
Quello che è accaduto il 22-23 febbraio scorso ad Assisi è stato un piccolo grande miracolo: persone che per quattro anni hanno camminato insieme sul sentiero sinodale vedendosi solo come francobolli sullo schermo delle videoconferenze, finalmente si sono potute guardare per intero, abbracciare, annusare.
In quel fine settimana la Rete sinodale ha dato appuntamento alla trentina di associazioni di base che la compongono per un’assemblea aperta a tutte/i – quasi 180 le presenze registrate, appartenenti a 55 associazioni, le Comunità di base il gruppo più nutrito, con oltre 30 iscritte/i.
Nominare le realtà della Rete può sembrare un po’ come la genealogia di Gesù nei vangeli: un elenco noioso in cui ci si perde, ma proprio come in quella genealogia – se si sa leggere bene – c’è da stropicciarsi gli occhi!
Che cos’è la Rete sinodale
Adista, Associazione comunità Emmaus, Cammini di speranza, Centro italiano femminile-Lombardia, Centro interconfessionale per la pace-Cipax, Comunità cristiane di base, Comunità di via Germanasca-Torino, Coordinamento 9 marzo-Milano, Coordinamento teologhe italiane, Costituzione, Concilio e cittadianza-C3dem, Decapoli, Donne per la Chiesa, Fraternità Arché, Il faro, Il foglio-Torino, Il gibbo, La tenda di Gionata, Noi siamo Chiesa, Noi siamo il cambiamento, Ordine della sororità, Pax Christi, Per una Chiesa diversa, Ponti da costruire-Napoli, Pretioperai, Pro civitate christiana, Progetto adulti cristiani lgbt, Progetto giovani cristiani lgbt, 3Volte genitori, Viandanti.
Sigle femministe e gruppi lgbt, associazioni pacifiste, movimenti riformisti, riviste, le comunità di base e i preti operai; piccole realtà locali e organismi nazionali che, dall’indizione dei due Sinodi, universale e italiano, hanno scritto insieme 12 documenti, su argomenti specifici come la componente lgbtq+ nella Chiesa, l’ecumenismo, la giustizia di genere, la necessaria revisione liturgica, la ministerialità, giustizia-pace-salvaguardia del creato, e un documento di convergenza. Tutti i testi si possono consultare qui.
L’assemblea della Rete sinodale
L’emozione era palpabile, sabato 22 febbraio: tracimava dal salone della Cittadella che ci ha ospitate/i: un tavolo al centro, coperto da una tovaglia bianca con tante impronte di mani colorate, e tutte le sedie, 180, attorno, come petali di una corolla, per poterci tutte/i guardare, nella circolarità che sogniamo per la Chiesa.
Abbiamo iniziato invocando la Ruah, lo Spirito che ci convoca e ci guida; poi abbiamo volto lo sguardo alla/al nostra/o vicina/o, e le/gli abbiamo rivolto il saluto maori: tena koe, che si usa come il nostro “ciao”, ma significa: “ti vedo: vedo la storia da cui provieni, le tue antenate e i tuoi antenati, vedo le tue ferite, vedo i tuoi sogni e le tue speranze”.
Ci siamo prese/i per mano, la mano destra rivolta verso il basso, a ricordarci, con la saggezza dei popoli afroamerindi, che nessuna/o è così povera/o da non avere niente da dare, e la mano sinistra rivolta verso l’alto, perché nessuna/o è così ricca/o da non avere niente da ricevere.
Da sotto la tavola
E proprio così è successo nella due giorni di Assisi: è stato un donare e un ricevere, tra singole persone, tra associazioni, proprio come avviene nella Chiesa, comunità di battezzate/i che si regalano a vicenda Vita.
Sullo schermo in sala era proiettato lo splendido murale del “pittore della liberazione” Mino Cerezo, “Alla cena ecologica del Regno”, che è stato il simbolo della nostra Assemblea: un picnic all’aria aperta, in cui Gesù sta tra tutte/i le/i convitate/i, in cerchio attorno alla tovaglia bianca, una tavola in cui c’è posto per tutte/i, non c’è un sopra né un sotto, come invece accadde nell’incontro di Gesù con la donna siro-fenicia (Mc 7), che insegnò a Gesù a sconfinare, e a noi a guardare al mondo da una nuova prospettiva, da sotto la tavola, dove le briciole sono preziose.
