
«Nelle Chiese locali, a partire dalle piccole comunità ecclesiali e dalle parrocchie, è fondamentale offrire opportunità di formazione che diffondano e alimentino una cultura del discernimento ecclesiale per la missione, in particolare tra quanti ricoprono ruoli di responsabilità. Altrettanto importante è curare la formazione di figure di accompagnatori o facilitatori, il cui apporto si rivela assai spesso cruciale nello svolgimento dei processi di discernimento» (Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” n. 86).
La parola formazione risuona molte volte nel testo sinodale: come renderla una prassi reale? La diocesi di Treviso ha avviato un percorso interessante che merita attenzione.
La proposta
Il vescovo Michele Tomasi nomina un parroco come vicario per le Collaborazioni pastorali e un docente di pedagogia sociale, marito e padre di quattro figli, come delegato per le stesse.
«Le Collaborazioni pastorali sono una forma stabile di collaborazione tra parrocchie, chiamate a far maturare, nel contesto ecclesiale e socio-culturale, la loro identità e missione di comunità cristiane mediante un cammino condiviso e coordinato, a partire da un comune progetto pastorale» (Diocesi di Treviso, Norme e orientamenti delle CoPas, 2016, p. 15).
Il vicario e delegato ascoltano per sei mesi nodi, bisogni, sentimenti, incontrando consigli di collaborazione e gruppi di presbiteri. Questa prima raccolta informale di bisogni è riletta e condivisa attraverso il confronto con tre luoghi di pensiero: il consiglio pastorale diocesano e il consiglio presbiterale; il gruppo di lavoro per le collaborazioni pastorali; la commissione teologica creata appositamente per questo scopo.
Da questo secondo ascolto, nasce una prima proposta di contenuti, metodi e strumenti organizzativi, in collaborazione con la scuola diocesana di formazione teologica. Nascono così due giornate (di sabato), così strutturate. Tutti i membri dei consigli pastorali parrocchiali (insieme ai presbiteri) sono convocati in quattordici sedi vicariali. Da una di queste sedi è trasmessa la formazione, in contemporanea per tutti; seguono dei laboratori a gruppi coordinati da facilitatori precedentemente preparati. I consiglieri si fermano per il pranzo; la formazione prosegue anche al pomeriggio.
Nelle due giornate sono stati proposti questi temi: la fede cristiana è per sua natura “ecclesiale” (una biblista); le forme della comunione e la missione della Chiesa (un pastoralista); la struttura della Chiesa per la missione (un canonista); le dinamiche decisionali, sinodali e il consigliare all’interno della Chiesa universale e particolare (un canonista); opportunità e criticità nelle diverse forme di vivere i Consigli (un parroco); l’attenzione all’ascolto nell’esperienza del consigliare (una componente del consiglio pastorale diocesano).
Un passaggio determinante è stato quello della comunicazione e della promozione della proposta formativa: oltre all’invito recapitato a tutti i parroci, sono stati coinvolti i ventotto referenti vicariali presenti nel consiglio pastorale diocesano.
Dopo la prima giornata, questi stessi referenti sono stati interpellati per una prima verifica organizzativa, così da migliorare alcuni aspetti in vista della seconda giornata.
Dopo la seconda giornata, è stato inviato a tutti uno strumento di valutazione, suddiviso in sei sezioni: contenuti, metodologia dei lavori di gruppo, organizzazione, clima generale e pranzo, cambiamenti e arricchimenti, soddisfazione generale. Dei 1402 partecipanti, sono giunte 580 risposte.
I risultati della valutazione sono stati oggetto di analisi da parte del consiglio pastorale diocesano.
In seconda battuta, alcuni membri dello stesso consiglio si sono resi disponibili per una sintesi a partire da quanto emerso dai laboratori, secondo cinque nodi relativi alle Collaborazioni pastorali: compiti dei consigli di collaborazione e dei consigli parrocchiali, in relazione tra loro; relazioni tra consigli, comunità cristiana e territorio; sinodalità e processi decisionali; percorsi di rinnovo dei consigli; costruire “comunità di comunità”.
