La fiducia

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La fiducia resterà per noi uno dei doni più grandi, più rari e più gioiosi della convivenza umana; e tuttavia essa potrà nascere solo sullo sfondo oscuro di una necessaria diffidenza (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa).

Viviamo un’epoca in cui le sfide della vita ci avvolgono da ogni lato; siamo immersi nelle nostre paure, nelle nostre debolezze, e nelle complessità delle situazioni che affrontiamo, sia a livello personale che sociale.

Proprio in questi tempi di incertezza e disorientamento, la virtù che emerge come indispensabile è la fiducia. La mancanza di fiducia diventa evidente in situazioni di crisi e di fragilità, oggi sempre più diffuse, che si rivelano una “presenza scomoda” lungo il cammino dell’esistenza. La fiducia diviene così una luce guida, una forza che può aiutarci a fronteggiare le difficoltà con speranza e a trovare stabilità in mezzo alle incertezze.

Sentiamo l’urgenza, nel nostro tempo, di riscoprire e coltivare la fiducia, un bene tanto desiderato dal mondo moderno e senza il quale rischiamo di sprofondare in un vortice di solitudine e malinconico individualismo.

Urgenza di riscoprire la fiducia

Infatti, una delle più profonde malattie spirituali che affliggono l’umanità contemporanea – un male che racchiude in sé molte altre problematiche e lascia segni tangibili nella vita delle persone – è la crescente tendenza all’individualismo.

Si cerca la propria felicità senza riguardo per quella altrui, mantenendo una distanza difensiva dagli altri, quasi temendo un contatto. Numerosi fattori hanno contribuito a creare questo clima culturale, tra cui spiccano una mentalità utilitaristica e, talvolta, un forte orientamento edonistico.

Quando non ci si percepisce come parte di un unico corpo sociale e non si riconosce nell’altro un alleato anziché un avversario, qualcuno la cui prosperità è intimamente connessa alla propria, si perde l’occasione di supportarsi reciprocamente e di valorizzare quei beni immateriali e vitali che solo le relazioni possono generare.

Questi tesori, illimitati poiché legati alla volontà umana e non all’esaurimento di risorse materiali come un giacimento, si rivelano preziosi oltre ogni misura.

La fiducia è l’opposto della diffidenza, che oggi pare permeare molti rapporti. La fiducia non rappresenta soltanto una fonte essenziale per la vita di ciascun individuo, ma è anche il fondamento indispensabile per creare comunità solide e orientate al bene comune. Solo legami diffusi e basati sulla fiducia possono dar vita a realtà collettive coese e capaci di progettualità condivisa.

Aspetto storico-linguistico

Dal punto di vista linguistico, la parola “fiducia” rischia, passando di bocca in bocca, di essere banalizzata, di perdere il proprio significato autentico o di vederlo distorto. Tuttavia, grazie a chi scommette realmente sulla fiducia, essa può invece acquisire nuovo valore, poiché espressioni come “avere fiducia”, “dare fiducia”, “guadagnarsi la fiducia”, “godere della fiducia” e “perdere fiducia” rappresentano esperienze in cui il soggetto è coinvolto profondamente, tanto da trasformare la propria esistenza e arricchire l’ambiente che lo circonda.

In senso positivo, chi possiede e concede fiducia gode dei benefici della reciprocità che questo atteggiamento porta con sé, trovando naturale esporsi con ragionevolezza. Al contrario, perdere la fiducia degli altri diventa preludio alla perdita di fiducia in sé stessi e segna il primo passo verso la rinuncia ad investire le proprie energie in qualsiasi direzione. In ogni caso, lasciarsi permeare dalla fiducia o respingerla provoca sempre una trasformazione profonda.

È importante recuperare alcuni aspetti storico-etimologici legati alla fiducia. Per i Greci, pistis indicava non solo la fede, ma anche la fedeltà, la credibilità e persino una garanzia economica offerta a qualcun altro. Da qui nasce una prima riflessione: la fiducia che può dar vita a comunità aperte e accoglienti è un’attitudine che esige un impegno reale e concreto.

