Negoziati USA-Iran

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Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti e l’Iran avranno negoziati diretti e ad alto livello, il prossimo sabato. “Abbiamo colloqui diretti con l’Iran, che sono iniziati. Andranno avanti sabato. Abbiamo un incontro molto importante e vedremo cosa può succedere” – ha detto Trump ai giornalisti nello Studio Ovale.

“Penso che tutti siano d’accordo sul fatto che fare un accordo sarebbe preferibile a fare l’ovvio. E l’ovvio non è qualcosa in cui voglio essere coinvolto o, francamente, in cui Israele vuole essere coinvolto, se può evitarlo” – ha aggiunto Trump, seduto accanto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Trump successivamente ha spiegato così la sua linea: “L’Iran non può avere l’arma nucleare, e se i colloqui non avranno successo io penso che sarà un brutto giorno per l’Iran”. In quelle stesse ore ha avuto molto risalto quanto sorprendemente ha scritto sui social Tucker Carlson, un commentatore conservatore, già ospite assiduo di FoxNews, definito molto influente: “Qualunque cosa si pensi dei dazi, è chiaro che questo è il momento peggiore per gli Stati Uniti per partecipare a un attacco militare contro l’Iran. Non possiamo permettercelo”.

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L’Iran, fino a poche prima l’annuncio americano che riguarda una novità senza precedenti, i negoziati diretti tra Usa e Iran, aveva confermato i negoziati ma in forma indiretta, cioè per il tramite di un Paese terzo, l’Oman. Poi ha parlato il ministro degli esteri, che ha confermato i colloqui ad alto livello, dicendo che la sede è in Oman, e ribadendo che saranno indiretti.

Un filo di ambiguità è rimasto anche nelle parole di fonti ufficiali iraniane citate dal New York Times: “L’Iran ha detto a Washington di essere aperto e disposto a tenere un colloquio diretto se il primo round andrà bene”. Ma questo “primo round” tra chi sarebbe? Poi è tornato ad esprimersi, sui suoi social, il capo della diplomazia iraniana: “È tanto un’opportunità quanto un test. La palla è nel campo americano”.

Il quotidiano ufficiale iraniano in quelle stesse ore poi, come a contenere l’impressione di grandi novità, ribadiva una posizione già espressa a Tehran: la sentenza religiosa emessa anni fa da Khamenei contro il nucleare non ne proibisce la produzione, ma l’uso. E poco fa NourNews, fonte ufficiale iraniana, ha affermato che il ministro degli esteri dell’Oman, Badr bin Hamad Al Busaidi, svolgerà il ruolo di mediatore tra le due parti.

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Il formato dei colloqui ha rilievo perchè un negoziato diretto non c’è mai stato, anche nei precedenti negoziati con l’amministrazione Obama e con quella Biden, il formato dei negoziati è sempre stato indiretto.

Più recentemente, dall’insediamento di Trump, Teheran ha affermato che non avrebbe negoziato con il coltello alla gola, riferendosi alla “massima pressione” americana, cioè le durissime sanzioni economiche imposte da Washington proprio per il programma nucleare iraniano.

Questa pressione negli ultimi giorni è aumentata, con lo schieramento di una forza militare marina statunitense che prefigura un attacco in profondità sull’Iran con i soli mezzi che potrebbero colpire i laboratori nucleari – ossia, i bombardieri B2.

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Un aspetto da tenere presente è che il programma nucleare iraniano, definito da Tehran a scopi civili, ha raggiunto, secondo i controllori dell’Agenzia Internazionale per Energia Atomica, una produzione di uranio arricchito a livelli molto superiori a quelli necessari per l’uso civile, molto vicini a quelli richiesti per la produzione di ordigni atomici.

Ecco le due possibili vie: la rinuncia al nucleare, come fece la Libia, ipotesi evocata dal primo ministro israeliano come esito positivo del negoziato; o il suo mantenimento, ma solo per uso civile. Qui però entrerebbe in ballo la questione della verifica, che l’AIEA in passato ha definito deficitaria, con la proibizione di accessi, il danneggiamento di strumenti di controllo ed altro. Si sono valutate in passato anche altre strade, come il deposito all’estero dell’uranio arricchito iraniano.

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Tutto questo ha avuto un corollario appena accennato dalla stampa saudita ma rilevante: in quelle stesse ore il ministro della difesa saudita, Khalid bin Salman, ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo statunitense Pete Hegseth. Difficilmente non avranno parlato di questo, o anche di questo.

Riad e altre capitali arabe del Golfo hanno negato l’uso del loro spazio aereo per un attacco contro l’Iran, ma chiaramente favoriscono una soluzione che non consenta a Tehran di dotarsi dell’arma nucleare, che li minaccia. Dunque cosa fanno i sauditi?

La questione del nucleare iraniano per loro è di estremo rilievo e si intreccia con le questioni altrettanto rilevanti di Gaza, una situazione sempre più drammatica, libanese, ancora lontana da una soluzione, e con quella siriana, alla ricerca di una stabilizzazione che non si vede.

Esiste una strategia saudita? Esiste la possibilità evocata da qualche testata di un “grande negoziato”? Molto difficile dirlo. I nodi sono enormi, come i rischi.  E a maggio Donald Trump dovrebbe andare in visita ufficiale proprio a Riad.

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