
Perché il santo Popolo di Dio possa testimoniare a tutti la gioia del Vangelo, crescendo nella pratica della sinodalità, ha bisogno di un’adeguata formazione: anzitutto alla libertà di figli e figlie di Dio nella sequela di Gesù Cristo, contemplato nella preghiera e riconosciuto nei poveri. La sinodalità, infatti, implica una profonda coscienza vocazionale e missionaria, fonte di uno stile rinnovato nelle relazioni ecclesiali, di nuove dinamiche partecipative e di discernimento ecclesiale, e di una cultura della valutazione, che non possono instaurarsi senza l’accompagnamento di processi formativi mirati. La formazione allo stile sinodale della Chiesa promuoverà la consapevolezza che i doni ricevuti nel battesimo sono talenti da far fruttificare per il bene di tutti: non possono essere nascosti o restare inoperosi (Documento Finale del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità del 26.10.2024, n. 141).
È una sorta di “taccuino di viaggio”. Il primo di una serie di “piccoli libri” facenti parte della nuova collana Passi di sinodalità, pubblicata dalla Editrice Queriniana di Brescia e curata dal teologo venezuelano Rafael Luciani – professore ordinario all’Università cattolica “Andrés Bello” di Caracas e docente straordinario al Boston College School of Theology and Ministry Massachusetts – e dalla teologa italiana Serena Noceti (professoressa stabile ordinaria di teologia sistematica all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana).
È fresco di stampa e ha un titolo accattivante: Sulla via. Una Chiesa tutta sinodale. Parlare, infatti, di via in un contesto di Chiesa tutta sinodale significa, da un lato, richiamare l’appellativo «uomini e donne della via» (At 9,1) con il quale i cristiani erano anticamente definiti in quanto seguaci del Signore Gesù – «via, verità e vita» (Gv 14,6) – che «insegna la via di Dio con verità» (Mc 12,14); dall’altro, rimandare ad un’esperienza cristiana aperta e dinamica da vivere non da soli ma come popolo in cammino verso il Regno di Dio in unione all’intera famiglia umana.
Si tratta di un sussidio agile e divulgativo, breve ed essenziale, che della collana Passi di sinodalità costituisce l’Introduzione. È scritto da due persone particolarmente apprezzate per la loro competenza teologica su tematiche ecclesiologiche e accomunate dalla condizione laicale, dall’attaccamento alla Chiesa e dal loro impegno professionale a mettersi instancabilmente al servizio delle Chiese locali e della Chiesa universale.
È impreziosito dalla Prefazione di papa Francesco, il quale ci ricorda che la sinodalità definisce costitutivamente «l’essere e l’operare di tutta la Chiesa» e che una Chiesa sinodale comporta «una conversione della nostra mentalità e delle nostre pratiche» (p. 5).
Prima di presentarne struttura e contenuti, è utile soffermarsi sulla collana Passi di sinodalità.
Una proposta editoriale di straordinario interesse
Indubbiamente una collana di grande interesse, la cui prospettiva è quella di «iniziare alla sinodalità» ogni comunità, prendendo in esame i soggetti, le dinamiche e le strutture richieste da una Chiesa costitutivamente sinodale.
Il piano complessivo della collana prevede la pubblicazione di 28 brevi libri scritti da esperti. Ogni volume affronterà un tema specifico in chiave monografica. Unirà una trattazione organica delle questioni e delle tematiche alla flessibilità e semplicità di utilizzo. Sarà articolato in due parti: “pensare la sinodalità”, raccogliendo quanto biblisti, teologi e pastoralisti hanno scritto su di essa e “per una iniziazione alla sinodalità”, offrendo proposte concrete su tre direttrici interconnesse (conversione sinodale personale, rinnovamento ecclesiale in prospettiva sinodale, riforma delle strutture pastorali perché diventino realmente ed efficacemente sinodali).
