Nelle tue vie, Gerusalemme

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Gerusalemme, dal Monte degli ulivi (AP Photo/Leo Correa)

Sandra Manzella è autrice del volume Gerusalemme ancora, Oligo Editore 2024. Giordano Cavallari le ha posto alcune domande sul libro e sulla sua grande passione per Gerusalemme.

  • Cara Sandra, nella prefazione al tuo libro, il cardinale Pizzaballa ti definisce “insieme pellegrina commossa e turista curiosa”: ti riconosci?

Sono una viaggiatrice commossa, senz’altro, in un luogo che non è fatto di semplice adamah, terra, sostrato, bensì è eretz, cioè territorio pregno di storie e di culture animate. Impossibile non commuoversi di fronte a questo: a persone ed eventi. E sono anche certamente curiosa, pronta a cogliere al volo occasioni che sconvolgono i programmi accuratamente preparati in precedenza. Nel mio vagare lento per i vicoli di Gerusalemme, mi perdo e mi ritrovo, mai stanca. Recupero angoli conosciuti e ne scopro di nuovi, mi soffermo sui dettagli nascosti agli occhi frettolosi dei più: archi e volte, marmi scolpiti, fregi.

Occorre avere lo sguardo giusto su Gerusalemme, vedere oltre i muri scrostati, la sporcizia, i mattoni sconnessi, i fili penzolanti e le mercanzie spesso dozzinali. Gerusalemme va conquistata in un’incessante ricerca. Va, persino, sopportata con rassegnazione, come un’amica un po’ scontrosa che non vuole rivelare subito i suoi segreti, ma che, col tempo, si rivela affettuosa e fidata. È proprio il tempo che questa città pretende da me, da noi: vuole avere la possibilità di svelarsi, vuole che si torni a trovarla, che la si ascolti nei suoi suoni sovrapposti, che la si ami. E per amare serve tempo. I miei viaggi sono perciò necessariamente lenti, al di fuori della logica mordi-e-fuggi di tanti pellegrinaggi, purtroppo costretti in limiti di tempo non negoziabili.

  • Questo è il tuo secondo libro su Gerusalemme: dopo quante visite?

Il nuovo libro raccoglie le riflessioni e i resoconti di diversi ritorni (dal 2018 al 2023), miei e di viaggiatori con cui condivido l’amore per la terra di Israele. È il secondo volume che dedico a questa città[1], spinta dall’idea di fissare le mie esperienze, affinché rimangano come traccia per altri che stanno, o staranno, per partire. Come il precedente libro, non è una guida per turisti: è un po’ diario, un po’ reportage, un po’ saggio con suggerimenti, limiti e omissioni.

  • Perché tanta fascinazione per Gerusalemme?

Gerusalemme accoglie e offre le risposte che cerchiamo. Ci cattura. Non ho mai conosciuto nessuno che, avendola visitata una volta, non desideri tornare: uno, dieci, vent’anni possono passare, non importa. Ogni pellegrino serba una visione legata a situazioni proprie e crea un personale legame. Dalla prima visita nel 1998, guidata dal mio insegnante, il biblista mons. Antonio Bonora, ho sempre avuto l’idea che qualcosa mi stesse aspettando laggiù. Sono seguiti molti altri viaggi: una, due, tre volte all’anno, tutti necessari. Dovevo coprire con i miei passi ogni singola pietra più e più volte, fino a essere rivestita dalla sua polvere dolorosa e antica. Sono stata ricompensata per la mia fedeltà: ho ricevuto affetto, amicizia, conoscenza.

Ogni viaggio regala emozioni profonde. In pochi chilometri quadrati vive la contemporaneità di culture, credenze religiose e stili di vita diversi. Basta osservare la folla. Lungo Al Wad, per esempio, l’arteria che taglia in due la città vecchia. In pieno quartiere islamico, da un portale sormontato da una menorah[2] di ferro (segno della presenza di una sinagoga) ti capitano davanti ragazze ebree osservanti che escono e si mescolano ad un gruppo di suore cristiane, mentre bambini musulmani si lanciano in rincorse tra i passanti. In poche decine di metri si incontrano islam, cristianesimo ed ebraismo; tutto è coesistente e nello stesso tempo diviso, come gocce d’olio in un bicchiere colmo d’acqua.

