
800 chiese registrate con diritto d’uso alla Chiesa ortodossa filo-russa potrebbero passare, se le comunità lo chiedono, alla metropolia rumena di Bessarabia. All’inizio di novembre 11 preti della diocesi legata a Mosca sono stati dimessi d’autorità dallo stato clericale perché sono transitati all’obbedienza canonica alla metropolia rumena.
L’11 novembre un comunicato ufficiale del sinodo della Chiesa filo-russa ha vivamente protestato contro le critiche di fiancheggiamento alla Russia da parte dei media e di alcuni responsabili politici.
La spaccatura fra obbedienza russa e appartenenza rumena allarga la distanza fra le due comunità ortodosse e apre un panorama che potrebbe avvicinarsi a quello della confinante Ucraina (cf. qui).
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La vertenza giuridica che riguarda il diritto d’uso delle chiese ha visto il ricorso del catasto di stato secondo cui la metropolia bessarabica non aveva diritto a subentrare a quella “moscovita” venire rifiutato dalla sentenza della corte d’appello della capitale, Chișinău, sollevando grande attenzione nei media.
Viene messo in discussione un accordo fra la Chiesa filo-russa e il ministero della cultura che datava dal 2003. Più pesante dal punto di vista ecclesiale è la decisione sinodale di laicizzazione di 11 preti che sono passati all’obbedienza della metropolia rumena di Bessarabia. Fra questi figurano arcipreti e igumeni a testimonianza di una deriva non marginale dal punto di vista dei simboli e dell’immagine.
Le comunità parrocchiali formalmente passate alle Chiesa rumena non arrivano a un centinaio ma alimentano le circa 300 parrocchie che già vi appartengono. Numeri che restano inferiori alle circa mille parrocchie di obbedienza moscovita.
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L’attrazione all’appartenenza rumena è legata alla storia di vaste aree del paese (2 milioni e mezzo di persone; cf. qui) che gravitavano su Bucarest e sull’uso molto ampio della lingua rumena, legittimato per legge. Anche se la metropolia di Bessarabia è tornata legale solo nel 1992 la sua crescita è diventata importante dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 e per le crisi interna della diocesi filo-russa.
Una tensione che non ha ancora coinvolto le massime autorità ecclesiali ortodosse di Mosca e Bucarest ma che sta gonfiandosi rapidamente e potrebbe diventare scontro aperto a breve. Il passaggio d’obbedienza canonica dei preti viene censurato in ragione del giuramento di appartenenza formulato nel momento dell’ordinazione e gravato dal sospetto di interessi economici. I preti della diocesi di Bessarabia sono sostenuti dal governo rumeno con circa 200 euro al mese (il salario medio è di 280) che diventano 400 se essi acquisiscono anche la cittadinanza rumena (la legge prevede la legittimità della doppia cittadinanza).
Ma i transfughi addebitano la loro scelta ad una appartenenza storica più antica e in ragione del consenso dei fedeli, soprattutto in seguito alla guerra e al sostegno nicodemico all’intervento russo da parte dei filo-moscoviti (cf. qui).
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Accuse duramente respinte dal sinodo che in un apposito comunicato denuncia le provocazioni denigratorie di responsabili, amministrazioni e media. I vescovi affermano che la Chiesa di Moldavia non è “russa” ma di tutto il popolo moldavo, che essa è libera e indipendente, riconosciuta tale dal patriarcato di Mosca, e che non si è mai opposta come gruppo politico allo sviluppo scelto dalle autorità dello stato democraticamente elette.
«Consideriamo tali dichiarazioni come ostili e pericolose per l’unità sociale e la pace. Chiediamo a tutti i cristiani di essere testimoni e predicatori di pace, d’unità e di amore di una società che ha bisogno più che mai di comprensione reciproca solidarietà e d’amore, non certo di divisione e di odio».
Da parte della metropolia bessarabica non c’è stato alcun commento se non la difesa della scelta libera dei preti e l’affermazione che le censure nei loro confronti non hanno alcuna validità né giuridica né canonica.