E da sotto la tavola ad Assisi sono stati srotolati nastri multicolore, che hanno accompagnato le/i partecipanti ai 10 tavoli, in cui si sono affrontati i temi: Centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa e nella pastorale; Responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne nella Chiesa; Visione della sessualità e presenza delle persone lgbtq+ (il gruppo più numeroso, 36 persone, che si è dovuto sdoppiare); Rinnovamento delle modalità celebrative; Abusi di potere, di coscienza e sessuali sulle persone vulnerabili; Impegno per la pace, la giustizia e l’integrità del creato; Rapporto con la politica e laicità dello Stato; Centralità delle persone impoverite nella vita ecclesiale e presenza delle comunità immigrate; Pluralismo religioso, dialogo ecumenico e interreligioso; Organizzazione delle comunità cristiane, processi decisionali nella Chiesa, ministeri ecclesiali, trasparenza delle finanze e gestione dei beni ecclesiastici.
Il Documento finale
Dopo l’intero pomeriggio di lavoro nei tavoli, ancora una tavola è stata protagonista del sabato sera: un ricco banchetto con le squisite specialità offerte dalle/i partecipanti, dalla torta “sbrisolona” mantovana ai dolcetti alle mandorle di Messina, abbondantemente annaffiate da vino veneto!
La musicista italo-cilena Valentina Fabbri con l’aiuto delle/i partecipanti più giovani ci ha accompagnate/i in un coinvolgente percorso letterario-musicale ai quattro angoli del mondo, lungo le vie della giustizia e della pace.
La domenica è iniziata con la restituzione in plenaria dei lavori nei tavoli, le cui sintesi sono confluite nel Documento finale, approvato per acclamazione e inviato come contributo per l’Assemblea sinodale che si riunirà a fine marzo e concluderà il Sinodo italiano: si chiede, tra l’altro, di favorire la circolarità della Chiesa, dall’architettura istituzionale alle relazioni; aprire l’accesso a tutti i ministeri a donne e uomini in virtù dello stesso battesimo che conferisce pari dignità; predisporre percorsi di preparazione e accompagnamento per le coppie dello stesso sesso e una liturgia comunitaria di ringraziamento per quelle che si impegnano in un progetto di vita insieme; riconoscere a laiche e laici l’autorità di tenere l’omelia e riscrivere il Credo; istituire una commissione indipendente e dare il libero accesso agli archivi ecclesiastici, senza termini di prescrizione per gli abusi; abolire l’ordinariato castrense (cappellani militari); sostituire l’insegnamento confessionale della religione cattolica nelle scuole statali con un insegnamento di storia delle religioni laico e obbligatorio; accettare che la Chiesa si faccia povera, adeguandosi al Vangelo; aprirsi all’ospitalità eucaristica come segno della consapevolezza che l’eucaristia non è proprietà di nessuna Chiesa, ma è puro dono di Dio; pubblicare i bilanci di parrocchie e diocesi, per queste ultime con certificazione esterna; riesaminare la possibilità di ordinare viri probati e riammettere all’esercizio del ministero i presbiteri sospesi o dispensati…
Quello che emerge dal Documento finale è un’immagine di Chiesa che si avvicina al murale di Cerezo, una Chiesa spogliata di ogni forma di clericalismo, patriarcato e sacralità che, nel corso dei secoli, ne hanno reso irriconoscibili i connotati evangelici. Il documento integrale può essere letto qui.
Sorgente di acqua che zampilla
Nella celebrazione eucaristica conclusiva il testo-guida è stato quello dell’incontro di Gesù con la donna samaritana (Gv 4), un episodio magnificamente rappresentato nell’icona, posta sul tavolo della mensa, scritta da Martina Bugada: ci sono due sguardi che si incrociano, due seti che si cercano, la samaritana in piedi in posizione autorevole, con il manto rosso, colore della Sapienza, interlocutrice teologica, annunciatrice e predicatrice.
In incessante dialogo tra Vita e Parola, il testo evangelico s’è intrecciato con la poesia di Maria Riensiru, una delle Madres de Plaza de Mayo, in cui Dio è seduta e piange, perché il meraviglioso arazzo della creazione che aveva tessuto è a brandelli: spetta a noi ritessere insieme l’arazzo della nuova creazione.
In spirito ecumenico, abbiamo professato la nostra fede con il Credo composto dalla pastora battista Lidia Maggi: con lei, crediamo «la Chiesa come realtà di corpi redenti, liberi, liberati dai sensi di colpa. Una comunità capace di accogliere e celebrare le tante manifestazioni dell’amore».
