
«Don, per favore, mi segna una messa per il giorno…?». «Mi dispiace, signora, ma per quel giorno la messa è già stata prenotata». Non era raro udire questo colloquio fino agli anni Ottanta del secolo scorso, cioè fino a cinquant’anni fa. Si rispettava una tradizione secolare. Il canone 945, primo paragrafo, del Codice di diritto canonico parlava chiaro: «Secondo l’uso approvato dalla Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la messa, ricevere l’offerta data affinché applichi la messa secondo una determinata intenzione».
Poi qualcosa è cambiato e, lentamente, quasi con circospezione, si è iniziato a cumulare più intenzioni (con le relative offerte) in una sola messa.
Ad evitare abusi e pratiche scorrette, la Congregazione per il clero, emanò, nel 1991 il decreto Mos jugiter. Vi si legge tra l’altro:
* Contravvengono a questa norma e si assumono la relativa responsabilità morale i sacerdoti che raccolgono indistintamente offerte per la celebrazione di messe secondo particolari intenzioni e, cumulandole in un’unica offerta all’insaputa degli offerenti, vi soddisfano con un’unica santa messa celebrata secondo un’intenzione detta «collettiva».
* Nel caso in cui gli offerenti, previamente ed esplicitamente avvertiti, consentano liberamente che le loro offerte siano cumulate con altre in un’unica offerta, si può soddisfarvi con una sola santa messa, celebrata secondo un’unica intenzione «collettiva».
* In questo caso è necessario che sia pubblicamente indicato il giorno, il luogo e l’orario in cui tale santa messa sarà celebrata, non più di due volte per settimana.
La nuova normativa
Leggendo queste norme, appare evidente che la prassi delle messe celebrate con «intenzioni collettive», era già stata monitorata e disciplinata dall’autorità ecclesiastica.
Allora – si chiederà qualcuno – perché il Dicastero per il clero ha pubblicato lo scorso 13 aprile un nuovo decreto sul medesimo argomento?
In alcuni contesti il numero esiguo di sacerdoti rende difficile esaudire tutte le richieste di messe da applicare. In tal caso, il decreto permette al sacerdote di «celebrare differenti messe anche secondo intenzioni “collettive”». Non c’è più, quindi, la norma delle sole due messe settimanali con la fissazione del giorno, del luogo e dell’orario.
Occorre però osservare alcune condizioni:
- tutti gli offerenti devono essere informati ed esprimere un consenso esplicito,
- se questo consenso manca, si presume che l’offerta sia data per una messa «individuale»,
- il celebrante trattenga per sé «una sola offerta per una sola intenzione tra quelle accettate»,
- i vescovi, laddove è possibile, vigilino perché sia sempre garantita la celebrazione di messe per intenzioni singole,
Il testo del Dicastero per il clero raccomanda vivamente che il sacerdote mantenga l’impegno di celebrare la messa secondo l’intenzione per cui è stata fatta l’offerta. Lo richiede la giustizia nei confronti degli offerenti. Bisogna inoltre evitare che queste intenzioni «collettive», con le relative offerte, appaiano come un «commercio» di cose sacre. Da qui l’obbligo della trasparenza nel segnare negli appositi registri le messe ordinate, le offerte ricevute e le intenzioni degli offerenti.
Opportuni richiami
Visto poi che il celebrante può usufruire di una sola offerta, il decreto incoraggia la prassi di destinare le messe «in esubero» e le relative offerte alle diocesi più povere e ai paesi di missione. Un bel modo di favorire la solidarietà tra comunità ecclesiali.
Altro richiamo per i sacerdoti: essere sempre disposti a celebrare messe per i più poveri, senza esigere offerta alcuna, come espressione di carità pastorale. Il richiamo qui è che la Chiesa è la casa paterna e non una dogana.
Il testo accenna al valore delle messe applicate per i vivi o per i defunti: la partecipazione al sacrificio eucaristico, la comunione dei santi, la collaborazione per le necessità della Chiesa, il mantenimento dei suoi ministri, l’attenzione ai poveri.