È previsto che nove titoli della collana siano riferiti ai soggetti di una Chiesa sinodale: Donne e uomini laici in una Chiesa sinodale; Giovani in una Chiesa sinodale; Il ministero della coppia in una Chiesa sinodale; Vescovi e presbiteri in una Chiesa sinodale; Diaconi in una Chiesa sinodale; Religiose e religiosi in una Chiesa sinodale; La leadership delle donne in una Chiesa sinodale; Teologhe e teologi in una Chiesa sinodale; I ministri istituiti in una Chiesa sinodale.
Undici titoli si soffermano sulle dinamiche di una Chiesa sinodale: Il sensus fidei di tutto il popolo di Dio; L’arte dell’ascolto: La conversione nello Spirito; Superare i conflitti in una Chiesa sinodale; Autorità e potere in una Chiesa sinodale; Discernere comunitariamente; Sinodalità e inculturazione; Liturgia e sinodalità; Sinodalità e democrazia; Cultura digitale in una Chiesa sinodale; Sinodalità e accountability; Sinodalità ed ecumenismo.
Otto titoli riguardano le strutture necessarie ad una Chiesa sinodale: Una parrocchia sinodale; Una diocesi sinodale; Consigli e sinodalità: discernere e decidere; Le assemblee locali, diocesane, nazionali, continentali; Un seminario sinodale; Riforma sinodale e diritto canonico; Il sinodo diocesano; Riforma del papato in una Chiesa sinodale.
Un’idea, quella di dar vita alla collana Passi di sinodalità, di straordinaria importanza ai fini della recezione degli orientamenti espressi dal Documento finale del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità del 26 ottobre 2024 che, approvato da papa Francesco, partecipa del suo magistero ordinario e, come tale, va accolto.
Utilizzati con intelligenza, pazienza e costanza, i quaderni potranno rivelarsi uno strumento particolarmente efficace e prezioso per accogliere l’esortazione di papa Francesco contenuta nel messaggio per la Quaresima del 2023: «essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità» e per sostenere la fase attuativa del processo sinodale, anche in vista dell’Assemblea ecclesiale che si celebrerà in Vaticano nell’ottobre 2028.
Struttura del libro
Della collana Passi di sinodalità il piccolo libro di Rafael Luciani e Serena Noceti Sulla via. Una Chiesa tutta sinodale approfondisce in modo esemplare l’idea di sinodalità negli otto brevi e succosi capitoli della sua Prima parte (pp. 27-127): essere Chiesa del terzo millennio significa edificarci come Chiesa sinodale (cap. 1); la sinodalità è il frutto più significativo della maturazione dell’ecclesiologia del popolo di Dio sviluppata dal concilio Vaticano II (cap. 2); la Chiesa è costitutivamente sinodale (cap. 3); la Chiesa si edifica sinodalmente soprattutto a livello locale (cap. 4); il popolo di Dio – nel suo insieme di laici, religiosi e clero – può e deve contribuire ad affermare e consolidare stile e prassi sinodali (cap. 5); le dinamiche comunicative (ascolto, dialogo, discernimento, restituzione) in un contesto ecclesiale ispirato alla sinodalità (cap. 6); la costruzione del consenso in una Chiesa sinodale (cap. 7); questioni aperte, nodi problematici e sfide da affrontare sul piano della spiritualità, della teologia e della prassi, perché la sinodalità possa realizzarsi ed essere compresa come cammino di popolo e come polifonia ecclesiale animata dalla forza creativa dello Spirito (cap. 8).
Nell’intento di segnalare «un cammino da fare insieme per una iniziazione alla sinodalità», la Seconda parte (pp. 131-143), offre tre schede – pensate per momenti di riflessione personale, ma utilizzabili anche in piccoli gruppi – vertenti su tre temi cruciali e interconnessi: maturare a livello individuale una visione più chiara e un’adesione più profonda all’essere Chiesa sinodale (conversione personale); apprendere e sperimentare comunitariamente la sinodalità per riplasmare in prospettiva sinodale il volto delle nostre comunità e l’agire pastorale (rinnovamento ecclesiale in prospettiva sinodale); operare con coraggio e creatività per creare strutture e procedure sinodali adeguate alla visione di Chiesa del Vaticano II (riforma sinodale delle strutture pastorali).
