I Avvento: Un’attesa piena di speranza

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Da questa domenica prima di Avvento saranno i commenti biblici di sr Grazia Papola ad accompagnarci per il prossimo triennio. Suor Grazia è suora orsolina di san Carlo. Ha conseguito il baccalaureato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, la Licenza in sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico e il dottorato in Teologia Biblica alla Pontificia Università Gregoriana. Insegna alla Facoltà teologica di Milano e all’ISSR San Pietro Martire di Verona, di cui è anche direttrice. Ringraziamo don Luca Passarini, direttore di “Verona fedele”, per averci concesso di riprendere i commenti biblici di sr Grazia, pubblicati sul settimanale diocesano.

Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina […] State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo. (Lc 21,25-28.34-36)

Nel tempo di Avvento, le letture del Vangelo hanno una loro caratteristica propria: si riferiscono alla venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica), a Giovanni Battista (II e III domenica); agli antefatti immediati della nascita del Signore (IV domenica). Il ricordo dell’originaria venuta e l’attesa di quella ultima e definitiva orientano il nostro sguardo a riconoscere i segni del continuo venire del Signore nella nostra vita e nella nostra storia.

Il vangelo di Luca, tratto dalla parte finale del discorso escatologico di Gesù, aiuta a domandarsi in che modo vivere nell’attesa del Signore. La nostra attesa infatti non nasce semplicemente da un’assenza, ma da una venuta. Il Signore è sempre il veniente, che rimane però sempre diverso rispetto ai nostri tentativi di catturarlo e di ridurlo nei confini ristretti delle nostre attese e dei nostri bisogni. Inoltre, il suo venire ci muove sempre e ci converte a un andare verso di lui.

Segni di salvezza, non di condanna

All’inizio, attraverso immagini tipiche che nell’AT sono usate per parlare del giudizio ultimo di Dio, sono annunciate trasformazioni radicali nel cielo e sulla terra e sconvolgimenti di tutta la natura. Luca sottolinea in particolare gli effetti provocati sugli uomini: gli sconvolgimenti esterni sono come il riflesso di quelli interiori degli uomini. L’angoscia dei popoli è il terrore quasi selvaggio di chi non trova più certezze o sostegni, di chi non spera più, di chi vive sospeso senza vie di uscite, sperimenta la perdita di senso e fugge in un desiderio di morte.

Se avverrà così per gli uomini che non credono, diversamente accadrà per i credenti che sapranno leggere gli stessi eventi come segni non di condanna, ma di salvezza.

Viene infatti annunciato l’evento definitivo, davanti al quale tutto, per chi crede, acquista senso. Colui che viene è il Figlio dell’uomo, colui che è stato rifiutato e osteggiato, ma che è stato obbediente fino alla morte. Per coloro che credono la storia sarà sanata dalle ferite del Crocifisso; il Figlio dell’uomo non è il giudice terribile davanti al quale venir meno per la paura, ma colui che, con la sua venuta, li libererà definitivamente.

Il Figlio dell’uomo viene «con potenza e gloria», ma il discepolo sa che la sua potenza non è violenta, non opprime e non condanna; è il re che rende testimonianza alla verità e che, per servire ad essa, dà la vita. Potenza e gloria manifestano il povero e indifeso Amore crocifisso che è stato trasfigurato nella risurrezione, diventando il senso ultimo e decisivo della vita e della storia.

Dunque, la speranza alimenta la nostra attesa e sostiene la perseveranza, la capacità di restare saldi, nonostante la fatica, sicuri della sollecitudine di Dio che è sempre vicino.

Il discorso si conclude con alcune indicazioni più precise su come vivere nel presente, rendendo feconda l’attesa. Si tratta di fare attenzione e di vegliare e pregare.

L’oggetto dell’attenzione è il cuore, luogo da custodire perché tende ad appesantirsi «in dissipazioni, ubriachezze e affanni».

Luca sottolinea la necessità di fare attenzione al modo con il quale ci si rapporta con le cose quotidiane. La vita non deve impadronirsi del cuore, al contrario, il cuore deve rimanere sobrio e vigilante. Un cuore appesantito soffoca la speranza e rende il giorno del Figlio dell’uomo un laccio, un tempo che coglie di sorpresa come giudizio di condanna e non come tempo propizio di liberazione.

La vigilanza si fa preghiera

In positivo, ciò che occorre fare è “vegliare pregando”. Lo spazio dell’attesa è fatto di ascolto, di dialogo, di preghiera.

La vigilanza cristiana si nutre della preghiera che apre alla fede nell’attesa del tempo di Dio, permettendo di stare in piedi senza aver paura di guardare il Figlio che viene. La vigilanza, in fondo, è proprio il farsi attenti ai segni di novità che abitano già la storia, è innanzitutto una conversione dello sguardo, del nostro sguardo sul mondo, sulla storia, sulla nostra vita.

La prospettiva della fine aiuta a guardare ai giorni presenti in un’ottica di verità e a sapere attendere. Noi conosciamo la meta ed è questo che ci permette di non smarrirci nel cammino, ma di restare saldi e di continuare nella fedeltà. Noi sappiamo di non attendere semplicemente un tempo o un luogo migliori, ma di andare incontro a una persona che viene lui stesso, per primo, incontro a noi.

Viviamo l’attesa con speranza, figura della fede e della libertà, che ci permette di anticipare nelle azioni e nei gesti quotidiani il senso ultimo della vita e della storia che è dato dalla fedeltà e dalla dedizione di Dio.

La speranza ci fa vivere ogni momento della vita con profondità, con uno sguardo che va oltre, con un continuo affidamento.

I gesti comuni e quotidiani, il lavoro, la vita in famiglia o in comunità e ogni evento diventano il segno e il luogo di qualcosa che va oltre ciò che appare ai nostri occhi banale e comune. Saranno il segno di un impegno più grande, di una testimonianza al dono della vita, di un servizio a una comunione più ampia.

E, infine, la speranza è continuo stupore, che fa abbandonare i propri criteri di ciò che è giusto e conveniente per accogliere Colui che viene.

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