V Quaresima: E le pietre caddero dalle loro mani

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Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Condannare o perdonare?

Ci avviciniamo alla conclusione del pellegrinaggio quaresimale: partiti dal deserto, in sosta sul monte e poi due volte lungo la strada verso Gerusalemme, siamo arrivati in città, nel tempio. La scorsa domenica Gesù ha raccontato una parabola, che metteva a tema la misericordia del padre nei confronti di due figli.

Il brano della odierna liturgia prosegue nello svolgere il motivo della misericordia, ma da un’angolazione in parte differente. Questa volta Gesù è interpellato su un caso concreto, relativamente all’applicazione della norma prevista dalla legge di Mosè e interviene in prima persona.

Il suo intervento è duplice: è nei confronti della donna, che non viene condannata, ma alla quale è offerta una nuova possibilità; ed è nei confronti degli accusatori, dei quali è rivelata l’ingiustizia, nascosta dietro l’apparente ricerca di giustizia.

Gesù si trova nel tempio, nel luogo in cui più che in altri si manifesta e si celebra la verità e la giustizia, in cui abita il nome di Dio, Giusto e Misericordioso, e, circondato dalla folla, insegna.

Gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in flagrante adulterio. Essi la pongono nel mezzo, isolata tra gli accusatori minacciosi e la folla che era là ad ascoltare Gesù, e sola: nessuno l’accompagna per dire una parola in suo favore.

Le prime parole rivolte a Gesù nascondono il fatto che la sentenza sia stata già presa e paiono indicare in Gesù il giudice chiamato a dirimere il caso. È un caso evidente, la colpa è pubblicamente riconosciuta, per essa la legge è chiara e prevede la morte (Lev 20,10; Dt 22,22-24).

L’evangelista smaschera l’inganno, annotando che si tratta di una prova macchinata contro Gesù per avere di che accusarlo. Dunque, è accusata una donna, per poter accusare Gesù. Dietro l’apparente ricerca di giustizia, la punizione di un adulterio, si nasconde in realtà un’intenzione subdola, trovare un capo di accusa contro Gesù, perché egli è in realtà innocente e dunque non perseguibile.

A questi uomini, in realtà, non importa nulla della donna e neanche della giustizia da esercitare nei suoi confronti. La donna è semplicemente uno strumento per tendere un tranello. Ora, se Gesù approva la condanna a morte, contraddice la sua predicazione improntata sulla misericordia di Dio. Se non l’approva contraddice la legge di Mosè e dunque è accusabile di bestemmia. Presentargli la donna, inoltre, aumenta il peso della prova, perché il caso è concreto e Gesù è costretto necessariamente a pronunciarsi.

Segni sulla polvere

Gesù sceglie una strada differente, compiendo un gesto simbolico, alla maniera dei profeti. Si china per terra e traccia dei segni sulla polvere. È un gesto misterioso e difficilmente spiegabile, al quale sono state date numerose interpretazioni già a partire dai Padri della Chiesa. Tra le molte spiegazioni una mi pare più suggestiva e forse anche più in linea con la presentazione complessiva che i vangeli fanno di Gesù.

L’evangelista non dice solo che Gesù scrive per terra, ma dice due volte che si china. Scrivere d’altronde può essere semplicemente un tracciare dei segni, uno strisciare col dito sulla terra. Gesù, dunque, si curva fino a lasciare delle impronte sulla terra. Di fronte a giudici così sicuri delle proprie certezze e della legge e così insistenti, si pone come colui che si confonde con la terra, fino a lasciarvi le sue impronte. Egli non sa fare a meno di coinvolgersi fino in fondo con la situazione umana e tragica dell’imputata e non si arroga il ruolo di giudice. Nel suo gesto è sottintesa la domanda se sia davvero giustizia quella che viene amministrata basandosi sulla verità innegabile del fatto, senza tener conto della persona accusata, senza che il giudice sintonizzi il suo cuore al cuore dell’imputato.

Se è giustizia quella di coloro che sono ricorsi a lui, la stessa misura deve valere pure nei loro confronti, per cui chi è impeccabile cominci a colpire la donna colpevole.

In questo modo Gesù smaschera un’ingiustizia occultata. Per tutelare dei diritti, infatti, si può rischiare di conculcarne altri. In questo caso solo la donna è considerata responsabile, e non è sottoposta a un processo che accerti i motivi del suo gesto. Il suo caso, inoltre, serve per trovare un’accusa contro un innocente. Il limite intrinseco della norma è quando la legge è applicata solo nei suoi elementi legali, senza tener conto delle circostanze e delle finalità della legge stessa, del suo spirito, che è sempre quello di proteggere l’uomo.

Smascherare l’ingiustizia nascosta è un gesto di verità e dunque di salvezza per coloro che, in questo modo, possono evitare di commettere quell’ingiustizia. In questo caso, senza di fatto condannare i suoi avversari, Gesù opera nei loro confronti un’azione di liberazione e, appunto, di salvezza

C’è anche un ulteriore aspetto. L’adulterio è considerato dalla legge mosaica una colpa grave, perché rappresenta una deviazione seria del rapporto che dovrebbe permettere la vita.

Di fronte a questa grave deviazione che tocca la relazione di vita, Gesù rifiuta però la fine prematura per mezzo di una condanna a morte del colpevole. Questa fine non coincide mai con il modo in cui Dio trae il bene dal male: la morte è un arresto della storia a cui Dio non si è mai deciso.

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