Della Prima parte del saggio di Rafael Luciani e di Serena Noceti mi limito ad evidenziare alcuni contenuti che a me sembrano di particolare rilievo.
Il carattere normativo della categoria popolo di Dio
La sinodalità è riconoscere il carattere normativo della categoria popolo di Dio che, riportata in auge dal concilio Vaticano II, dal 1985 si era andata offuscando nel magistero e nelle trattazioni teologiche. Ridando slancio alla fruttuosa circolarità tra popolo di Dio e gerarchia e affermando la pari dignità di tutti i credenti in Cristo in una corresponsabilità differenziata, la sinodalità è destinata a smontare la logica piramidale tipica dell’ecclesiologia preconciliare che ancora alberga, anche inconsciamente, nell’intimo di molti pastori, operatori pastorali e fedeli (pp. 28-29).
È impressionante leggere, a 60 anni dalla conclusione del concilio Vaticano II, quanto il teologo Yves Congar scriveva nel 1963, ma che in realtà sembra scritto oggi: «Siamo ancora lontani dall’aver tratto le conseguenze della riscoperta, in linea di principio fatta globalmente, del fatto che tutta la Chiesa è un unico popolo di Dio e che i fedeli la compongono insieme con i chierici. Noi abbiamo, implicita e inconfessata, o addirittura inconscia, l’idea che la Chiesa è fatta dal clero e che i fedeli ne sono solamente i beneficiari o la clientela. Questa orribile concezione si è impressa in così tante strutture e abitudini da sembrare scontata e impossibile da cambiare. È un tradimento della verità. C’è ancora molto da fare per declericalizzare la nostra concezione della Chiesa» (p. 33).
Sinodale: la definizione più completa di Chiesa
Incontrando il 29 luglio 2022 a Québec i gesuiti del Canada, papa Francesco disse che il sintagma Chiesa sinodale gli sembrava persino ridondante, dal momento che «la Chiesa o è sinodale o non è Chiesa».
In effetti, la sinodalità sembra essere il modello ecclesiale che risponde a quella che papa Paolo VI il 29 settembre 1963, nel suo discorso di apertura della seconda sessione del Vaticano II, auspicava come «definizione più completa» di Chiesa (p. 47).
Una Chiesa costitutivamente sinodale
L’Instrumentum laboris della sessione sinodale dell’ottobre 2023 parla di sinodalità come di «dimensione costitutiva della Chiesa» (n. 26) e utilizza per la prima volta l’espressione «una Chiesa costitutivamente sinodale» (§ B.3.1).
Anche l’Instrumentum laboris della sessione dell’ottobre 2024 parla di sinodalità come di «dimensione costitutiva della Chiesa» (n. 5), mentre il Documento finale della seconda sessione afferma che «la sinodalità, dimensione costitutiva della Chiesa, è già parte dell’esperienza di tante nostre comunità» (n. 12).
L’uso dell’avverbio costitutivamente, che precede l’aggettivo sinodale – scrivono il prof. Luciani e la prof.ssa Noceti – «cerca di evitare che la sinodalità sia intesa alla stregua di una mera pratica di indole funzionale e organizzativa, a discrezione di chi esercita l’autorità». Ed aggiungono: «parlare di una Chiesa costitutivamente sinodale è un modo di concretizzare il classico principio medievale […], secondo cui quel che riguarda tutti, da tutti deve essere discusso e approvato» (pp. 71-72).
