
Una bella canzone di Fabrizio De Andrè parla delle nuvole, dicendo che «vengono, vanno, alle volte ritornano». Questo è vero per tutti i cieli. A me sembra però che nel cielo della Chiesa ci sia una nuvola che offusca la percezione di una luce che tutti dovrebbero aver visto; lo smarrimento di molti «lontani» per la morte di Francesco ha evidenziato la forza del fatto cristiano, non del papa progressista. Francesco ha saputo comunicare ai lontani la forza del messaggio cristiano, coinvolgendoli. Non è sorprendente che questa evidenza sia stata poco considerata?
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L’emozione, la commozione, lo smarrimento di tanti diversamente «lontani» ci ha detto che non c’è un rifiuto a farsi incantare di nuovo, ma il vecchio modo di operare, di presentarsi, lo rendeva quasi impossibile, perché la forza del cristianesimo agli occhi di questi lontani non risaltava con quei modi «autoritari». Francesco è riuscito ad abbattere questo muro lasciando chiaramente intendere che la Chiesa non si fa solo con chi va in Chiesa, perché questo danneggia la Chiesa e un messaggio che ci è presentato anche attraverso la testimonianza importante di alcuni lontani, come il Centurione o la Samaritana: ma danneggia anche chi è disponibile a scoprire che il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dirgli.
Ecco allora che si capisce perché molti «lontani» hanno davvero capito qualcosa di Francesco, non frainteso.
La Chiesa fatta da chi va in Chiesa è una «Chiesa chiusa», che parla a se stessa, ma in fin dei conti respinge, mentre checché se ne dica, la forza che papa Francesco ha comunicato a molti è la forza del cuore del messaggio cristiano liberato da strani pastrani: così è emersa la sua intrinseca natura rivoluzionaria, portando molti allontanati, o allontanatisi, o che dicono di non credere, a piangere o sentirsi smarriti perché è morto un papa.
Non era un papa progressista che li attraeva, ma il suo modo di presentare nei gesti e nelle parole il Vangelo. Andare da questi milioni di esseri umani immaginandosi qualche metro al di sopra di loro, coperti d’ori, o di codici, o con linguaggi per addetti ai lavori, non è possibile. Sono lontani? Vedendo Bergoglio con la borsa in mano, seduto in una Cinquecento, sentendolo parlare come loro, percependo che lui li ha riconosciuti come sono quali esseri umani, fratelli, non gli ha fatto vedere «l’ideologia progressista», ma un uomo che crede, non che li giudica per quanti alleluia riescono a dire o non dire durante la loro giornata.
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Questa forza è la forza del cristianesimo che in lui si è sprigionata verso chi si è allontanato, o si ritiene lontano, o è altro. Un cristianesimo che non respingendo, ma abitando anche fuori dai suoi spazi ufficiali, con gli altri, con chi ha dubbi, si è fatto riconoscere facendo sentire riconosciuti gli altri. Tutto questo, detto molto semplicemente, ha posto le basi di quello che moltissimi ritengono prioritario: una nuova alleanza nel nome di un nuovo umanesimo, civile, il cuore palpitante della predicazione di Francesco, quello che fa della sua Chiesa in uscita una Chiesa che non si fa solo con chi va in Chiesa, ma anche con quei cattolici che a causa del clericalismo non ci vanno più, con i secolarizzati ai quali Francesco ad Ajaccio ha riconosciuto di voler concorrere, a modo loro, alla ricerca del bene comune, oltre che con gli altri credenti.
È l’urgenza di questa l’alleanza che Francesco ha fatto emergere nella realtà, muovendo la sua Chiesa ospedale da campo, per tutti, ma soprattutto vedendo la guerra mondiale a pezzi che si va componendo. È una corsa contro il tempo, per il nostro futuro, che ci allontana dall’ «edonismo» suprematista, di ogni suprematismo, anche quello individualista, o d’elezione. Per riuscirci occorre sapere conquistare l’ascolto degli altri, quello che saprebbe certamente ottenere una Chiesa non più clericale.
A metà ottobre 2023 L’Osservatore Romano ha dato conto di queste parole di Francesco: «O la Chiesa è il popolo fedele di Dio in cammino, santo e peccatore, o finisce per essere un’azienda di servizi vari. E quando gli agenti di pastorale prendono questa seconda strada, la Chiesa diventa il supermercato della salvezza e i sacerdoti meri dipendenti di una multinazionale». Non si riferiva alla solita polemica sulla Chiesa che non è una ONG, per capirci. No, si riferiva al clericalismo alla luce di quanto detto poco prima da suor Liliana Franco, intervenuta al Sinodo:
«Doña Rosa ha settant’anni – aveva raccontato la teologa colombiana – e ogni pomeriggio esce a visitare i malati del suo quartiere, assicurandosi che abbiano cibo e una vita dignitosa. Fino a sei mesi fa portava loro anche la Comunione, ma il nuovo parroco le ha detto che questa non è più una missione per lei. Saranno i ministri dell’Eucaristia a farlo; uomini che sono stati equipaggiati con una divisa colorata».
Rosa «continua a camminare per le strade del suo quartiere, a visitare gli ammalati, ma non può più portare Gesù Eucaristia, i protocolli lo impediscono». Poi c’è «Martha – ha aggiunto – che ha completato un dottorato in Teologia, con voti migliori dei suoi compagni maschi. La pontificia università in cui si è laureata ha deciso che non poteva darle un titolo canonico perché è donna, che il suo sarebbe stato un titolo civile. Ma questo è già un risultato, perché fino a pochi anni fa le donne nel suo Paese non potevano studiare Teologia, ma solo Scienze religiose. Altre, tante donne, non hanno posto nel Consiglio parrocchiale o diocesano, anche se sono maestre, catechiste, coloro che curano le ferite dei malati, che servono i migranti, che guidano i giovani e giocano con i bambini».