Pistis è anche la personificazione della Lealtà, rappresentata dalla dea omonima. Questo sostantivo femminile deriva dal maschile pistos, un termine ancor più potente e deciso che, per i Greci, si riferisce inequivocabilmente a “colui che non tradisce”. Eschilo, infatti, nell’Agamennone – dramma incentrato sulla guerra – attribuisce esclusivamente al pistos il privilegio di stringere patti.

Inoltre, il verbo greco pisteuo, in attestazioni più tarde come quella del grammatico Polluce, stabilisce un legame tra fiducia e verità, per cui chi è degno di fiducia diventa, quasi per sillogismo, “colui che dice il vero”, e viceversa. Pertanto, la fiducia che costruisce una Chiesa e una società aperte richiede un impegno reale, un’energia concreta, e una fedeltà incrollabile alla verità e agli impegni assunti.

Rilevanza etica della fiducia

La fiducia è una realtà complessa e multiforme, difficile da definire pienamente sul piano teorico. Essa si manifesta innanzitutto come una risposta interiore, una disposizione profonda dell’anima. Solo riconoscendo questa dimensione interiore possiamo comprendere appieno la natura della fiducia, non solo nel suo valore positivo, ma anche nella sua essenziale rilevanza etica.

La fiducia, infatti, non è solo un sentimento: è portatrice di valori morali significativi, genera obblighi verso gli altri, e ci orienta verso una logica di dono e apertura. È alimentata dalle virtù morali e, in questo senso, diventa una forza spirituale che arricchisce e guida la persona nel cammino di fede e nelle relazioni autentiche.

Il sentimento di fiducia

La fiducia abbraccia la totalità dell’essere umano, coinvolgendo mente, cuore e volontà. Essa si presenta come una delle esperienze più profonde e significative per l’esistenza, capace di dare conforto e senso di appartenenza.

La fiducia, come sentimento, è un’esperienza affettiva luminosa che dona pace interiore e sostiene emotivamente, rivelandosi fonte di serenità e gioia. È, infatti, un sentimento accogliente e rassicurante che suscita in noi la consapevolezza di non essere soli: ci offre sicurezza e apre il nostro cuore alla possibilità di ricevere amore e aiuto dagli altri.

Nel suo essere accogliente, la fiducia promuove la benevolenza e rafforza i nostri rapporti, favorendo l’affetto reciproco e l’apprezzamento per le qualità altrui. Così, da questo sentimento profondo può nascere un’amicizia genuina o persino una collaborazione duratura, fondata sulla stima e sulla dedizione reciproca.

Ne consegue che la fiducia, per essere autentica, non può limitarsi alla ragione o alla volontà, ma richiede il coinvolgimento del cuore. Solo attraverso questa apertura emotiva si può raggiungere un’adesione piena e sincera, in cui il sentimento diventa veicolo di legami spirituali e comunitari.

La fiducia come bene, come dovere, come dono

La fiducia come BENELa fiducia porta in sé una dimensione profondamente legata al bene. Fidarsi implica infatti l’atto di consegnare all’altro un valore prezioso, affidandogli qualcosa di intimo e importante. Ma non solo: rispondere alla fiducia ricevuta è di per sé un atto di bene, poiché confermare la fiducia dell’altro genera frutti positivi, non solo sul piano del riconoscimento reciproco, ma anche nella capacità di raggiungere obiettivi che da soli sarebbero irraggiungibili.

La fiducia è un bene prezioso anche perché consente di realizzare obiettivi significativi, come quando ci affidiamo a qualcuno per ricevere aiuto o addirittura per la nostra salvezza.

Questo atto di fiducia, se coltivato nel tempo, ha il potere di trasformarsi in una relazione duratura, che crea un legame di collaborazione capace di produrre beni che il singolo, isolato, non potrebbe raggiungere. Le relazioni basate sulla fiducia, dunque, diventano canali di un bene più grande, promuovendo un’autentica comunione in cui i frutti del bene si moltiplicano.

