
Il cantante e ora politico Robert Kyagulanyi, noto come Bobi Wine (Photo by Sumy Sadurni/AFP)
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Lunedì 29 settembre, l’Uganda ha ufficialmente aperto la campagna elettorale per le elezioni presidenziali previste per il prossimo 12 gennaio. Sono otto i candidati in lizza, ma l’attenzione è già concentrata sul duello annunciato tra il presidente uscente Yoweri Museveni, al potere da quasi quattro decenni, e il suo principale sfidante, il deputato e musicista diventato figura di spicco dell’opposizione, Robert Kyagulanyi, meglio conosciuto con il nome d’arte Bobi Wine.
Museveni sul terreno amico
È nel quartiere chic di Munyonyo, alla periferia di Kampala, che Yoweri Museveni ha lanciato il suo programma elettorale. Fedele al suo stile, l’ottantunenne presidente uscente ha insistito sui risultati ottenuti: relativa stabilità politica, modernizzazione delle infrastrutture e lotta al terrorismo in una regione segnata da tensioni. Museveni, che punta al settimo mandato, presenta il suo progetto come la continuazione di un’opera incompiuta, incentrata sullo sviluppo economico e sulla sicurezza nazionale.
Per i suoi sostenitori, il presidente rimane un pilastro imprescindibile della nazione ugandese. «Dobbiamo proteggere i risultati ottenuti dalla rivoluzione», ha affermato durante il comizio uno dei dirigenti del Movimento di Resistenza Nazionale (NRM), il suo partito. Il capo dello Stato si pone quindi come garante della stabilità di fronte alle incertezze regionali e a quella che definisce «l’immaturità» dei suoi avversari politici.
Bobi Wine, la voce dei giovani
A Jinja, nella parte orientale del Paese, l’atmosfera era nettamente diversa. Bobi Wine, 43 anni, ha attirato una folla entusiasta, composta soprattutto da giovani stanchi di quella che considerano una presidenza eterna. L’oppositore ha parlato con fervore, denunciando la corruzione endemica, la povertà persistente e le disuguaglianze sociali che minano il Paese.
«L’Uganda ha bisogno di un nuovo inizio», ha ribadito, presentandosi come l’incarnazione del cambiamento e dell’alternanza democratica. Il suo messaggio semplice ma incisivo seduce una generazione nata e cresciuta sotto il regno di Museveni. Con i suoi slogan e il suo stile diretto, Bobi Wine intende canalizzare la frustrazione popolare, in particolare negli ambienti urbani e periurbani.
Oltre a Bobi Wine, altri sei candidati tenteranno la fortuna. Alcuni provengono dalla società civile, altri sono ex alleati di Museveni che ora hanno rotto con lui. Tuttavia, la frammentazione del ll’opposizione rimane una realtà. In un sistema elettorale ampiamente controllato dal potere in carica, l’unione delle forze contestatrici avrebbe potuto rappresentare una minaccia più seria.
Ciononostante, Bobi Wine si impone come figura centrale dell’opposizione. La sua capacità di mobilitare al di là delle divisioni tradizionali gli conferisce una legittimità che molti dei suoi concorrenti faticano a eguagliare.
Dubbi sulla trasparenza delle elezioni
La campagna elettorale si apre in un clima di sfiducia. Molte voci, sia all’interno che all’esterno del Paese, esprimono preoccupazione per la credibilità del processo elettorale. Le precedenti elezioni sono state caratterizzate da accuse di frode, intimidazioni, arresti arbitrari e violenze da parte della polizia contro i sostenitori dell’opposizione.
Già durante i primi comizi sono stati segnalati alcuni incidenti, con restrizioni imposte alle riunioni dell’opposizione in nome del mantenimento dell’ordine pubblico. Gli osservatori temono il ripetersi delle violenze che hanno insanguinato le precedenti elezioni presidenziali del 2021, durante le quali lo stesso Bobi Wine è stato arrestato più volte.
