Haifa: bombe, religioni e devozioni

di:
haifa

Il monastero Stella Maris nella cittadina israeliana di Haifa.

Al monastero carmelitano Stella Maris di Haifa, in Israele, dal 2021 suor Edith collabora alla gestione del Pilgrim Center, ove vengono ospitati gruppi e viaggiatori per esperienze di preghiera, riflessione e riposo. Suor Edith, araba israeliana, ha trascorso ventidue anni tra Roma, Verona e Firenze. Con lei, c’è suor Edna, brasiliana. Le ho ascoltate in questi giorni sul monte Carmelo.

 – Sr Edith e sr Edna, Haifa è stata pesantemente coinvolta nella guerra con L’Iran, iniziata il 13 giugno scorso e terminata dopo “12 giorni”: come li avete vissuti?

La mattina del 13 giugno eravamo in attesa di un numeroso gruppo di pellegrini. La tensione però era nell’aria, perché, nella notte, Israele aveva intrapreso, a sorpresa, un attacco contro l’Iran, con l’operazione militare denominata Rising Lion.

Il gruppo dei pellegrini, dopo molte consultazioni, è venuto ugualmente, ma la preoccupazione era forte. In serata, è iniziato il contrattacco iraniano ed è stato il caos, tra sirene, corse nei rifugi e boati di missili.

L’aeroporto è stato chiuso e frate Roberto, che stava per partire per la Polonia, ci ha chiamato da Tel Aviv per organizzare il trasferimento di rientro, posto che i voli erano stati sospesi. Lo sono rimasti per diversi giorni.

Sono seguiti momenti terribili e giorni altrettanto terribili. A Stella Maris, nella nostra parte del grande complesso, alloggiavamo soltanto io e suor Edna, perché ai padri carmelitani è riservata un’altra ala dell’edificio. Avevamo paura, sì.

Sui cellulari, l’applicazione dell’esercito avvisava dell’arrivo dei missili, ma il protocollo veniva modificato a seconda delle situazioni: nella versione finale, si prevedevano circa dieci minuti – il tempo medio che impiegano i missili dall’Iran allo spazio aereo israeliano – prima del segnale acustico che dava il tempo “esatto” per raggiungere le zone sicure, che per noi erano i sotterranei e le cantine. A pericolo passato, ricevevamo un nuovo segnale e potevamo uscire.

Proprio dietro Stella Maris si trova una delle basi di Iron Dome, uno dei sistemi di intercettazione israeliano: quando partivano i missili di contrasto, il rumore era così forte che il convento sembrava scosso dal terremoto. Sempre in questa zona, poco distante, vivono alcune monache di clausura: generosamente, hanno aperto le porte del loro antico convento per ospitare alcune persone.

Due giorni dopo l’inizio della guerra, il nostro cuoco ha chiesto di trasferirsi da noi con la famiglia, moglie e tre bambini piccoli. La richiesta è arrivata dopo che, durante una fuga in strada per raggiungere il rifugio, la bambina più piccola è inciampata nelle ciabatte e, paralizzata dalla paura, non è riuscita più a rialzarsi. La madre l’ha protetta col suo corpo, ma il mancato arrivo nella stanza di sicurezza ha provocato grande angoscia al padre e marito.

Molti vecchi edifici non dispongono di sotterranei, perciò, per gli abitanti, è necessario raggiungere il riparo più vicino. Mio fratello, che ha attrezzato una stanza nelle fondamenta della sua casa, si era organizzato con un materassino, un frigorifero, cibo e acqua; a turno, lui e la moglie, dormivano là col figlio più piccolo di soli due anni: impossibile farlo scendere più volte nella stessa notte.

La vita era così completamente stravolta: si svolgeva soltanto nell’attesa tra una sirena e un’altra, nel perenne ascolto dei notiziari. Le attività non necessarie sono state sospese; sono rimasti aperti solo pochi negozi di generi di prima necessità e alcuni uffici.

Le piccole incombenze quotidiane erano diventate motivo di paura. Un giorno ho dovuto uscire per forza; ero all’ufficio postale quando è risuonato l’allarme: gli impiegati hanno radunato velocemente noi utenti per condurci nei sotterranei della metropolitana. Ero circondata da sconosciuti, stavamo in totale silenzio, uniti dalla consapevolezza della comune sorte.