Detto in altri termini, la Chiesa costitutivamente sinodale non è – come scrive Dario Vitali nell’inserto del mensile Vita pastorale del marzo 2025 p. VI – «un’altra Chiesa o, come si usa dire oggi, un altro modello di Chiesa, ma più semplicemente e più radicalmente, la Chiesa che finalmente emerge da una recezione serena e matura del concilio Vaticano II».
Il primo livello di esercizio della sinodalità ha luogo in una Chiesa particolare
Il popolo di Dio non è una massa informe e inarticolata. Esso esiste nelle Chiese particolari e a partire dalla Chiese particolari. E la forma sinodale di Chiesa va pensata a partire dall’insieme delle Chiese locali dove essa nasce e cresce nell’ascolto della Parola, nella partecipazione all’eucaristia e nella testimonianza della carità, sotto la presidenza del vescovo e del suo presbiterio.
Ad affermare che «il primo livello di esercizio della sinodalità ha luogo in una Chiesa particolare» è un importante Documento del 2 marzo 2018 della Commissione teologica internazionale, dal titolo La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (p. 81).
Una conseguenza di tale visione è rinvenibile nella «giusta comprensione dell’identità e della missione del ministero gerarchico» al quale va conferito «un carattere di servizio transitorio, storico, temporaneo, piuttosto che ontologico, ma non escatologico o autoreferenziale», con la conseguenza, ad esempio, che ha poco a che vedere con uno stile sinodale la prassi di ordinare vescovi che non hanno un legame vero con una Chiesa locale o che sono «impegnati in una discernimento della dottrina senza pastoralità» (p. 82), correndo il rischio di parlare sempre al popolo di Dio senza mai ascoltarlo (p. 84).
Dalla suddetta visione deriva altresì la necessità di «coinvolgere il popolo di Dio nella sua totalità in tutti i processi di conversione e di riforma che la Chiesa intraprende», dal momento che lo Spirito parla a tutti attraverso diverse mediazioni, come l’ascolto assiduo della Parola, la preghiera, la carità vissuta, la rilettura credente degli avvenimenti della vita e della storia, ma anche come il confronto e l’espressione serena dei vari punti di vista (p. 86).
Prestare attenzione al sensus fidei e al sensus fidelium
«Lo Spirito Santo – lo ricordava papa Francesco nell’udienza generale del 9 aprile 2014 – è l’anima e la linfa vitale della Chiesa e di ogni cristiano».
Si può ascoltare lo Spirito solo quando è effettivamente riconosciuta la dignità battesimale di ciascun fedele del popolo di Dio (p. 94), dotato di «identità e stili di vita diversi» (p. 91). Per essere in grado di ascoltare lo Spirito, a tutti i soggetti di una Chiesa sinodale va riconosciuta la stessa dignità battesimale (p. 93).
Il sensus fidei, che è «una sensibilità donata dallo Spirito a ciascuno per percepire e comprendere la fede», «si attiva quando si esercita come sensus fidelium, ovvero nell’interazione di e tra tutti i fedeli in dinamiche quali la consultazione e l’ascolto, il discernimento comune e le decisioni condivise» (p. 90).
Dal momento che «lo Spirito parla alle Chiese locali per mezzo dell’interazione delle tante e distinte soggettività umane dei fedeli» (p. 91), i pastori (vescovi e presbiteri) devono «prestare attenzione al sensus fidelium, che è la voce viva del popolo di Dio» (p. 91) e che «può rivelarsi un fattore importante nello sviluppo della dottrina» (p. 92).
E, per prestare attenzione al sensus fidelium, è necessario disporre di adeguati «mezzi attraverso i quali consultare i fedeli», rafforzando e rendendo obbligatori quelli già esistenti, come i consigli pastorali diocesani o parrocchiali, e crearne di nuovi affinché tutti, con procedure adeguate, «possano essere coinvolti e partecipare ai processi decisionali», nella consapevolezza che «è per mezzo della Chiesa intera che la fede apostolica è sostenuta dalla potenza dello Spirito» (p. 92).
