Leone e la “Destra” cattolica

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leone xiv

L’ascesa al trono papale di Leone XIV sembra aver scatenato una vera euforia nel cattolicesimo che chiameremo, convenzionalmente, «conservatore». Si potrebbe osservare che, per essere più precisi, l’esplosione di entusiasmo è legata anzitutto all’uscita di scena di Francesco. Fin dall’inizio del suo pontificato, Bergoglio era stato appiattito da questi settori di Destra sull’immagine di uomo del cambiamento, intento ad avviare la Chiesa cattolica verso pericolose praterie di novità o, addirittura (la parola è stata usata in modo inflattivo) di «riforma».

Non sorprende che questo stereotipo sia stato condiviso e incoraggiato, naturalmente con valutazioni di segno opposto, dagli ambienti cattolici che si presentano come «progressisti». Lo stile popolare, e un po’ populista, di Bergoglio, la sua attenzione a temi umanitari di carattere globale come le migrazioni, e anche, genericamente, il suo piglio sudamericano, abbastanza nuovo per il palcoscenico mondiale di piazza San Pietro, hanno fornito materiale a questa narrazione, alle preoccupazioni angosciate degli uni e ai continui annunci di mirabolanti novità da parte degli altri.

Francesco, da parte sua, si è comportato come una sorta di «parroco del villaggio globale», proponendo un suo personale cocktail di bonomia, pietà popolare, tradizione e autoritarismo (quest’ultimo meno visibile in televisione, ma unanimemente confermato dalle persone bene informate, o sedicenti tali, di tutti gli orientamenti), assai poco adatto, a parere di chi scrive, a essere sintetizzato da un’etichetta come «progressismo», fosse anche intesa nei suoi termini più vaghi.

Anche il dualismo con il predecessore è stato probabilmente costruito e vissuto più dai rispettivi clan che dai protagonisti, entrambi ben consapevoli (certo: ciascuno a modo proprio), che un’istituzione come il papato faccia i papi molto più di quanto i papi facciano il papato. Il celebrato «cammino sinodale» ha costituito una buona sintesi del «franceschismo»: un invito a discutere e a partecipare, con ripetuti e bruschi colpi di freno al minimo sospetto anche solo dell’auspicio di cambiamenti sul piano strutturale.

Ciò non è bastato, tuttavia, né a tranquillizzare i «conservatori», né a ricondurre i «progressisti» a una maggiore sobrietà. Gli inizi di Leone XIV appaiono assai misurati. Marcate differenze personali rispetto al papa argentino, ma anche professioni di continuità, fino a far propria l’esortazione apostolica Dilexit te, sulla povertà, che mostra ben chiara la matrice «franceschista», del resto immediatamente dichiarata.

L’osservatore esterno, non in grado di millantare informazioni di prima mano di provenienza vaticana (e, anzi, un poco disorientato da quelle di seconda, terza e quarta mano, che invece abbondano), è portato a considerare l’attuale entusiasmo della «Destra» cattolica in termini quasi speculari a quello della «Sinistra» (si fa sempre per dire) per Francesco: da una parte, una marcata forma di wishful thinking, cioè di tendenziale sovrapposizione tra desiderio e realtà; dall’altra, un tentativo di «mettere il cappello» sul nuovo pontificato, rivendicandolo a sé.

Siamo però solo agli inizi e certamente, col tempo, diversi elementi si profileranno con maggiore chiarezza. Un tratto particolarmente interessante sarà costituito dall’atteggiamento di Leone nei confronti del sincretismo religioso di Destra che sembra impazzare nel segno di Trump e che ha il suo più vistoso reggicoda cattolico in J.D. Vance. Come intende posizionarsi il papa americano con cittadinanza peruviana?

Da un lato, la classe non è acqua e la tradizione cattolica, comunque la si valuti, ha uno spessore che non è commensurabile con l’abissale volgarità del trumpismo e nemmeno con il suo carattere, appunto, sincretistico. Dall’altro, resta vero che «i nemici dei miei nemici (e i nemici del Vaticano, sono sempre quelli: cultura woke, qualunque cosa essa sia, diritti civili, lotta contro l’aborto clandestino, visione laica della democrazia e della scuola e simili) sono miei amici», almeno in un certo senso, almeno per un tempo.

Chissà, forse i «conservatori», qualche ragione per festeggiare, ce l’hanno davvero.

Fulvio Ferrario è professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Articolo ripreso dal sito della rivista Confronti, 6 novembre 2025

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