La fiducia come DOVERE. La fiducia implica il dovere morale di riconoscere e rispettare l’altro come persona: ciò riguarda sia chi si fida, sia chi riceve fiducia. Chi riceve fiducia, ad esempio, deve riconoscere che il datore della fiducia si rende vulnerabile, e questa vulnerabilità esige rispetto. Però anche chi si fida deve rispettare il destinatario della fiducia.

La fiducia – posta in una persona o in una comunità – espone gli individui ad una fragilità maggiore rispetto a ciò che accadrebbe nel caso di un’adesione formale.

Per esempio, alle persone affidate alla nostra cura pastorale viene chiesto di aprirsi e confidarsi, cercando nel presbitero un riferimento da ritenere affidabile e sicuro a motivo del suo ruolo, presupponendo che egli possa offrire sollievo, conforto, consiglio e orientamento. Vi è dunque una potenziale vulnerabilità in ogni relazione pastorale e formativa, in ambito cristiano.

Questo implica soprattutto che il bene per cui si concede fiducia non può essere un male. Quindi, chi concede fiducia perché qualcun altro compia un atto illegale o immorale, usa la fiducia in modo eticamente scorretto. Fare questo non solo è ingiusto, ma è anche una mancanza di rispetto per l’altro.

Esiste anche una terza fonte di doveri morali insita nella fiducia, e consiste nella condizione di vulnerabilità nella quale si colloca chi concede fiducia. Chi riceve fiducia deve farsi carico di tale vulnerabilità.

La vulnerabilità propria della fiducia rende chi si fida dipendente dalla buona volontà del destinatario della fiducia o lo espone al potere degli altri. Ciò carica chi riceve fiducia della responsabilità di essere affidabile.

Un prete deve assolutamente essere un uomo affidabile, perché rispetta chi lo avvicina, perché non approfitta mai della sua posizione e della fiducia che in lui viene riposta, perché non seduce e non viola la coscienza.

Solo se coloro che ci avvicinano sentono che il prete è un uomo affidabile, che non approfitta della sua autorità, che non viola i confini del suo ufficio, solo allora sapranno aprire il cuore e l’anima per poter insieme implorare la grazia della compassione di Gesù.

Se ogni relazione di fiducia espone al rischio di essere manipolati e usati, l’abuso spirituale si verifica quando vi è confusione tra la parola del leader (sia esso un singolo o una cerchia ristretta di individui) e il volere di Dio. La persona che riveste un ruolo di autorità nella Chiesa viene percepita come l’unica o la più importante mediazione per il proprio cammino spirituale, a essa si apre il cuore e ci si affida quale espressione della propria fiducia in Dio.

È necessario, pertanto, mantenere sempre una distinzione importante tra il volere di Dio e quello delle mediazioni umane, fossero anche i capi della religione a cui si appartiene. Già Pietro e gli apostoli si trovarono a disobbedire ai comandi del sinedrio, rispondendo al sommo sacerdote: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29).

L’adesione del cuore e l’affidamento della propria vita a Dio sono aspetti centrali e irrinunciabili del cristianesimo, ma non devono essere utilizzati per esigere gli stessi atteggiamenti senza riserve nei confronti di qualcuno che decide sulla vita degli altri.

La fiducia come DONO. Un ulteriore aspetto etico della fiducia è la sua relazione con la dinamica del dono. Donare fiducia implica offrire qualcosa di prezioso all’altro e comporta almeno tre implicazioni significative.

  • Anzitutto, la fiducia è un atto libero: possiamo scegliere di accordarla o meno, senza costrizione.
  • In secondo luogo, fidarsi implica accettare un rischio, poiché la fiducia, essendo un’apertura all’altro, espone a una potenziale vulnerabilità.
  • Infine, la fiducia autentica rappresenta sempre, sotto diversi punti di vista, un bene per colui che la riceve, poiché ne riconosce e afferma il valore.