Abbiamo pregato insieme il Padre nostro nella versione di p. Giovanni Vannucci, all’indicativo perché l’aramaico non conosce il congiuntivo, così che quelle che abitualmente traduciamo come richieste al Padre tornano ad essere affermazioni di fede: «il tuo Regno viene, tu doni a noi il pane di oggi e di domani, tu perdoni i nostri debiti…».
Abbiamo festeggiato il 50° di matrimonio di Michela e Corrado, “genitori fortunati” di un figlio omosessuale, e il 38° di ordinazione di Paolo, a cui l’assemblea ha conferito il potere di presiedere la nostra celebrazione eucaristica circolare facendo passare di mano in mano la sua multicolore stola andina, che poi la più piccola celebrante, una bimba, gli ha messo al collo per tutte/i noi. Ci siamo benedette/i reciprocamente, e abbiamo proseguito la celebrazione in refettorio con il pranzo, l’agape fraterna e sororale.
Dalla brocca sono sgorgati, fiumi d’acqua viva, nastri con i colori dell’arcobaleno, che hanno raggiunto tutta l’assemblea e sono poi diventati braccialetti da indossare, per ricordarci di questo tempo di grazia in cui abbiamo gustato la bellezza di una Chiesa che valorizza e tiene in unità le differenze, una Chiesa che, con dom Pedro Casaldáliga e Soave Buscemi, che ce l’ha riportato al cuore, chiede di «Saper aspettare sapendo/ allo stesso tempo forzar/ l’ora di questa urgenza / che non permette aspettar».






Quello che si nota, comunque, a prescindere dai contenuti fortemente soggettivistici – e pertanto rispettabili, ma non mecessariamente giusti – e’ un approccio fortemente burocratizzato anche di “questa esperienza sinodale”.
La burocrazia, di per se’ non e’ cosa da rifiutare, ma per come e’ qui posta e’ chiaramente uno strumento di governo.
Ora, mi pare, che si possa affermare che l’esperienza sinodale in generale non attiene alla Fede, alla Chiesa cattolica o a Nostro Signore e alla sua natura di Salvatore e di Redentore, quanto piuttosto e fondamentalmente ad un percorso di trattativa contrattuale – peraltro viziata e artefatta – per una semplice e autocompiacente soddisfazione di esigenze e aspirazioni di visibilita’ (sempre mascherate da ipocriti atteggiamenti di falsa umilta’ anche attraverso le sciatterie liturgica e non solo, spessissimo proposte).
Che problemi avete? Una chiesa sinodale discute di tutto e propone possibili soluzioni che vanno poi al discernimento finale dove si tracciano le linee operative per il futuro immediato ed oltre della chiesa universale. Siate contenti che questi fratelli/sorelle non sono venuti/e a “disturbare” le assemmblee parrocchiali/diocesane dove tutto scorre su binari fissati e programmati per non debordare troppo su posizioni “pericolose”. Queste persone hanno vissuto la comunione senza dare scandalo ai bempensanti ma hanno preteso (giustamente preteso) che la loro voce giungesse alla assemblea finale del sinodo. Sarà ascoltata in qualche modo? Mi auguro di si ma non desidero essere ingenuamente ottimista. Qualunque cosa decida l’assemblea generale dei vescovi queste cose grazie a Dio sono state dette e per quanto possibile rese pubbliche. Quanto al celebrare di questo gruppo “eterogeneo” essi hanno celebrato in libertà ponendo segni concreti di quel che volevano significare. Io non c’ero, leggo solo a posteriori, ma da quanto leggo i segni erano forti e limpidi, l’ “actuosa partecipatio” che il Concilio raccomandava (ricordate?) mi pare si percepisse molto bene. Nessuna pretesa di trasferire tutto ciò alle nostre celebrazioni parrocchiali ma sarà almeno consentito sognare? Io credo fermamente che certe posizioni nella chiesa debbano essere conosciute e non emarginate.
Il Concilio, con Sacrosanctum Concilium, dice e insegna cose ben diverse, sulla liturgia, di quanto qui testimoniato. Non citi a sproposito un concetto sacrosanto (l'”actuosa partecipativo”) a proposito di quanto avvenuto lì.
In secondo luogo, vogliamo parlare del fatto di “riscrivere il Credo”? Che poi Maggi, bontà sua, l’ha già riscritto, a quanto sembra… Dunque, per lei non fa problema che la professione di fede della Chiesa venga alterata con tanta disinvoltura?