L’importanza dell’ascolto e del dialogo in una Chiesa sinodale
È impossibile immaginare una conversione sinodale della Chiesa «senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del popolo di Dio» (p. 98). Ma perché questa partecipazione attiva sia efficace è necessario attivare pratiche e dinamiche comunicative idonee a far sì che i vari soggetti che partecipano allo sviluppo della vita ecclesiale possano interagire «organicamente e comunitariamente, sia a scopo consultivo che deliberativo» (p. 99).
In una Chiesa sinodale una dinamica comunicativa fondamentale è l’ascolto reciproco, che non è fine a sé stesso, ma serve a generare «processi personali e comunitari che possono portare a cambiamenti reali, tanto nelle mentalità quanto nelle strutture, perché nella reciprocità che gli è intrinseca, richiede il passaggio dall’io al noi» (p.100). Ascolto che non è semplice consultazione e diventa dialogo creativo non solo caratterizzato da apertura fiduciosa all’altro, intenzionalità di lavorare e pensare insieme, empatia, rispetto reciproco, natura partecipativa, dimensione generativa di visione e di relazioni, ma anche produttivo di «una nuova comprensione più ricca e più profonda del vangelo che genera la Chiesa» (p. 104).
«La forza del dialogo sta nel rifiutare di privilegiare una singola voce, prospettiva, ideologia e riconoscere il valore dell’apporto di molte voci indipendenti ma indirizzate mutuamente/reciprocamente» (p. 107).
La restituzione: una dinamica comunicativa non priva di sfide
Nel processo sinodale (2021-2024) è emersa una nuova dinamica comunicativa. È stata chiamata restituzione, nel senso che con essa si “restituisce” ciò che è stato ascoltato ed è stato oggetto di discernimento da parte di tutti e da ciascuno nelle Chiese locali. In questo modo, la restituzione entra a far parte del modo di procedere di una Chiesa sinodale, che deve sempre cercare il consenso di tutto il popolo di Dio attraverso processi organici di interazione e di comunicazione tra tutte e tutti. Si può dire che essa sostenga tutto il processo sinodale. La scelta della restituzione non risponde a un criterio organizzativo, ma a un principio sinodale. La fiducia è che, entrando in questo dinamismo di restituzione, ad ogni tappa possiamo crescere in una mentalità sempre più sinodale e rafforzare la prassi del camminare insieme, che è il principio fondante di una Chiesa costitutivamente sinodale.
«L’incorporazione della restituzione nei processi sinodali fa sì che essi non si concludano necessariamente con un’immediata opera di accoglienza o di approvazione, aprendo la possibilità di continuare il processo fino al raggiungimento del consenso di tutti i fedeli (consensus omnium filelium)» (p. 113).
Ascoltare soprattutto…
Una Chiesa sinodale è in debito di ascolto senza pregiudizi soprattutto nei confronti di alcune categorie di persone.
Vanno ascoltati i laici, riconoscendoli come veri compagni di cammino, «per il loro apporto – in carismi, competenze professionali, esperienze di vita – unico e insostituibile» (p. 118). Ad essi ci si deve rivolgere con linguaggi «diversi da quello usuale in ambienti clericali ed ecclesiali, quelli di una quotidianità di lavoro, di vita familiare, di economia e politica, quelli in uso negli ambienti digitali, quei linguaggi cioè che laici e laiche adoperano nel quotidiano» (p. 118).
Vanno ascoltate le donne, le cui parole, grazie al concilio Vaticano II, sono diventate in ambito ecclesiale pubbliche, autorevoli e competenti, ma rimangono non adeguatamente prese in considerazione a causa del retaggio androcentrico e patriarcale che ancora affligge la Chiesa cattolica (p. 118).
Vanno ascoltati i giovani che spesso esprimono profondo disagio «in una Chiesa retta non raramente da una gerontocrazia» (p. 118) non disponibile, ad esempio, ad introdurre «cambiamenti nella liturgia che diano più spazio all’esperienza, all’emozione, ai linguaggi simbolici e al corpo» (p. 119).