Accogliere la fiducia ricevuta comporta dunque un dovere morale, ma è anche un atto di buona volontà che chi si fida dovrebbe vedere come un dono prezioso. Pertanto, la fiducia non è mai un atto centrato solo su se stessi; riflette piuttosto un’apertura verso l’altro, costruendo un legame reciproco fondato sulla bontà e sul dono. La fiducia diviene così una manifestazione dell’animo umano, capace di offrire sé stesso e di portare beneficio agli altri, e di risvegliare, in chi la riceve, un senso di dignità e di amore.

Donare fiducia a qualcuno equivale, in un certo senso, a benedirlo: significa riconoscere la sua dignità, la sua bontà, e la sua capacità di operare per il bene. Questo aiuta a comprendere perché essere destinatari di fiducia rafforza l’autostima: sapere che qualcuno crede in noi ci fa sentire stimati, a volte perfino amati, e comunque oggetto di benevolenza. Questo riconoscimento ci conferma come persone libere e degne, in grado di rispondere positivamente alle attese di chi ripone fiducia in noi.

Le virtù che favoriscono la fiducia

All’interno del variegato mondo delle virtù, cerco di individuare quelle che possono influire sulla fiducia. Mi sembra che si possono distinguere tra

  • le virtù che favoriscono la concessione di fiducia,
  • le virtù che favoriscono chi riceve la fiducia
  • e le virtù che nutrono la relazione della fiducia reciproca.

Le virtù che favoriscono la fiducia: prudenza, coraggio, speranza

Le virtù che sono particolarmente importanti per abilitare il soggetto a fidarsi bene sono tre, la prudenza, il coraggio e la speranza.

Secondo Aristotele, la phronesis è la saggezza pratica, la capacità di discernere ciò che è bene fare nelle circostanze concrete della vita, scegliendo i mezzi giusti per raggiungere un obiettivo buono. Cicerone traduce questo concetto con il termine latino prudentia, che implica non solo la capacità di prevedere, ma anche di provvedere. Nella tradizione classica, fino alla Scolastica, la prudenza si lega a tre dimensioni del tempo: il passato, come memoria; il futuro, come capacità di previsione; e il presente, che deve essere ben conosciuto per prendere decisioni sagge.

Per quanto riguarda la fiducia, la prudenza è la virtù che perfeziona le nostre facoltà cognitive nell’arte di valutare se e quanto fidarci, rendendola essenziale per poter riporre fiducia in modo saggio.

La fiducia, infatti, ha una dimensione temporale simile, comprendendo il passato, il presente e il futuro. Essa si fonda sull’esperienza passata, che può renderci più o meno inclini a fidarci, si sviluppa in base alla valutazione della situazione presente, ma implica anche una proiezione verso il futuro, poiché fidarsi è un atto che riguarda sempre ciò che deve ancora accadere, qualcosa che non è certo.

La fiducia, quindi, comporta un rischio intrinseco. Deve essere il frutto di una riflessione prudente che valuta attentamente i rischi e considera gli strumenti per tutelarsi, qualora il destinatario della fiducia non dovesse mantenere le proprie promesse o dovesse deludere le aspettative riposte in lui. In questo modo, la prudenza permette di esercitare la fiducia in maniera equilibrata, non cieca, ma consapevole delle potenziali sfide che potrebbero sorgere.

La seconda virtù necessaria per fidarsi in modo autentico è il coraggio. Il coraggio è la forza interiore che ci consente di affrontare i pericoli, superando la paura e l’ansia. Aristotele già sottolineava come il coraggio sia il giusto equilibrio tra i vizi opposti della viltà, che ci spinge a fuggire di fronte ai pericoli, e della temerarietà, che ci porta a affrontarli senza giudizio.

Il coraggio e la prudenza sono intimamente connessi, poiché solo chi è prudente può evitare la temerarietà, mentre la prudenza senza coraggio rischia di trasformarsi in paura e rinuncia. Il coraggio, dunque, rappresenta la padronanza della paura, che non la elimina, ma la orienta, dandoci la forza di affrontare ciò che ci spaventa e rendendo la nostra volontà più ferma e determinata.