***

– La chiesa di Kikar Paris è stata danneggiata da una scheggia incendiaria…

Sì. Non tutti i razzi venivano intercettati. Un pomeriggio, a Kikar1 Paris, l’impatto di un ordigno iraniano, caduto in un parcheggio, ha prodotto un cratere del diametro di sette metri. Grazie a Dio, non ci sono state vittime, ma l’impatto ha fatto saltare i vetri delle finestre dell’antica chiesa situata proprio nella piazza.

Chiesa e quartiere sono proprietà carmelitane, sedi di due comunità: la Shalom, di consacrati di origine brasiliana, e la Khehillà, cioè la comunità dei cattolici di lingua ebraica.

Negli anni Novanta, quando la fine del comunismo lo permise, una massiccia ondata di immigrati si trasferì in Israele, potendo vantare un avo di origine ebraica. Dovettero imparare la lingua locale per ottenere la cittadinanza, ma mantennero la religione cattolica.

In tutto Israele ci sono altre comunità cattoliche di lingua ebraica: oltre a Haifa e a Gerusalemme, se ne trovano sulla collina di Latrun, non lontano dal villaggio di Neve Shalom/Wahat el Salam; poi a Tiberiade, a Nazareth e a sud, alle porte del Negev, a Beersheva.

– Non parliamo solo di guerra. Prepariamo la pace. Da dove nasce la devozione per sant’Elia sul monte Carmelo?

La catena del Carmelo ha molte grotte, ma le più conosciute, ad Haifa, sono due: quella inglobata nella basilica di Stella Maris e quella chiamata Scuola dei Profeti.

Non c’è accordo sugli eventi biblici che vi sarebbero accaduti. Prendiamo la Scuola dei Profeti: si tratta di un antro trasformato in sinagoga perché, per gli ebrei, è legato al “culto” di Elia, mentre per noi carmelitani è un luogo che ricorda il profeta Eliseo, perciò ogni 14 giugno, nel giorno a lui dedicato, possiamo celebrarvi l’eucaristia.

Fino a qualche anno fa, era un budello buio, dalle pareti rocciose annerite dal fumo delle candele, sempre affollato da fedeli in preghiera continua, donne e uomini divisi da una semplice tenda in un’atmosfera opprimente. Ora è un locale luminoso, con una separazione in legno chiaro, sedie e panche, scaffali per i libri.

Secondo gli ebrei, vi sarebbe avvenuta la sfida tra Elia e i falsi profeti di Baal,2 mentre per noi cristiani, seguendo la toponomastica e la conformazione morfologica che desumiamo dalla Bibbia, quel luogo è a una ventina di chilometri da qui, su un’altra cima del Carmelo, a Muhraqa, che in arabo significa “sacrificio”. L’individuazione del sito è data dalla presenza del torrente Kison, al confine con la Galilea e la Samaria, luogo di residenza del re Acab.

Il confronto tra morfologia, toponomastica e Scritture è fondamentale. Il testo va inserito in un contesto non solo culturale, ma anche geografico, pur con tutti i dubbi del caso.

Prendiamo la grotta nella nostra basilica, proprio sotto l’altare: quali elementi ci portano a considerare questo il luogo in cui avvenne l’episodio raccontato in 1Re 18,42-45, dove il profeta Elia pregò per implorare la pioggia in un periodo di estrema siccità?

Il nostro monastero Stella Maris è situato su una delle cime del Carmelo: da quassù, il panorama è straordinario, abbraccia tutto il Golfo, e, nelle giornate limpide, si vedono molto bene le mura di Acco.

La nostra caverna è l’unica in zona a essere collocata in posizione nord-ovest, rivolta verso il mare. È un dettaglio importante. Le nuvole provenienti da ovest sono cariche di acqua che si riversano copiosamente sulla zona. Quelle provenienti da nord non sono così ricche. Sono indizi, posto che in Terra Santa poco è riferibile, al cento per cento di certezza, agli eventi biblici.

Se leggiamo le Scritture con attenzione, tuttavia, troviamo che Elia, ritirato in preghiera, inviò il suo servo a cercare un segno dal cielo. Questi vide una nuvola a forma di mano, proveniente dal mare. I Padri della Chiesa hanno attribuito quella configurazione alla vergine Maria. Ecco da dove nasce la venerazione mariana sul Carmelo: come Elia ha visto la nuvola portare dal mare l’acqua alla terra assetata in terra arida, Maria ha portato Gesù; Maria ed Elia sono i due ispiratori della spiritualità carmelitana, perché noi non abbiamo un vero e proprio fondatore.