Vuole, per esempio, che discutiamo sulla traduzione del Padre Nostro che hanno recitato? A partire dal fatto che l’aramaico non avrebbe il congiuntivo (ma contempla le forme dello iussivo e dell’imperativo, che orrore!!!), il buon Vannucci l’ha riscritto (encomiabile la vena creativa di sta gente…); peccato che, magari agli amici era sfuggito, il Padre Nostro sia in greco, nei Vangeli. E la pretesa di risalire a un testo originario in lingua originale è destinato a fallire: rimane sempre e solo, in assenza di evidenze testuali, una chimera.
Vogliamo parlare della sceneggiata della presidenza affidata dalla comunità? Ma dove ca…spita lo legge, per dire: nei documenti del Vaticano II, una cosa simile?
Ora, sinodalità vuol dire forse pervertire ciò che c’è per creare qualcosa di completamente nuovo? No, non credo.
Questi, de facto, hanno gettato via secoli di Tradizione cattolica in nome di uno “spirito”: non quello Santo, Persona della ss. Trinità. Forse sono andati a pescare, pure quello, dai Maori…
Un gruppo sinodale non obbliga la chiesa intera. Pensare un sinodo allo scopo di ribadire quanto già noto si condanna alla inutilità. Il documento prodotto è stato inviato alla commissione sinodale. Qualcuno deciderà se sarà o meno oggetto di discussione. Ma trovo opportuno che si sappia. Il pensiero dei credenti è variegato. Prenderne atto oppure escludere i non allineati?
“Non allineati”?
Qui stiamo parlando di qualcosa di diverso dal cattolicesimo…
Bellissimo. Questa è la chiesa che vorrei.
Precisamente questo è il problema, fratello. Sinodalità significa il contrario di “la chiesa che mi piace” o “la chiesa che vorrei” (e i gusti di Tizio, Caio, Sempronio, dove li mettiamo? Un po’ per uno? Una brodaglia di compromessi? Convergenze parallele?). Sinodalità è cammino condiviso alla sequela di Cristo. Qui cade l’accento, oppure cadiamo noi: la Chiesa come vuole il Signore!
È uno scherzo vero?
Dai è uno scherzo!
Buontemponi.
Non so proprio da dove iniziare una contestazione di quanto letto. Ci sono talmente tante storture – ecclesiologiche, liturgiche, dottrinali… soprattutto, evangeliche – che davvero si fa fatica a decidersi. La cosa più bella, però, in tutto ciò, è “riscrivere il Credo”: cifra del fatto che tutto quanto viene vaneggiato in questo articolo è pure e semplice “sessantottinismo”. E le età dei presenti, stando alla foto, fa ben sperare che tutto ciò sia inesorabilmente al tramonto.
“Paolo, a cui l’assemblea ha conferito il potere di presiedere la nostra celebrazione eucaristica”. Mamma mia. Quel che vorrebbe essere provocatorio, suscita commiserazione. Sono vecchiotta, ma il catechismo lo ricordo e non ho la pretesa di far meglio (tanto meno di tirare la giacchetta al protestantesimo, che langue peggio di noi). Per non parlare dell’arroganza: “abbiamo pregato insieme il Padre nostro nella versione di p. Giovanni Vannucci”. Eh sì, perché quella della Chiesa italiana non è all’altezza. Alla faccia della sinodalità!
la cosa bella è che comunque parlando di ‘potere’ per riferirsi alla ‘capacità’ di celebrare l’Eucarestia… sprizza preconcilio da tutti i pori, con il Ministero identificato come ‘potere di fare qualcosa’
Comunque i protestanti quando fanno queste cose sono più seri, e ho visto celebrazioni più serie e sacrali
comunque il Padre Nostro che hanno pregato è questo:
Padre nostro che sei nei cieli
Santo è il tuo nome
il tuo regno viene
la tua volontà si compie
nella terra come nel cielo.
Tu doni a noi il pane di oggi
e di domani.
Tu perdoni i nostri debiti
nell’istante in cui
li perdoniamo ai nostri debitori.
Tu non c’induci in tentazione
ma nella tentazione
tu ci liberi dal male.
A parte una certa teologia discutibile che esso esprime, a me sembra un testo molto ‘legnoso’
Posso dire che trovo questo testo, letteralmente, illeggibile? Mi sembra oscilli tra idealismo – “un donare e un ricevere” – e richieste impossibili e appena appena massimaliste – “la Chiesa si faccia povera, adeguandosi al Vangelo” – e via dicendo. Certo il cartello delle sigle che fanno parte della Rete è ampio. Ma si domandano per quale motivo vengono percepiti come residuali? Forse servirebbe meno idealismo e più concretezza.