La campagna elettorale si preannuncia quindi vivace, ma anche tesa. Museveni, forte dell’apparato statale e della sua esperienza, punta sulla continuità. Bobi Wine, sostenuto dai giovani e dalla sete di cambiamento, spera di trasformare lo slancio popolare in una vittoria elettorale.
L’Uganda, paese di quasi 48 milioni di abitanti, si trova a un bivio storico. Tra il perpetuarsi di un regime insediato dal 1986 e l’aspirazione di una parte della popolazione a un’alternanza democratica, le elezioni del 12 gennaio rivestono un’importanza capitale.
Se la campagna elettorale si svolgerà senza particolari intoppi e le elezioni saranno ritenute credibili, l’Uganda potrebbe compiere un passo significativo nella sua storia politica. Ma se le tensioni si acuiranno e la trasparenza sarà compromessa, il Paese rischia di sprofondare in una spirale di contestazioni e instabilità.
- In collaborazione con la rivista congolese J’écris, Je crie
Présidentielle en Ouganda : une campagne électorale sous tension
Lundi 29 septembre, l’Ouganda a officiellement ouvert la campagne pour l’élection présidentielle prévue le 12 janvier prochain. Huit candidats sont en lice, mais déjà, l’attention se focalise sur le duel annoncé entre le président sortant Yoweri Museveni, au pouvoir depuis près de quatre décennies, et son principal challenger, le député et musicien devenu figure de l’opposition, Robert Kyagulanyi, plus connu sous son nom de scène Bobi Wine.
Museveni en terrain familier
C’est dans le quartier huppé de Munyonyo, en périphérie de Kampala, que Yoweri Museveni a lancé son programme électoral. Fidèle à son style, le président sortant, âgé de 81 ans, a insisté sur son bilan : stabilité politique relative, modernisation des infrastructures et lutte contre le terrorisme dans une région marquée par les tensions. Museveni, qui brigue un septième mandat, présente son projet comme la continuité d’une œuvre inachevée, centrée sur le développement économique et la sécurité nationale.
Pour ses partisans, le président reste un pilier incontournable de la nation ougandaise. “Nous devons protéger les acquis de la révolution”, affirmait l’un des cadres du Mouvement de Résistance Nationale (NRM), son parti, lors du meeting. Le chef de l’État se pose ainsi en garant de la stabilité face aux incertitudes régionales et à ce qu’il présente comme “l’immaturité” de ses adversaires politiques.
Bobi Wine, la voix des jeunes
À Jinja, dans l’est du pays, l’ambiance contrastait nettement. Bobi Wine, 43 ans, a attiré une foule enthousiaste, surtout composée de jeunes, lassés de ce qu’ils considèrent comme une présidence éternelle. L’opposant s’est exprimé avec fougue, dénonçant la corruption endémique, la pauvreté persistante et les inégalités sociales qui minent le pays.
“L’Ouganda a besoin d’un nouveau départ”, a-t-il martelé, se présentant comme l’incarnation du changement et de l’alternance démocratique. Son message simple mais percutant séduit une génération née et grandie sous le règne de Museveni. Avec ses slogans et son style direct, Bobi Wine entend canaliser la frustration populaire, particulièrement dans les milieux urbains et périurbains.
Une opposition divisée mais résiliente
Outre Bobi Wine, six autres candidats tenteront leur chance. Certains viennent de la société civile, d’autres sont d’anciens alliés de Museveni désormais en rupture avec lui. Cependant, la fragmentation de l’opposition reste une réalité. Dans un système électoral largement contrôlé par le pouvoir en place, l’union des forces contestataires aurait pu représenter une menace plus sérieuse.
Néanmoins, Bobi Wine s’impose comme la figure centrale de l’opposition. Sa capacité à mobiliser au-delà des clivages traditionnels lui confère une légitimité que beaucoup de ses concurrents peinent à égaler.
Des doutes persistants sur la transparence du scrutin
Cette campagne s’ouvre dans un climat de méfiance. De nombreuses voix, tant à l’intérieur qu’à l’extérieur du pays, s’inquiètent de la crédibilité du processus électoral. Les précédents scrutins ont été marqués par des accusations de fraude, d’intimidations, d’arrestations arbitraires et de violences policières contre les partisans de l’opposition.