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Tra i grandi temi di questo Conclave c’è anche questo, per me soprattutto questo: il clericalismo, questo clericalismo, quello di cui ha parlato Liliana Franco, «o la Chiesa del popolo di Dio, santo e peccatore, in cammino». Ma il ritorno del clericalismo può avvenire in tanti modi, anche conservando la nuova liturgia.
Un esempio è stato quello offerto davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore, quando ai cosiddetti «poveri», lì voluti con disposizione scritta da Francesco, non è stato consentito l’accesso né al corteo né alla basilica: c’erano i sediari vaticani per portare la bara, i cardinali, i vescovi e altri appartenenti al clero per formare il corteo, ma loro dovevano restare fuori. Non si tratta semplicemente di osservare che l’implicito in quella disposizione, e cioè che gli ultimi diventassero i primi almeno al suo ultimo saluto, non è stato possibile, o voluto, ma che a loro è stato consentito solo di parcheggiarsi sulle scale esterne. Francesco sarebbe dovuto scendere nei dettagli della loro partecipazione, o non emarginazione dal rito, dalla sua sepoltura.
Questa esclusione esemplifica l’esclusione del laicato cattolico dalla Chiesa clericale. Il clericalismo fa del clero il padrone di casa.
Il clericalismo non crea un problema solo con il popolo di Dio, con i laici e con le laiche, ma crea un problema anche con i cosiddetti «lontani»: tra questi non ci sono soltanto quelli che si sono allontanati dalla fede praticata, ma è giusto partire da loro. Per qualcuno costituiscono una zona grigia, perché tutto va incasellato, irrigidito, definito. Ma questa zona è fatta da persona che si dicono «cattoliche» e se la Chiesa non scegliesse di abitare nel loro spazio, più che la Chiesa di questa Europa e in questa Europa diventerebbe un’altra cosa. La nostalgia spesso non aiuta, non serve. Per riuscirci occorre liberarsi dal clericalismo, che è quello che ha allontanato questi cattolici «normali», che magari usano la pillola, o praticano il sesso prematrimoniale, senza pensarli «crimina graviora».
A pensarci bene abitare in questa «zona grigia» vorrebbe dire abitare nella realtà, non soltanto per accettarla ovviamente, ma per conoscerla e capirla, «farsi dialogo» con il mondo che c’è, non con un altro (cf. qui su SettimanaNews). Pensare che i soldati debbano ancora vestirsi come vestivano nel Medio Evo non aiuterebbe gli eserciti odierni ad essere efficienti. Abitare questi nuovi quartieri del mondo credente metterebbe in contatto anche con ambienti che li riguardando, ma che non si sentono credenti.
Qui si entra, ritengo, riconoscendo all’uomo d’oggi il diritto ai suoi dubbi, alle sue incertezze. Molti hanno trovato in questo riconoscimento la forza che altri non hanno, non possono avere. E questo ha attirato verso Francesco, con tanti dubbi sulla sua Chiesa percepita molto più indietro di lui. Ma l’avvicinamento, l’attenzione, la fiducia ci sono stati, e non vedere che questo è derivato dalla percezione che fosse un prodotto evangelico è grave.






Oggi più che anni fa, i sentimenti e le emozioni attraggono le persone: bisogna chiedersi però per quanto tempo e soprattutto se, ridotto l’effetto del picco chimico che accompagna le emozioni forti, ci sono persone che desiderano convertire il loro modo di essere e di fare, per accogliere e vivere nella quotidianità il Vangelo.
Diversamente c’è stato annuncio, ma non sequela. Se alla prima difficoltà i nuovi proseliti cadono e vengono meno, l’annuncio ha fallito.
Che ognuno debba rinnovarsi è fuor di dubbio e così anche la comunità di fedeli nel suo complesso, ma non mi fermerei e non mi accontenterei a fissare lo sguardo su i funerali dell’ultimo Papa, guarderei un po’ più in profondità e su un più vasto orizzonte.
L’annuncio va fatto a tutti, tutti, tutti, ma la rete va gettata dalla parte dei buoni se si vuole che sia riempita di pesci.
Tra parentesi i lontani attirati dal Papa che piace faranno spesso la fine dei semi della parabola. Alcuni cresceranno rigogliosi, ma molti si spegneranno per assenza di cure. È successo anche a molti tradizionalisti attirati dal Summorum Ratzingeriano. All’entusiasmo iniziale è seguita una coda polemica spesso scivolata in posizioni sedevacantiste più o meno esplicitate. Viviamo in un mondo con un’offerta religiosa plurale fin troppo ricca. La Chiesa cattolica, con la sua storia millenaria, dovrebbe fare da centro aggregatore più che rincorrere questo o quello…
Se è per questo ci fu maggior partecipazione con GP II e anche BXVI ha attirato più fedeli del previsto nonostante i funerali giustamente meno formali.
Siamo alle solite: o siamo convinti che lo Spirito accompagni sempre la Chiesa nella pluralità delle sue voci oppure ci faremo sempre la nostra piccola Chiesa in cui difenderci dalla necessità dell’incontro con l’altro. Lo diceva già San Paolo e non c’è nulla di nuovo.