Il lavoro finale è consegnato alla commissione teologica, per proseguire con la formazione dell’anno successivo.
Il valore formativo
Rileggendo i risultati delle verifiche, è possibile sottolineare alcuni dati di valore. Decisiva è la figura del facilitatore: si è scelto, infatti, di proseguire per il 2025 con una formazione specifica per questa figura. Si è individuato, di fatto, un nuovo ministero battesimale, confermando così l’esperienza sinodale, che si pone a servizio della qualità relazionale di un gruppo.
È stata apprezzata la presenza dei presbiteri: la formazione è stata condivisa anche con i ministri ordinati, come da tempo si invoca.
La presenza di gruppi da parrocchie diverse ha permesso la conoscenza reciproca, di fatto realizzando quella “collaborazione” che fa da nome alla riorganizzazione territoriale: ogni riforma passa prima di tutto dallo scambio personale.
I lavori di gruppo sono stati apprezzati, anche se il tempo è sembrato ridotto: ancora una volta, l’ascolto chiede tempo e non è mai sprecato quello investito per lo scambio della fede.
La gradualità nell’introdurre un tema nuovo va rispettata: una formazione richiede capacità di “design” più che di programmazione (Belli), perché la vita stessa chiede di essere accompagnata secondo il suo farsi, non di essere costretta dentro piani prestabiliti.
La comunicazione dell’iniziativa si è appoggiata sulle persone e non solamente sul digitale, segno che questo canale, per quanto affaticato, non può mai essere dimenticato.
La contemporaneità della formazione, nel rispetto del territorio, ha rivelato la forza di una presidenza diocesana, così da realizzare «un’esperienza di Chiesa, anche per la presenza di qualche parroco, per niente scontata, e per la presenza del vescovo dall’inizio alla fine delle giornate: ci si è sentiti parte di una comunità più grande e accompagnati da una diocesi viva e in cammino».
La convivialità del pranzo ha permesso di vivere uno spazio gratuito, prima poco sperimentato.
Il processo di costruzione (ascolto dei bisogni, confronto diocesano, approfondimento teologico, continua verifica, rilancio diocesano), in una circolarità virtuosa che non è stata interrotta (cosa del resto frequente in processi di questo tipo) ha permesso di fare passi significativi nell’accompagnamento del ruolo del consigliere pastorale e della sua appartenenza alla Chiesa diocesana.
«Il dato più significativo che emerge dalle risposte inviate è la maggiore consapevolezza del ruolo e della responsabilità dei membri dei consigli di partecipazione della vita pastorale. Tale consapevolezza viene descritta sia in termini di «presa di coscienza» dei compiti assegnati ai consiglieri, sia come chiarezza, anche terminologica, delle competenze affidate ad un Consiglio. Conoscere meglio le funzioni del consigliere permette anche di esprimere con maggiore serenità il proprio punto di vista sulle questioni oggetto della consultazione.
L’altro dato che emerge con insistenza nella maggior parte delle risposte alla verifica è il sentirsi/riconoscersi parte di una Chiesa diocesana nella quale non solo i singoli, ma anche le diverse parrocchie sono chiamate a camminare insieme. «L’appartenenza» a qualcosa che oltrepassa la singola comunità cristiana (parrocchia), cioè alla Chiesa diocesana, è collegata e rinvia all’esperienza del “camminare insieme”».
La Parola di Dio ha avuto un posto centrale nelle giornate formative: l’ascolto del testo biblico, con l’aiuto di una biblista, ha risvegliato il desiderio di prendersi cura della propria crescita interiore, come bene prezioso, troppo spesso trascurato nell’agenda organizzativa parrocchiale.
In sintesi, la formazione che la diocesi di Treviso ha avviato rappresenta un’interessante pratica di sinodalità, in grado di accompagnare il cambiamento della forma di presenza della Chiesa su un territorio attraverso il cambiamento delle rappresentazioni di Chiesa delle persone coinvolte; il valore effettivo dato agli organismi di partecipazione, a partire dal loro ascolto, diventa segno fecondo di una forma nuova di comunità cristiana.