Vanno ascoltati quei gruppi di credenti che, forse perché «esprimono critiche» (p. 117), sono per lo più lasciati ai margini della vita ecclesiale.
Un ascolto particolare va riservato ai religiosi e alle religiose che, con la loro secolare esperienza di sinodalità vissuta, possono essere di grande aiuto nel «rinnovamento delle parrocchie e delle diocesi, favorendo l’idea di ruoli di autorità assunti solo per un periodo, a rotazione, mostrando l’efficacia di unire il potere dell’uno (superiore/a) al contributo costante di un gruppo di consiglieri e a momenti assembleari che coinvolgono tutti (capitoli)» (p. 120).






Desidero puntualizzare che il teologo venezuelano Rafael Luciani, professore ordinario all’Università cattolica “Andrés Bello” di Caracas, non è più docente straordinario al Boston College School of Theology and Ministry Massachusetts.
Purtroppo quella che si definisce arbitrariamente “novità dello Spirito ” o “soffio dello Spirito ” non si è ancora affermata ed è già vecchia. Forse poteva avere un senso parlare di sinodalita’ o coinvolgimento di tutto il “popolo di Dio” dopo il Concilio, intendo negli anni ’70, ’80 quando, sulla spinta del protestantesimo, fiorivano i vari movimenti ecclesiali dove forse per la prima volta i laici prendevano coscienza del loro sacerdozio battesimale, dei loro carismi da mettere al servizio della Chiesa e scoprivano forse per la prima volta la ricchezza e la bellezza della Parola di Dio. Quel tempo è passato e ad oggi tutti i Movimenti sono piuttosto in crisi. Ora i bisogni e le esigenze dei credenti sono altre. Molto più spirituali direi. C’è infatti una riscoperta dei valori tradizionali e della sana dottrina, insieme alla preghiera e al senso del sacro. Qualcuno lo faccia capire ai Padri Sinodali. Sono fuori dal tempo. È tardi ormai
Vero. Ma non si ha voglia dell”arcigna morale che i valori tradizionali del cattolicesimo si portano dietro tra cui una visione gerarchica del cose che non ascolta le persone ma parla e fa per loro. Non è lo stesso senso del sacro di una volta. Non avvertirlo ripensando che le vecchie formule possano ancora funzionare è piuttosto ingenuo.
Non ritengo che la sinodalita’ sia un frutto del Vaticano II, perché altrimenti non potrebbe essere dimensione costitutiva della Chiesa, la quale esiste da ben prima dell’ultimo concilio. Il Vaticano II ha ripulito il Vangelo da incrostazioni storiche e quindi la sinodalita’ è riapparsa nella sua bellezza e concretezza. Personalmente ritengo che tutte le figure della Chiesa (popolo, corpo e tempio, ecc…) vadano bene per sostenere la sinodalita, seppur quella maggiormente organica mi appaia quella di corpo. Il clericalismo non c’entra nulla, esso è un prodotto del narcisismo odierno.