Nella montagna sotto al monastero esiste anche una terza cavità, incastonata nella roccia e rivolta anch’essa verso il mare: viveva lì san Prospero nel 17° secolo, ma il sentiero, pieno di spazzatura, purtroppo è oggi inagibile e pericoloso. Un cancello impedisce che qualcuno lo percorra e si faccia del male. Sarebbe bello ripristinarlo e rendere possibile le visite.

***

– Ho potuto percorrere il bellissimo cammino lungo Wadi Siah, dalle alture del Carmelo sino al mare, seguendo l’antico percorso: due ore di discesa silenziosa dal costone della montagna – non sempre agevole in verità – tra boschi e stretti passaggi tra le rocce. Poi, a una radura, la vista si è aperta al mare, proprio dove le pietre bianche e un arco della prima cappella del monastero carmelitano ancora resistono.

All’inizio degli anni Novanta, gli scavi di restauro avevano fatto emergere preziosi reperti archeologici, ora conservati nelle vetrinette all’ingresso del Pilgrim Center, ma poi il sito venne abbandonato.

Poco prima della recente guerra, alcuni padri e studenti avevano iniziato la pulitura delle rovine, ma non è stato possibile il completamento. L’area resta di nostra proprietà ed è delimitata da una cancellata: dall’esterno si vede molto bene la struttura delle costruzioni, con il refettorio e una torre. Si può raggiungere anche dal mare, per una via più breve.

Quel primo monastero, così ricco di fascino ancor oggi, era dedicato alla Nostra Signora del Monte Carmelo, in memoria del legame tra Elia e la Madonna.

L’origine del nostro ordine risale ad alcuni crociati che, nel 13° secolo, dopo aver combattuto, capirono che guerra e violenza non rientravano nel messaggio di Cristo. Di conseguenza, scelsero una vita di isolamento e di preghiera a sud dell’odierno insediamento urbano, nella valle chiamata “dei Pellegrini” perché là era, ed è tuttora presente, una fonte legata a Elia, oltre a numerose cavità.

I crociati avevano vissuto la stessa esperienza del profeta: da soldati, seppure per Cristo, abbandonarono quello stile di vita per dedicarsi al silenzio nella contemplazione, così come Elia, dopo aver combattuto, si era rifugiato nel deserto, cercando Dio non nel fuoco o nel terremoto, ma nel silenzio, nel «mormorio di una brezza leggera».

– Durante il mese di luglio, due celebrazioni importanti hanno luogo nella basilica Stella Maris, a pochi giorni di distanza: il 16 è la ricorrenza della Nostra Signora del Carmelo, il 20 quella di sant’Elia. Le liturgie del 16 e del 20 luglio iniziano la vigilia, cioè il 15 e il 19.

Il valore dell’attesa è intrinseco al significato della festa: ce lo insegna il libro della Genesi con il racconto della creazione: il ritornello «e fu sera e fu mattina» pone il focus sull’inizio dell’azione creatrice, ripresa nelle liturgie ebraiche e cristiane. Da qui l’inizio dello Shabbat e di tutte le festività ebraiche – trasmesse poi a quelle cristiane – dal tramonto del giorno che precede, cioè, dall’apparizione della prima stella del venerdì.

La solennità ufficiale dell’ordine è il 16 luglio quando san Simone Stock, nel 1251, ebbe il privilegio di ricevere dalla Madonna il dono dello “scapolare”, cioè quel rivestimento di stoffa che caratterizza il nostro abito religioso.

Nei giorni di devozione mariana e di Sant’Elia, i pellegrini accorrono numerosi. La messa prefestiva, la sera del 15, vede la partecipazione del priore della parrocchia cattolica di San Giuseppe, che si trova in centro, ad Haifa, vicino al porto. Il giorno dopo, la messa è presieduta dal priore dei francescani di Nazareth. È un’antica consuetudine questa: i carmelitani concelebrano e, a volte, traducono l’omelia, perché non tutti i padri conoscono l’arabo, idioma principale dell’assemblea.

La messa non è mai in una lingua soltanto, ma dipende dalle conoscenze di chi presiede: spagnolo, latino, arabo, inglese, italiano.

Sempre secondo tradizione, al termine della liturgia viene rivolto l’invito al priore affinché presieda la messa nella basilica francescana dell’Annunciazione di Nazareth il giorno dell’Assunzione di Maria, il 15 agosto.