Mentre la città moderna si sta modificando, affamata di nuove aree edificabili: ruspe sventrano i quartieri periferici, nascono torri di vetro e cemento, centri commerciali, linee di treni urbani. Gerusalemme non resta immutata nei suoi millenni, secoli, anni. Cambia rapidamente. In tempi di pace e in tempi di guerra non ancora terminati, i confini più stabiliti sono rimessi in discussione. Le scoperte archeologiche portano a nuovi contrasti e creano tensioni sociali: lo storytelling vince sulla storia.

  • Quali sono i tuoi punti di riferimento fissi a Gerusalemme e in Israele?

Abitualmente alloggio presso il convento Ecce Homo, sulla Via Dolorosa, dove sono presenti le comunità Chemin Neuf e Dame Sion, che svolgono un prezioso lavoro nell’ambito del dialogo ebraico-cristiano. Poi ci sono gli amici protagonisti della sezione finale del libro, persone legate in vario modo a Gerusalemme o che vivono in Israele o vi ritornano spesso. Per citarne alcune: il compianto mons. Roberto Brunelli (Piubega 1938-Mantova 2022), scrittore e storico dell’arte, ideatore e direttore del Museo Diocesano «Francesco Gonzaga» di Mantova; padre Attilio Ghisleri (già delegato dell’ordine dei Carmelitani Scalzi per il Carmelo di Terra Santa); Lior Genah, esperto di storia e archeologia; Jessica Jasmine Barhom, imprenditrice di origine britannica, che vive a Ein Rafa e, insieme alla sua famiglia, gestisce un’attività di incontro tra gruppi di ebrei e arabi. Ogni viaggio rinsalda legami e ne crea di nuovi.

Un luogo che amo molto è Neve Shalom/Wahat Al Salam: sulla collina di Latrun, di fronte al monastero, dagli anni Settanta vivono in pace famiglie ebree e palestinesi. E poi il monastero carmelitano Stella Maris, a Haifa, che domina la stupenda baia: da lì, nelle giornate limpide, lo sguardo si spinge fino a San Giovanni d’Acri. Non dimentico la vivace Ramallah, il museo dedicato al poeta Mahmoud Darwish e l’opera straordinaria del Palestinian Embroidery Workshop, punto d’incontro per salvaguardare il ricamo palestinese, dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità. Molti pellegrinaggi, di solito, partono dal nord di Israele e giungono fino alle rive del Mar Morto: peccato, perché il deserto del Negev, da Beersheva fino al Mar Rosso, rappresenta un territorio affascinante.

  • Scavi, studi, ricerche in ambito ebraico, cristiano e islamico proseguono, nonostante tutto?

Prima di ogni viaggio mi documento in molti modi, sia con nuove pubblicazioni (il mio testo contiene una nutrita bibliografia), sia seguendo la stampa israeliana. Una possibilità interessante è il Sifting Project, sul Monte Scopus, ove volontari da tutto il mondo setacciano pazientemente i secchi del terriccio gettato nella valle dell’Hinnom per la costruzione della moschea di Marwan sulla Spianata delle moschee, dove sorgeva il Tempio. I reperti vengono analizzati e collocati nei musei israeliani. Piange il cuore nel costatare come luoghi storicamente rilevanti siano trascurati, come le tombe del Sinedrio, oppure la vasca di Erode a Mamilla, o il serbatoio di Ezechia, in pieno quartiere cristiano: si tratta di un enorme spazio tra le case, in cui sono riuscita ad entrare in modo del tutto fortuito.

