Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Dopo il discorso inaugurale di Gesù nella sinagoga di Nazaret, che ha tracciato il programma generale del suo itinerario e ci ha dato la chiave di lettura per comprendere il suo ministero, e dopo la chiamata dei primi discepoli, questa domenica incontriamo un altro discorso di Gesù.
Gesù, sceso dal monte, sul quale aveva trascorso la notte in preghiera, si ferma in un luogo pianeggiante, con i discepoli che aveva costituito apostoli e lì viene circondato da una grande folla, tra cui – come affermano i versetti omessi – c’erano molti malati, i quali, appena riescono a toccare Gesù, sono guariti da una forza misteriosa.
Tutti vogliono ascoltarlo, toccarlo, sentirlo vicino e in una cosa tutti erano concordi: aspettavano una vita diversa, nuova, migliore di quella che conducevano, e speravano di poterla trovare attraverso quell’uomo venuto da Nazaret.
La verità della predicazione della buona novella non è testimoniata solo da quanti fanno una professione pubblica, siano essi malati guariti o peccatori perdonati, come è raccontato nei testi che troviamo nel vangelo tra il testo della scorsa settimana e quello di oggi. Coloro che testimoniano la loro fede nella buona notizia sono anche poveri, affamati e afflitti di ogni genere, che, proprio per la loro condizione di mancanza e di disgrazia, sembrano desiderosi di intendere l’annuncio di Gesù.
Costoro fanno la loro professione di fede attraverso l’accalcarsi insistente intorno a Gesù e la speranza mai delusa di trovare sollievo dalle loro pene.
Gesù, vedendo quella folla, non resta insensibile e pronuncia uno dei discorsi più sconvolgenti, le cui parole non sono astratte, e non sono il manifesto di una nuova ideologia e neppure un’esortazione rivolta a un gruppo di uomini particolarmente coraggiosi.
Le quattro beatitudini sono infatti formulate alla seconda persona plurale. Beati sono proclamati uomini concreti, che sono davanti a Gesù, e tutti coloro che ascoltano e si sentono direttamente interpellati da questa parola: non il povero in generale, ma proprio tu, che sei povero, o afflitto, o affamato, sei destinatario della beatitudine.
La beatitudine non nasce dalla condizione di miseria o di malattia in cui costoro si trovano, essa consiste nel fatto che Dio ha scelto di occuparsi di loro: il regno è dei poveri, sin da ora, perché Dio sta con loro. Così è per i malati e i deboli: essi, pur nel dramma e nella sofferenza, non debbono essere più disperati perché Dio li ha scelti come suoi amici e su di loro riversa la sua misericordia.
Gesù sa che i poveri, quelli che hanno fame, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati, conoscono la fragilità della vita, sentono il bisogno di essere salvati e aspettano l’aiuto e la salvezza di Dio.
Chi invece è ricco e sazio, chi riceve solo lodi, difficilmente attende un cambiamento radicale della propria vita, difficilmente sente il proprio limite e la radicale debolezza e facilmente pensa di non aver bisogno di nessuno.
Il vangelo, perciò, con un procedimento a contrasto, aggiunge ai quattro «beati voi», altri quattro «guai a voi»: guai a voi ricchi, guai a voi sazi, guai a voi che ora ridete, guai a voi quando tutti vi diranno bene. Non sono una minaccia, ma una lamentazione, un appello accorato.
La serie dei quattro «guai» è come il compianto di Gesù: il mondo non avanzerà per coloro che accumulano denaro, la terra nuova non fiorirà dalle mani di coloro che sono sazi. Chi è sazio non crea, si difende e dalle sue mani verrà solo altra fame, altra violenza.
«Guai», perché nelle situazioni elencate è più facile sentirsi autosufficienti e per nulla bisognosi, neppure di Dio. Il ricco, che è in ognuno di noi, rischia di essere talmente ripiegato su di sé da restarne imprigionato.
«Guai», allora, quando lasciamo prevalere il ricco che è in noi. Gesù non vuole esaltare la povertà in sé stessa e neppure condannare la ricchezza in sé stessa. La salvezza, non dipende dal proprio stato, ma nel sentirsi, o meglio nell’essere, figlio di Dio.
Il desiderio della felicità è una delle componenti più profonde dell’essere e dell’agire umani. Ogni uomo cerca la pienezza. Ma qui il discorso sulla felicità si esprime in brucianti contrasti: beati i poveri, gli affamati, i piangenti.
Vuol dire che dietro le beatitudini si nasconde un misterioso capovolgimento, che consiste nel passare dall’avere all’essere, dall’essere al dare, dall’avere per sé all’essere per gli altri. Scoprendo la dinamica di questo passaggio, l’uomo raggiunge il segreto di Dio, che così diventa il segreto dell’uomo: essere-per-un-altro, donarsi.