Il coraggio si esprime sia nell’iniziare un’azione difficile, sia nel perseverare in essa. Entrambi gli aspetti sono fondamentali nella fiducia. Il primo aspetto si manifesta quando decidiamo di fidarci, dopo che la ragione ha valutato che concedere fiducia è giusto e ragionevole.

Il coraggio in questo caso ci aiuta a compiere il passo dalla riflessione all’azione, superando la tentazione di non fidarsi o di rimanere diffidenti. Il secondo aspetto, che riguarda la perseveranza, è essenziale per mantenere la fiducia anche di fronte alle difficoltà. Il coraggio ci rende capaci di essere lungimiranti, di conservare la nostra fiducia nel tempo, nonostante le sfide o gli ostacoli che possono sorgere lungo il cammino.

La terza virtù che favorisce il fidarsi è la speranza. Essa implica un atteggiamento positivo e ottimista nei confronti di colui a cui affidiamo la nostra fiducia, poiché quando ci fidiamo, nutriamo un’aspettativa positiva sul comportamento di chi riponiamo la nostra confidenza.

Tuttavia, l’ottimismo, pur essendo un tratto del carattere che tende a vedere il lato positivo delle cose, non è la stessa cosa della speranza. L’ottimismo può essere una disposizione naturale che tende a vedere il bene senza una base solida, mentre la speranza, per essere autentica, deve essere motivata, cioè fondata su motivi validi e reali, senza ignorare le difficoltà che potrebbero presentarsi.

La speranza, proprio come la fiducia, si rivolge a un bene che non è ancora realizzato, ma che è ritenuto possibile, anche se non certo. La speranza, però, può anche risultare infondata, e quando ciò accade, porta a delusione, rendendo chi spera vulnerabile.

All’interno della speranza c’è sempre un desiderio, il desiderio di ottenere ciò che si spera, e questo desiderio porta a prefigurarsi il bene atteso, a immaginarlo e ad anticiparlo nella mente.

La speranza ci aiuta a comprendere perché, quando le nostre aspettative vengono tradite, la fiducia non sempre viene distrutta. Infatti, se la fiducia viene tradita, può continuare a vivere se chi si fida non perde la speranza nell’altro, o più profondamente, in Dio e nel bene, nel mondo e negli altri, nella convinzione che il male non prevarrà. Ma se la speranza svanisce, la fiducia si distrugge con essa.

La speranza può spingere alla decisione di fidarsi, ma il tradimento della fiducia può annientare la speranza, e questo a sua volta distrugge la fiducia stessa.

La speranza, in quanto virtù intellettuale, perfeziona la nostra capacità di orientare le nostre convinzioni verso il futuro e si oppone ad atteggiamenti negativi come presunzione, disperazione, paura, pessimismo e cinismo. Poiché la speranza include un desiderio, come virtù essa richiede anche un perfezionamento del nostro desiderio: dobbiamo imparare a sperare nelle cose giuste, in modo giusto, equilibrando la tenacia con la capacità di distacco, che ci permette di abbandonare le speranze se l’oggetto desiderato diventa irraggiungibile o addirittura dannoso.

La speranza si coltiva con l’impegno, mantenendo viva l’attenzione sul bene che speriamo e, se possibile, sforzandoci di realizzarlo. Allo stesso modo, possiamo applicare questo processo di speranza alla fiducia, imparando a sperare e a valutare correttamente in chi riponiamo la nostra fiducia, impegnandoci a costruire relazioni di fiducia solide e virtuose.

Le virtù per essere affidabili: competenza, trasparenza, integrità morale

Tra le virtù che sono particolarmente importanti per essere affidabili vi sono: la competenza, la trasparenza e l’integrità morale.

La competenza, pur essendo spesso vista come una capacità tecnica, assume una dimensione più profonda come dovere morale che contribuisce alla perfezione personale.