Se si vuole sul serio procedere ad una radicale riforma occorre debellare il clericalismo. Che non è il singolo prete che abusa sessualmente di un bambino o di una donna. Ma è un sistema di potere basato sul sacro che affligge la chiesa da circa 1600 anni con una tipologia di abusi molto varia: abusi di potere, abusi di coscienza, abusi spirituali, abusi dottrinali, abusi economico-finanziari ed anche abusi sessuali, quest’ ultimi sono quelli più evidenti ma non i più pericolosi. Il processo di declericalizzazione deve riportare la comunità ecclesiale dentro una dimensione di laicità evangelica, purificando ogni struttura (dottrina, codice di diritto canonico, liturgia, spiritualità, …) dalle indebite incrostazioni sacrali che ne hanno deturpato l’originaria funzionalità evangelica. Riforme profonde nella dottrina quindi, nelle norme canoniche, nella prassi liturgica, in ogni elemento della spiritualità. Non basta parlare di concilio, di sinodalitá, di missionarietá, di chiesa ministeriale e di chiesa partecipata. Queste parole devono essere riempite di gesti concreti, di atti di governo, di norme giuridiche, di nuova dottrina, … È inutile, tanto per fare un esempio, “concedere” il sacerdozio ordinato alle donne, se non si sottopone l’identità dottrinale dei presbiteri e dei vescovi ad una sostanziale riformulazione dottrinale. Si otterrebbe un clero femminile accanto al clero maschile. Ed invece è la sostanza dell’essere clero che deve cambiare e cambiare di parecchio. Faccio presente che il clero nemmeno esisteva nelle prime comunità ed a quell’epoca ogni ministero non aveva alcuna caratteristica sacrale. Gesù stesso non era un sacerdote nel senso che allora (ed ancora oggi purtroppo) si da a questo termine. Nessuno dei ministri nei primi secoli si faceva chiamare sacerdote. Ma tutta la comunità partecipava del munus sacerdotale di Gesù Cristo. Il quale ha rivoluzionato il sacerdozio (in particolare) ed ha abolito (in generale) ogni regime di separatezza sacrale. Così come per il sacerdozio, lo stesso è avvenuto per gli altri due munera, quello profetico e quello regale. Cristo è re, sacerdote e profeta in maniera radicalmente innovativa rispetto alla concezione che all’epoca si aveva. Ma questa rivoluzione ebbe vita breve. Con l’avvento del clericalismo le giovani comunità cristiane ritornarono in una dimensione clericale-sacrale e subirono la perdita di ogni caratteristica di laicità. Per lunghissimi secoli la laicità fu dimenticata e trionfò la sacralità. Ogni struttura ecclesiale ha subito un processo di sacralizzazione o clericalizzazione che ha provocato esiti nefasti ed anti evangelici. Tutto è stato clericalizzato. La chiesa vive, pensa, si muove, legifera, celebra, prega, in un regime di separatezza sacrale ossia di dominante clericalismo. Insensibile ad ogni sollecitazione proveniente dallo Spirito e dalle voci profetiche che si levano dal basso. E dai segni dei tempi che da almeno 400 anni emergono dalla laicità del mondo. Il periodo di flebile e lenta transizione, iniziato 60 anni fa con il CVII, è un periodo che andrebbe vissuto con più coraggio e determinazione, senza la paura di uno scisma tradizionalista, che di fatto è in atto e che non può essere arginato se sul serio si vuole salvaguardare l’esigenza del Vangelo. Ogni cautela ed ogni moderazione si sono rivelati dei modi per mascherare una stagnazione, degli espedienti per non procedere sulla strada di una convinta declericalizzazione. Il nodo principale risiede nel moderatismo dei vescovi che fingono equilibrio e prudenza, ma in realtà sono aggrappati ai privilegi che il sistema di potere clericale assegna loro. Ci sono interi episcopati, come ad es. quello statunitense, che si trovano su posizioni reazionarie e boicottano ogni stimolo proveniente da Francesco. Questo è il vero grande problema della chiesa odierna: il sistema di potere basato sul sacro che blocca ogni riforma e che ha come principali attori (più o meno visibili e più o meno conservatori) i nostri vescovi, saldamente avvinti alle loro cattedre episcopali. Il nodo di ogni seria azione riformatrice passa dai vescovi. Sono loro che detengono il potere e sono loro i principali responsabili dello stato in cui versano le nostre comunità. La conversione deve avere luogo innanzitutto nella coscienza di ogni vescovo, inteso come singolo individuo e come corpo episcopale.
Stare insieme (syn) sulla strade (odos), camminare insieme non è forse l’essenza della chiesa? Di quale moda stiamo parlando? Ma questa è verità che finalmente emerge.