Déjà, certains incidents ont été signalés lors des premiers rassemblements, avec des restrictions imposées aux meetings de l’opposition au nom du maintien de l’ordre public. Les observateurs redoutent une répétition des violences qui avaient ensanglanté la précédente présidentielle de 2021, où Bobi Wine avait lui-même été arrêté à plusieurs reprises.
Entre espoir et inquiétude
La campagne électorale promet donc d’être animée, mais aussi tendue. Museveni, fort de l’appareil d’État et de son expérience, mise sur la continuité. Bobi Wine, porté par la jeunesse et la soif de changement, espère transformer l’élan populaire en victoire électorale.
L’Ouganda, pays de près de 48 millions d’habitants, se trouve à un carrefour historique. Entre la pérennisation d’un régime installé depuis 1986 et l’aspiration d’une partie de la population à une alternance démocratique, le scrutin du 12 janvier revêt une importance capitale.
Si la campagne se déroule sans heurts majeurs et que le scrutin est jugé crédible, l’Ouganda pourrait franchir une étape significative dans son histoire politique. Mais si les tensions s’exacerbent et que la transparence est compromise, le pays risque de s’enfoncer dans une spirale de contestations et d’instabilité.






Mi chiedo se è giusto ad un popolo africano, formato da tante tribù, imporre un regime democratico tipico dell’occidente.
Ma non c’è proprio nessuno che sta “imponendo” un regime democratico all’Uganda. Se vogliamo guardare le cose da un pdv italiano, la seconda guerra mondiale ha effettivamente “imposto” all’Italia, allora fascista, un regime democratico a colpi di bombe e seicentomila morti. Eppure la memoria è corta come vediamo. Ma per tornare all’Uganda: Museveni ha imparato, nel corso dei decenni al potere, a giocare con le piccole leve di cui dispone per ottenere di non essere disturbato nella repressione interna, in cambio di un presunto ruolo di mediatore in una regione ricca di conflitti. In realtà ha profittato lautamente anche di quei conflitti e il bilancio è sicuramente negativo anche su quel versante. In estrema sintesi: sul piano interno Museveni ha deliberatamente lasciato proseguire per vent’anni la sanguinosa ribellione nel nord del paese (Lord Resistence Army), al fine di annientare la volontà di opposizione e di resistenza dei popoli non-bantu del nord al progressivo controllo (state capture) del paese da parte dei popoli del sud (per usare una generalizzazione, diciamo affini ai Tutsi), in temporanea alleanza con i Baganda del centro del paese. Negli ultimi anni, con il nord ormai irrilevante, i Baganda si sono stancati dell’avidità di potere e denaro di Museveni e dei suoi affini, ed è emerso il fenomeno Bobi Wine, ormai maggioritario a Kampala e dintorni.
Sul piano delle relazioni esterne, l’ingerenza in Congo cominciò all’indomani del genocidio in Rwanda, essenzialmente come socio del Rwanda nel saccheggio delle risorse del Congo (avidità che a tratti alterni ha messo nel corso degli anni Uganda e Rwanda in rotta di collisione). Eppure Museveni non ha mai subìto neppure quelle critiche che Kagame ha ricevuto (anche lui a tratti alterni) da parte di alcuni occidentali. E poi ci sono i piccoli trucchi per dividere il fronte occidentale (per modo di dire, perché assai incoerente e frammentato), che Museveni e Kagame si copiano l’un l’altro: per esempio l’apertura dell’Uganda ai rifugiati sud-sudanesi, la partecipazione alla forza africana in Somalia, l’offerta di accogliere richiedenti asilo dall’Europa (buoni ultimi gli olandesi, voce importante nell’UE, che sembra stiano mettendosi d’accordo con Museveni in questo senso, e utile in vista delle prossime elezioni per minimizzare reazioni negative ai brogli inevitabili)