Non dimentichiamo la Gerusalemme sotterranea: ci sono diversi hammam, bagni termali, alcuni inaccessibili perché in fondamenta di case private o di sinagoghe, altri semplicemente perché sono gestiti da enti culturali, come i due nei pressi del Mercato del Cotone. In ambito cristiano, ho visitato alcuni monasteri e lo studio di restauro delle icone alle spalle del Santo Sepolcro; ho potuto trovare l’entrata orientale della basilica costantiniana nelle profondità di un monastero russo, spazio ora inaccessibile. Ci sono molti altri posti nascosti, come ad esempio la strada romana sotto la monumentale porta di Damasco o le tombe dei Profeti o le necropoli sul Monte degli Ulivi, in cui si entra solo a lume di candela.

La ricerca archeologica prosegue nonostante tutto e in ogni ambito, seppur lentamente: dalla piscina di Siloe della Città di Davide con la «strada dei pellegrini», allo scavo di fronte alla basilica del Getsemani. Si sta procedendo pure sotto la plaza del Muro Occidentale, molto in profondità, sia in prossimità del Muro stesso, sia di fronte: sta venendo alla luce una porzione straordinaria della Gerusalemme antica.

  • Tu sei stata nella città anche molto recentemente. Nel libro parli di “aria di conflitto”. Come hai respirato quest’aria?

Nel corso del Novecento e in un passato recente, la storia ha segnato il destino di Gerusalemme, in bene per alcuni, in tragedia per altri: il Mandato Britannico del 1917, la nascita dello Stato d’Israele, la proclamazione di Gerusalemme Ovest come capitale nel 1950, l’entrata dell’esercito israeliano nel 1967, la condanna del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la prima e seconda Intifada (1987 e 2000), la costruzione della barriera nel 2002, il trasferimento dell’ambasciata americana nel 2017, la dichiarazione dell’ebraicità dello Stato d’Israele nel 2018, le azioni terroristiche contro i civili dopo il brutale attacco di Hamas nell’ottobre 2023 e la conseguente invasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano. Questa è una sintetica carrellata di eventi locali con grandi ripercussioni in ambito mondiale.

Ho personali ricordi del valico di Eretz e dell’invasione di Gaza nel 2014, delle sparatorie dalle case vicine al mio alloggio, delle sirene antimissile. Nel luglio di quest’anno (2024) ho raggiunto Sderot, a soli quattro chilometri dal confine con Gaza, in direzione dei kibbutz distrutti da Hamas e dell’area del Nova Festival, insieme a un sopravvissuto all’eccidio. Ho ascoltato i resoconti di chi ha avuto lutti, di chi ha figli al fronte. Ho raccolto la disperazione di amici palestinesi che stanno dall’altra parte del conflitto e che vedono solo rovine intorno a loro. Tutti soffrono, e tutti sono meritevoli del nostro rispetto. La crisi economica è profonda, i costi della guerra salgono, il lavoro si perde, si vendono i beni personali per sopravvivere. I pellegrini non arrivano più, se non gruppi sporadici o pochi viaggiatori indipendenti, come me, e le strade della Città vecchia sono vuote.

  • Ti dichiari affetta dalla sindrome di Gerusalemme: cos’è?

La sindrome di Gerusalemme esiste, è una trappola psicologica che incanta e incatena, perché lì tutto è troppo: troppa storia, troppa spiritualità, troppa archeologia, persino troppi conflitti. Si resta sopraffatti. Ci si può identificare in personaggi biblici, oppure credersi profeti. Io ero affascinata dalla figura della profetessa Hulda, che esercitava il suo dono di conoscenza nei pressi del Tempio: ne ho cercato le tracce, ma obiettivamente è difficile distinguere il desiderio dalla verità storica.

  • Ci tornerai, dunque, appena possibile? A cercare, cosa?

Tornerò, certamente, come già programmato. Nuove emozioni mi aspettano, perché la città è inesauribile in ogni stagione, nella quotidianità come nella varietà delle sue feste. La permanenza resta sempre incompleta: tornare è inevitabile.


[1] Sandra Manzella, Gerusalemme, viaggio al centro del mondo, Unicopli, Milano 2018.

[2] Candelabro a sette bracci per richiamare la simbologia dei sette giorni della creazione. È uno dei simboli più conosciuti dell’ebraismo.

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