Esiste, però, anche un’altra usanza locale che raccoglie centinaia di fedeli.

Durante la Prima guerra mondiale, gli inglesi requisirono il convento, in quanto collocato in posizione strategica. Ai padri fu intimato di ritirarsi; in fretta e furia, essi salvarono soltanto la statua della Beata Vergine e si trasferirono nella chiesa di Kikar Paris.

Al termine del conflitto, i religiosi decisero di restaurare la statua lignea della Madonna. Questa fu portata a Napoli, accuratamente rimessa a nuovo e riportata a Haifa, dove una folla gioiosa la condusse in processione fino a Stella Maris.

Da allora, nella seconda domenica dopo Pasqua, si svolge la processione con più o meno lo stesso percorso: non direttamente dal porto, ma dalla parrocchia di San Giuseppe, su su, fino al monastero. La partecipazione popolare resta grande, anche se, negli ultimi anni, con la guerra a Gaza, la gioia resta molto contenuta.

***

– Come si svolge la festa di sant’Elia?

Inizia la sera del 19 luglio. La ricorrenza vera e propria cade il 20 luglio di ogni anno ed è molto sentita. In quasi ogni famiglia troviamo il nome di Elia, in numerose varianti di spelling: attribuito a un figlio, a un fratello, a un nipote o, comunque, a un parente: questo accade nelle famiglie non solo ebree, ma anche musulmane, perché la storia del profeta è contenuta pure nel Corano.

Le celebrazioni si svolgono secondo vari riti, dato che i gruppi cattolici qui sono essenzialmente tre: i maroniti, i greco-melkiti e i latini. Sin dai primi secoli le Chiese esprimevano la fede in maniera molto localizzata. I credenti “creavano” la loro liturgia: si incontravano, pregavano insieme, leggevano le Scritture e consacravano il pane e il vino. Si trattava di riproporre gesti e parole di Gesù nelle lingue locali. Il Concilio Vaticano II è intervenuto dando unità, ma anche salvaguardando le antiche tradizioni.

Nella nostra basilica, si susseguono diverse liturgie: i maroniti, cioè i cattolici di provenienza libanese, celebrano la messa della vigilia, i latini quella del mattino presto e i greco-melkiti (di rito bizantino) quella solenne/principale; il vescovo – che quest’anno ha proclamato il vangelo in greco – indossa bellissimi paramenti e una corona sul capo. Insieme a lui, ha concelebrato il priore di San Giuseppe, di origine libanese. Erano presenti anche molti archimandriti, cioè religiosi con incarichi di responsabilità nelle Chiese orientali, riconoscibili dai ricchi paramenti.

– Si può parlare di ecumenismo?

In città sono numerose le case religiose e le istituzioni di carità: centri per disabili, scuole di ogni grado a partire dalla materna, cliniche e ospedali. Ogni ente è aperto a chiunque; non si guarda all’appartenenza religiosa.

In ambito cristiano, c’è molta attenzione ai giovani; recentemente, nella bella villa che ospita una scuola, il Patriarcato latino ha aperto un centro dove i ragazzi possono incontrarsi e svolgere attività ricreative; ci sono gruppi di scout e i focolarini.

Ogni rito cristiano ha sede in una propria parrocchia: c’è rispetto, ma è difficile trovare momenti in comune. Durante l’annuale Settimana per l’unità dei cristiani, si organizzano iniziative, come i concerti nelle chiese; oppure, la Domenica delle Palme, molti partecipano alla processione dei greco-melkiti, perché è molto suggestiva. Quest’anno, presso il Technion Institute – prestigioso istituto universitario3 – un professore greco-melkita ha riunito un gruppo di studenti per approfondire tematiche religiose.

La “flessibilità religiosa” – se possiamo definirla così – è di casa. Accade anche per i matrimoni: i cristiani di riti differenti non hanno problemi a costruire famiglie, ma spesso le comunità restano chiuse. Non è facile. Abbiamo provato a trovare punti di contatto. Ad esempio, è accaduto quest’anno nella celebrazione congiunta della Pasqua ortodossa e cattolica.

In passato, si era proposto di festeggiare il Natale nella data cattolica e la Pasqua nella data greco-ortodossa, ma non è stato propriamente un successo: non si trattava semplicemente di scegliere date unitarie, ma anche di modificare le liturgie di preparazione, come in quaresima.