Essa non riguarda solo l’abilità di compiere un compito con efficacia, ma è anche un imperativo morale, essendo necessaria in ogni ambito professionale. Vi è un dovere morale di acquisire e mantenere competenza, un obbligo che giustifica la necessità di un aggiornamento continuo in qualsiasi professione.

Guardando la competenza in modo più ampio, essa si estende oltre l’ambito professionale, comprendendo anche qualità come la capacità di essere un buon amico o un buon padre. Questa visione allarga la comprensione del valore della competenza come fondamento per la fiducia: una persona competente è vista come affidabile, capace di rispondere alla fiducia che le viene concessa, proprio nell’ambito in cui è competente. Nel contesto ecclesiastico, questa competenza è essenziale anche per il presbitero, il quale deve essere consapevole del proprio ruolo e delle responsabilità che comporta[1].

Un vescovo francese, Hippolyte Simon, ha provocatoriamente parlato di “mestiere” in relazione al sacerdozio, nel 2001, per sottolineare la crescente complessità e frammentazione delle competenze richieste ai preti diocesani nell’attuale società[2]. Questa riflessione è diventata una discussione ampiamente diffusa, che ha contribuito a ridefinire il ruolo del clero nel contesto contemporaneo.

La perdita della coscienza professionale da parte dei presbiteri, e la loro disconnessione dal sistema delle professioni, rischiano di compromettere non solo la loro efficacia spirituale, ma anche la vitalità delle istituzioni ecclesiastiche. È quindi cruciale mantenere e rinnovare costantemente le competenze del clero, affinché possano rispondere alle sfide moderne e mantenere la fiducia dei fedeli, assicurando così la continua rilevanza e l’efficacia della Chiesa nella società.

Una seconda virtù che favorisce l’affidabilità è la trasparenza. La fiducia si radica nella conoscenza, sia della situazione in cui riponiamo la nostra fiducia, sia della persona a cui la concediamo. In questo contesto, la fiducia si colloca tra la conoscenza e l’ignoranza, rendendo essenziale la sincerità: dire la verità consolida la fiducia, mentre l’inganno e la menzogna la minano profondamente.

La trasparenza implica non solo la disposizione ad essere sinceri, ma anche la capacità di discernere ciò che è giusto dire e il modo in cui dirlo. Ad esempio, violare un segreto, come nel caso di un segreto professionale, mina gravemente la fiducia. Pertanto, la trasparenza non è solo un atto di sincerità, ma una virtù che richiede prudenza e discrezione per proteggere la relazione di fiducia.

Una terza virtù, che in realtà è la più importante per favorire l’affidabilità, è l’integrità morale. Essa rappresenta l’onestà e la capacità di rimanere fedeli ai principi etici, anche quando ciò comporta sacrifici personali, quando nessuno ci osserva o quando siamo tentati di compiere il male.

L’integrità si comprende meglio se contrapposta al suo opposto, che è la corruzione: uno stato in cui la persona è abituata a fare il male, agisce per motivi egoistici e non avverte più la spinta dei doveri morali. La perdita di integrità morale è spesso alla radice delle crisi di fiducia, specialmente quando una persona agisce ripetutamente in modo eticamente scorretto.

La persona moralmente integra, invece, ha preso una decisione di adesione ai principi morali e agisce secondo la volontà di fare ciò che è giusto, nonostante i propri limiti e fallimenti. È affidabile perché non è motivata solo dal proprio vantaggio personale, ma cerca di armonizzare i propri legittimi interessi con il rispetto per gli altri e per i loro diritti, così come per i propri doveri morali.

Le virtù che nutrono la fiducia: benevolenza e gratitudine

Oltre alle virtù che favoriscono il concedere fiducia e l’essere affidabili, possiamo individuare due virtù che sono importanti per le relazioni di fiducia, perché toccano direttamente il carattere reciproco di tali relazioni. Queste virtù sono la benevolenza e la gratitudine.

La benevolenza è una “volontà di bene”, un “ben volere”. Si tratta di un atto intenzionale che comprende sia un desiderio che una volontà. Chi agisce con benevolenza vuole il bene dell’altro per il semplice fatto che è un bene per lui.