L’essenza della Chiesa (maiuscolo, please) è data dalla relazione con il Signore, o no? Rispetto dunque a popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito, il “camminare insieme”, proprio perché non esprime l’essenziale, risulta bisognoso di fondamento, di precisazione, di qualifica
Il camminare insieme non esprime l’essenziale? Quindi ognun per se e Dio per tutti. Dio è relazione e la teologia trinitaria lo spiega molto bene. Quindi la chiesa è innanzi tutto relazione umana nella relazione divina. L’esempio di relazione divina dovrebbe essere d’esempio nelle relazione umane. E’ evidente che dove c’è relazione c’è comunicazione. Quindi una chiesa che comunica fra le sue parti è una chiesa trinitaria. La sua idea di chiesa gerarchica è un’idea non più idonea alla realtà. E quindi va cambiata come un vestito che è piaciuto tanto ma che il tempo ha liso senza pietà. Mi consenta poi un’ultima battuta: il suo approccio molto rigido ha poco di 68ino. Non posso che notare la contraddizione tra un certo formalismo e un nickname che lascerebbe intendere l’esatto contrario..
Dove vede lei la Chiesa “gerarchica” in popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito? Puro concilio vaticano II: e di qui il 68… reso felice dalla conversione rispetto a quella data, così vicina alla mia giovinezza e al concilio stesso
Quello che non si capisce nella sinodalita’ e’ chi ascolta chi . Chi sceglie le persone che partecipano al Sinodo. Non possono essere che un infinitesimo campione del grande “popolo di Dio” . Allora anche con la sinodalita’ si creano due gruppi, un piccolo gruppo che partecipa al Sinodo,e un enorme gruppo che non vi partecipa . Il piccolo gruppo di chi partecipa puo’ quindi essere identificato col “popolo di Dio ” ? Direi proprio di no . Sarebbe suberbo e ridicolo che i 1000 partecipanti al Sinodo delle CEI pensassero di rappresentare i cattolici italiani nella loro totalita’ . Anche i vescovi erano pochi ,148. E gli altri vescovi ? A un Sinodo dei vescovi non dovrebbero essere presenti tutti i vescovi italiani ? Stiamo invece assistendo ad una elite dia di vescovi che fi laici che pretendono di decidere in nome di tutti .
Visto che lei la sa sempre così lunga perché non si è inserito in una delle migliaia di gruppi sinodali nati in tutto il paese a portare il suo contributo? Io l’ho fatto ed stato un crescendo e alla fine ciò che è nato in un piccolo gruppo della città di Milano è arrivato fino a Roma. Si rilegga il programma e le modalità di azione.
Chi non fa non può criticare chi ci prova.
Quali sono i criteri con cui sono stati scelti i laici “profetici”? Uno alla fine si fida, pero’ sarebbe carino sentire meno enfasi. Gia’ e’ impegnativo seguire la politica laica, figurarsi quella ecclesiale…
Quello di chi aveva voglia di fare invece di lamentarsi solo.
io non ho potuto per la combo:
– trasferimento quasi obbligato in una nuova parrocchia a causa di problemi familiari. Abbandonare la parrocchia dove ero stato per 17 anni non è stato bello;
– e nella nuova non sono riuscito a inserirmi presto, anche a causa della pandemia (perchè ovviamente è molto intelligente fare una ‘consultazione capillare’ durante il periodo pandemico…).
A me sarebbe piaciuto, ma non ho potuto
La sinodalità come “definizione più completa” di Chiesa? Per carità. Dopo aver ritrovato la fede, sono ancor più convinta che corpo di Cristo, popolo di Dio, tempio dello Spirito santo siano definizioni e modelli ben più importanti, prioritari, fondamentali, decisivi, belli del funzionalistico “sinodalità”. Capisco la moda, ma mettiamo ordine nelle parole e nelle cose (magari ricordandoci anche di quel che diciamo nel credo la domenica: una chiesa anzitutto sinodale, ma non santa o non cattolica, che assemblea è?)