Romano Penna, Sua Esegesi

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È deceduto la sera del 18 gennaio, don Romano Penna, presbitero della diocesi di Alba, a lungo professore di discipline neotestamentarie alla Pontificia Università Lateranense di Roma.

Per me, eterno dilettante in questioni neotestamentarie (e in molte altre, a dire il vero), ma lettore accanito e appassionato, Penna, più che un esegeta, era l’Esegesi. I suoi grandi commentari (rinuncio all’elenco: è più breve ricordare i libri sui quali non ha pubblicato; però Romani, in 3 volumi, resta un monumento) non sono di facile lettura, a motivo dell’acribia analitica: lo studioso è un panzer, che procede nelle questioni, esaminando un’ipotesi dopo l’altra (Dieci? E sia!) con pazienza e determinazione. Spesso la tentazione è di saltare subito alle conclusioni, tanto sull’apparato argomentativo si può stare tranquilli. Ma anche la fatica della microanalisi ha il suo fascino, spesso si impara qualcosa di assolutamente nuovo da una nota.

Poi c’è una serie chilometrica di opere su singoli temi, dalla cristologia neotestamentaria alla storia delle comunità delle origini. Negli ultimi anni, è diventato importante per me Un solo corpo. Sacerdozio e laicità nel cristianesimo delle origini, Carocci.

Lo rileggerò nei prossimi giorni, ma la mia memoria dice che ogni riga è musica celestiale alle orecchie di un lettore evangelico. L’idea di Chiesa (e di ministero; e di sacerdozio; e di sacrificio) che Penna illustra è sostanzialmente quella che un’ecclesiologia protestante (se non fosse a volte, anch’essa, stucchevolmente clericale) dovrebbe sviluppare. Quando ne ho parlato con lui, fatto spallucce e, con il suo accento piemontese, ha commentato: «Beh, è la Bibbia… Poi c’è la dogmatica della Chiesa e su quella non dico nulla…». Nella stessa occasione, mi ha raccontato di aver ricevuto una volta una lettera dall’allora Congregazione per la Dottrina della Fede. «Ahi ahi…», ha pensato. Invece era la nomina a consultore, o qualcosa del genere.

La conoscenza personale viene dalla collaborazione alla Lateranense, ma è soprattutto un regalo di un amico comune, Giuseppe Lorizio, che abitava insieme a lui in una residenza per sacerdoti (si dice così, nonostante il libro di don Romano!) sull’Aurelia e diverse volte ha invitato a pranzo mia moglie Beata Ravasi e me, insieme al grande Penna: si potrebbe dire un onore, se l’espressione non avesse un che di convenzionale, del tutto fuori luogo con un personaggio del genere.

È morto a 88 anni, la malattia si è manifestata mentre era in giro per conferenze, ha lavorato fino all’ultimo a ciò che lo appassionava e sarà ricordato assai a lungo da quanti continueranno a usufruire della sua enorme preparazione. Quando la Bibbia parla di «benedizione», dev’essere qualcosa del genere.

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2 Commenti

  1. Angela 21 gennaio 2025
  2. Emanuele 19 gennaio 2025

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