– Haifa è la città forse più multiculturale di Israele, sede anche della religione Bahai. In dicembre, si svolge la famosa Festa delle Feste e i simboli delle religioni monoteiste sono esposti insieme in vari quartieri.

Il centro mondiale Bahai si trova proprio a Haifa. Il mausoleo con i resti mortali del Bab, il precursore del fondatore Bahà’u’llah, è meta di commossi pellegrinaggi di fedeli da ogni parte del mondo; la sede occupa un’intera collina, i giardini sono splendidi e, nel 2008, l’area è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

La Festa delle Feste attira persone da tutta Israele. Nel centrale viale Ben Gurion, nel quartiere chiamato “Colonia Tedesca”, i locali sono decorati con luminarie, molte di ispirazione natalizia. Non è insolito vedere passeggiare famiglie musulmane in cui le donne, sopra il capo coperto dal velo islamico, indossano i rossi cappelli di Babbo Natale!

Nelle aiuole sono accostati i simboli delle tre religioni monoteiste: la mezzaluna musulmana sulla classica fanous, la lanterna del Ramadan, il candelabro a nove bracci di hanukkah, l’albero di Natale. E, sullo sfondo del boulevard, la collina Bahai: un bellissimo colpo d’occhio!

Qualche anno fa, la disposizione di un rabbino ultraortodosso aveva minacciato di togliere la certificazione kosher ai ristoranti che avessero esposto simboli religiosi non ebraici, ma gli esercenti hanno accettato la sfida, sostenuti dall’amministrazione comunale che ha ribadito la coesistenza di fedi diverse, senza il prevalere dell’una sull’altra.

***

– Ricordo che, nell’estate 2023, un gruppo di ebrei ultraortodossi voleva avere l’esclusiva della preghiera in basilica. Alloggiavo da voi a Stella Maris e più volte ho sentito dei colpi al portone principale durante le notti.

Proprio così. Due anni fa, un gruppo di ebrei ultraortodossi – la setta di Berslav Hasidim – ha ripetutamente causato turbolenza in basilica: si era sparsa voce che qui fosse stata ritrovata la sepoltura del profeta Eliseo; sono venuti in gruppo a pregare in modo rumoroso e volutamente disturbante, impedendo il normale svolgimento delle funzioni.

Noi possiamo pregare silenziosamente in una sinagoga o al Muro Occidentale di Gerusalemme, ma non possiamo celebrare lì la messa. Un conto è pregare individualmente nei luoghi di culto di altre religioni, un altro è imporsi. Serve rispetto.

È accaduto più volte, con la richiesta di entrare anche di notte; di fronte al nostro rifiuto, hanno cominciato a colpire il portone. Abbiamo denunciato il tentativo d’intrusione alla polizia.

La popolazione ci ha aiutati: alcuni giovani cristiani hanno parcheggiato le automobili nel piazzale e si sono dati il turno per la sorveglianza notturna della basilica. Nell’agosto di quell’anno, persino il presidente Herzog è venuto a farci visita e noi religiosi siamo stati intervistati più volte dai giornalisti dei notiziari israeliani.

Il dialogo interreligioso resta una realtà con cui ci confrontiamo tutti i giorni, vista la forte connessione tra la religione e la politica, per la semplice ragione che i cristiani qui sono per lo più palestinesi.4 Parlare di dialogo tra fedi è ancora difficile, specie considerati gli avvenimenti degli ultimi due anni.

Un esempio: mentre in Italia si parla apertamente di Gesù di Nazareth quale ebreo, col titolo di rabbi, ciò, in contesto ebraico – come qui da noi – risulta problematico. «Se Gesù è ebreo non può essere mio amico, ma solo mio nemico»: questa l’affermazione di un bambino che, a scuola, mi ha fatto capire che, prima del dialogo interreligioso, serve altro: serve l’educazione all’apertura all’altro-Altro.


1  Kikar è un termine ebraico che significa “piazza”

2  Si veda 1Re 18.

3  Ente universitario di ricerca STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering, Medicine

4  I cristiani sono circa il 2% dell’intera popolazione israeliana.

Print Friendly, PDF & Email

4 Commenti

  1. Ivana 9 agosto 2025
    • S. M. 10 agosto 2025
  2. Samuele Bignotti 9 agosto 2025
    • S. M. 10 agosto 2025

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto