Don Massimo Nardello è un presbitero dell’Arcidiocesi di Modena – Nonantola. È docente stabile straordinario presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Emilia (dal 1991), docente a tempo pieno presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio Emilia (dal 1992) e docente incaricato annuale presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna in Bologna (dal 2004). È membro del Consiglio di presidenza dell’Associazione Teologica Italiana. È stato senior fellow presso il Martin Marty Center della Divinity School dell’Università di Chicago per l’anno accademico 2016-2017. Il suo campo di ricerca riguarda prevalentemente l’ecclesiologia e la teologia del processo. Cura la rubrica «Viaggio nel vocabolario di papa Francesco» per il settimanale diocesano di Modena Nostro tempo.
Uno degli aspetti più originali dello stile di Papa Francesco è il suo modo di comunicare semplice ed immediato. I suoi predecessori, in linea con una prassi consolidata, avevano scelto di entrare in dialogo con le comunità cristiane e con le società civili prevalentemente attraverso interventi ampi e talora complessi. In questo modo hanno potuto offrire una presentazione chiara, almeno per gli addetti ai lavori, della visione della Chiesa cattolica sulle innumerevoli complesse questioni che interessano la vita ecclesiale e civile. In effetti, soltanto se si utilizza un linguaggio tecnico preciso, e quindi necessariamente non elementare, e se si sviluppano compiutamente argomentazioni di un certo respiro diventa possibile chiarire adeguatamente la propria posizione su tematiche di un certo rilievo, minimizzando così i rischi di fraintendimenti, almeno involontari.
Il limite di questo approccio è che rende gli interventi dei pontefici piuttosto complessi, almeno per il grande pubblico. In un mondo in cui la comunicazione, soprattutto quella televisiva e dei social network, tende drasticamente verso la semplicità – pensiamo ai pochi caratteri che si possono utilizzare su Twitter –, interventi molto articolati o dal lessico specialistico rischiano di passare inosservati, o di suscitare interesse solo per quegli eventuali dettagli marginali che la stampa ritiene possano attirare la curiosità dei lettori. Anzi, una comunicazione complessa finisce per suggerire l’idea che sia l’esperienza cristiana in sé stessa ad essere difficile, non solo da vivere ma prima ancora da capire. Questo, però, rappresenta un esito molto pericoloso. Se il compito della Chiesa, e in particolare dei vescovi, è quello di divulgare il Vangelo e di portare nell’ambito pubblico la sapienza che ne deriva, il linguaggio impiegato deve essere funzionale a tale scopo.
Papa Francesco, sia per la sua lunga pratica del ministero pastorale a diretto contatto con tutti i tipi di persone, sia per il suo evidente desiderio di recuperare un dialogo più proficuo con il mondo intero, ha scelto – o meglio, ha continuato ad avere – un approccio comunicativo diverso, improntato alla semplicità e all’immediatezza. Gli stessi suoi documenti ufficiali, sebbene contengano proposte ben più articolate delle omelie, dei discorsi e delle interviste, sono comunque molto più leggibili rispetto al passato, al punto che possono essere realmente accostati da un’ampia porzione di persone. Il messaggio implicito nell’uso di questo linguaggio è molto chiaro: il cristianesimo è per tutti e può essere compreso da tutti. Se ne può mostrare la verità e la bellezza con parole molto semplici, non c’è nulla di complicato.
Questo modo di comunicare consente a papa Francesco di entrare quasi in un rapporto diretto con le persone, perché parla come loro. Le parole che utilizza sono esattamente quelle con cui la gente “normale” comunica quotidianamente. Anche la frequenza dei suoi interventi, a cui anche i pontefici precedenti ci avevano abituato, viene incontro ad un’esigenza del mondo odierno. Oggi comunicare raramente significa non comunicare affatto, e Francesco difficilmente fa mancare un suo contributo, magari molto breve, quasi tutti i giorni. Di particolare importanza è la sua predicazione quotidiana nell’eucaristia celebrata a Santa Marta. Essa non solo incarna la forma originaria dell’insegnamento magisteriale, chiamato a custodire e a trasmettere la fede della Chiesa, ma consente al papa di sviluppare un dialogo spirituale continuato con i fedeli delle varie Chiese locali e con uomini e donne non cattolici ma interessati comunque al suo messaggio.
Un ulteriore vantaggio di questo stile comunicativo è che trasmette l’idea di una Chiesa trasparente. Nelle interviste che il papa rilascia si coglie bene che, almeno per quanto dipende da lui, non ci sono misteri. Egli dice quello che pensa, senza troppi filtri o cautele di natura diplomatica, condividendo il suo pensiero con il suo interlocutore. È quello che avviene nelle relazioni interpersonali caratterizzate da una certa fiducia, e palando in questo modo il papa dà credito al mondo intero.
Tuttavia questo modo semplice e immediato di comunicare ha i suoi limiti. Esso dà per scontata un’ampia serie di convinzioni e di idee che restano sullo sfondo ma che non possono essere dimenticate per comprendere il senso autentico delle parole di Francesco. Del resto, questo avviene anche all’interno delle relazioni più immediate, come quelle familiari. Se in questi contesti sono sufficienti parole molto semplici per comunicare è perché ci si conosce bene, e quello che ciascuno dice viene compreso correttamente dagli altri perché sanno ciò che è rimasto implicitamente sullo sfondo. Insomma, ci si capisce perché ci si vuole bene. Anche papa Francesco deve essere ascoltato in questo modo, cioè con quell’affetto che fa intuire ciò che non ha esplicitato. È proprio questo affetto che consente di superare una lettura “letteralista” dei suoi interventi che si ferma rigorosamente a ciò che ha affermato esplicitamente e che finisce così per identificarlo come un Papa che reinventa pericolosamente la fede della Chiesa.
Questo significa che, contrariamente alle apparenze, il magistero di Papa Francesco è molto complesso, non per le parole utilizzate, ma per l’affetto che richiede. Esso va compreso anzitutto a partire dalla fede ecclesiale, che può evolvere ma solo in modo graduale e sinodale. Va poi collocato sullo sfondo delle vicende personali di Francesco, cioè delle caratteristiche teologiche e pastorali della Chiesa argentina e della spiritualità gesuitica che lo hanno generato e fatto crescere.
Nel percorso che iniziamo con questa rubrica mensile cercheremo di ascoltare con affetto alcune parole o frasi di papa Francesco, cercando parimenti di ricostruire il non detto, cioè quell’insieme di presupposti teologici e pastorali che una comunicazione semplice ed immediata deve dare per scontato.