Essa richiede che chi agisce sia consapevole dei beni e dei valori presenti nella situazione, ma anche che l’intenzione sia orientata al bene dell’altro. Chi ha motivazioni egocentriche tende ad agire in modo egoistico, cercando il proprio tornaconto.

Questo vale anche nel contesto della fiducia, la quale diventa fragile quando l’agire è mosso da opportunismo, perché chi agisce solo per interesse personale rispetta i doveri della fiducia solo quando ne trae un vantaggio.

Per essere davvero affidabile, il destinatario della fiducia deve nutrire intenzioni benevole verso chi gli conferisce fiducia e verso le altre persone coinvolte, evitando di sfruttare la fiducia ricevuta per danneggiare chi l’ha concessa o altri.

Anche chi concede fiducia deve essere benevolo verso il destinatario, agire nel suo interesse, apprezzarlo come persona, riconoscere la sua buona volontà e desiderare di fargli il dono della fiducia.

Una seconda virtù che nutre le relazioni di fiducia è la gratitudine. Essa è una risposta interiore e affettiva che nasce dal riconoscere che qualcuno ci ha fatto del bene, ma anche dal percepire che questa azione è stata mossa dalla benevolenza, dal desiderio di nostro bene. Ma a questa virtù dedicherò la meditazione del prossimo mese.

La gratitudine è anche un atto sociale, poiché deve essere espressa verso colui che ha compiuto il bene, affinché si compia davvero. Solo chi ci ha fatto del bene può essere il destinatario della nostra gratitudine. Come osservava Romano Guardini, la gratitudine ha tre condizioni fondamentali:

  • Deve essere rivolta esclusivamente a una persona.
  • Deve riguardare ciò che è stato donato liberamente.
  • Richiede che il dono sia stato fatto rispettando colui che lo riceve.

Per essere grati, è necessario accettare la nostra dipendenza dall’aiuto degli altri, riconoscere che gli altri possano agire in modo non egoistico nei nostri confronti e che il servire gli altri non è un atto di servilismo, ma un comportamento positivo.

Chi considera umiliante dipendere dagli altri o è convinto che tutti agiscano sempre per motivi egoistici non sarà capace di provare gratitudine. Al contrario, le relazioni interpersonali rivelano come caratteristica essenziale la solidarietà, cioè il riconoscimento che siamo legati da relazioni di dipendenza reciproca, che comportano doveri morali. La gratitudine implica il riconoscimento dell’altro come persona e favorisce la fiducia, poiché motiva sia chi si fida, sia chi risponde alla fiducia, a continuare a farlo.

Conclusione

La fiducia è il fondamento primario attraverso cui ci riconosciamo reciprocamente come persone, ed è la sostanza etica che permea la nostra vita quotidiana. Per comprendere appieno come la fiducia possa essere considerata la base etica della nostra esistenza, è essenziale partire dal presupposto che essa non sia solo un sentimento, ma una risposta profonda della persona, che implica una serie di valori morali e può svilupparsi grazie al possesso di diverse virtù.

La fiducia attinge ai valori più profondi della persona, alla sua capacità di donarsi agli altri, di andare oltre ciò che è semplicemente dovuto, alla sua attitudine verso la benevolenza e la gratitudine. Solo intraprendendo questo cammino, diventa chiaro anche il vero significato del sentimento di fiducia: esso è il frutto abbondante delle risposte autentiche di fiducia che offriamo, ed è per questo che si rivela come un bene per la persona, una vera fonte di felicità.


[1] Cf. D. Marrone, La coscienza professionale del prete, in https://www.settimananews.it/ministeri-carismi/coscienza-professionale-del-prete/

[2] Cf. H. Simon, Libres d’êtres prêtres, (coll. Interventions théologiques), ed. de l’Atelier, Paris 2001, pp. 92-101;  L.-L. Christians, La deontologie des ministeres ecclesiaux, Cerf, Paris 2007.

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Un commento

  1. Giuseppe 6 giugno 2025

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