non è vero e non posso accettarlo, neanche per scherzo.

I gesuiti vogliono servire la gente e la Chiesa mettendosi a disposizione del papa. Perciò non ci può essere alcun secondo papa. Noi gesuiti facciamo voto speciale di non aspirare ad uffici e titoli ecclesiastici, nemmeno per l’ufficio di vescovo – figuriamoci per la sede papale.

 – Oggi, però, il successore di Pietro a Roma è un gesuita. Qual è il rapporto tra l’ordine e il papa?

Papa Francesco è prima di tutto capo della Chiesa e non un gesuita. Ha trascorso molti anni della sua vita nell’ordine e questo ovviamente lo ha formato – positivamente, immagino. (ride). Ma il rapporto dei gesuiti con lui non è diverso da quello che avremmo con qualsiasi altro papa. Ci sottomettiamo sempre al papa, chiunque egli sia.

Naturalmente c’è anche un altro livello di rapporto con il papa, perché ci conosciamo personalmente, parliamo la stessa lingua e abbiamo una spiritualità simile. Ma il papa è il papa. C’è un enorme rispetto per lui e per il suo ufficio da parte dei gesuiti, ma anche da parte sua per il lavoro del nostro ordine, non solo per i gesuiti, ma anche per gli altri istituti. Papa Francesco è molto vicino a tutti gli ordini e comunità religiose.

– Non c’è quindi alcuna particolare simpatia del papa per i gesuiti?

Spesso nessuno mi crede, ma non ho alcuna linea diretta con il papa diversa da quella degli altri superiori generali. Se voglio parlare con Francesco, devo, come tutti, fare richiesta al suo segretario.

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