Il nuovo provvedimento, approvato da papa Francesco e firmato dal cardinale prefetto del Dicastero per il clero, Lazzaro You Heung Sik, diventa esecutivo dal 20 aprile 2025, domenica di Pasqua. Con un proposito: verificare tra dieci anni se e come queste norme sono state applicate anche in vista di un eventuale «aggiornamento».






Penso sia giusto perché una sola messaggio può redimere il mondo intero. l’offerta è solo un aiuto al sostentamento del clero.
Io vado spesso in Brasile e cola da quando io lo frequento è sempre esistita l’offerta collettiva per una sola messa e molte intenzioni. Erano più avanti di noi? Erano già autorizzati? Comunque pensi di possa fare tranquillamente perché il sangue di Cristo è stato versato per tutti ed una sola messa può redimere i peccati del mondo intero. l’offerta e solo un aiuto materiale alla Chieda.
😆😆😆 tutti esperti di diritto canonico…😂😂
La materia è più complessa di quello che l’articolo fa trasparire: non è solo questione di intenzione e di offerta cumulative, il problema è che i fedeli possono partecipare alla messa della domenica o dei giorni festivi, perché per il resto della settimana sono impegnati nel lavoro. La cosa ha un aspetto molto positivo, perché è indice che chi ordina le intenzioni vuole partecipare alla messa. Ecco che allora si è venuti incontro col dire che per due volte alla settimana lo si può fare: sovente una di queste volte è
la domenica.
Nel resto della settimana non ci sono intenzioni, perché i fedeli non possono partecipare alle messe. Il prete è tuttavia invitato a celebrare comunque la messa anche da solo, ecco che allora le intenzioni accumulate tornano buone. Se poi pensate che il sostentamento del clero si realizza anche mediante l’offerta della messa, la cosa è più chiara e comprensibile a tutti.
Dal punto di vista teologico, la messa attinge all’unico sacrificio di Cristo e non è ripetizione del sacrificio della croce, ma memoriale. Per questo motivo tutte le intenzioni si cumulano nell’unico sacrificio pasquale. Non c’è quindi alcun problema in questo senso.
Secondo me dar sempre e solo la colpa al clero nasconde il rischio di non cogliere la realtà delle cose, contribuisce a far perdere la fiducia nei preti e diminuisce le vocazioni al sacerdozio ministeriale.
La questione vera, che illuminerebbe le menti sul motivo per cui da secoli esiste la prassi di far celebrare la Messa secondo una sola intenzione, è la dottrina teologica dei quattro “frutti della Messa” (nello specifico il “frutto ministeriale”). Ignorando questa dottrina non si centrerà mai il bersaglio, e sembrerà a tutti che la motivazione reale di questa prassi sia la solita offerta in elemosina consegnata ai preti. Il frutto ministeriale è legato al potere che il sacerdote celebrante ha di destinare il sacrificio della Messa per un’intenzione particolare. Potere che ha in quanto ministro della Chiesa. Questo frutto però – diversamente da quello “generale” che è estensivamente illimitato e infinito – è finito e limitato. Viene quindi suddiviso se le intenzioni sono molteplici. Quindi il fedele ha diritto a ricevere il massimo beneficio dalla Messa. Purtroppo, però, come spesso accade, la prassi pastorale viene motivata da consuetudini storiche delineatesi nel tempo (nel caso l’offerta, o stipendio delle messe), anziché dalla dottrina, ormai divenuta sconosciuta dai fedeli e dalla maggioranza dei sacerdoti.
https://www.amicidomenicani.it/circa-i-frutti-della-messa-le-chiedo-quale-sia-la-differenza-tra-una-messa-fatta-celebrare-dal-sacerdote-e-quella-nella-quale-io-per-conto-mio-vi-metto-lintenzione-e-lelemosina-corrispondente/
A me sembra che la verifica fra 10 anni sia troppo lontana. I tempi cambiano molto molto più in fretta
Nella mia parrocchia ho notato da un paio d’anni che l’intenzione per i defunti non viene più esplicitata.
Durante la preghiera dei fedeli il celebrante ricorda i nomi e fa pregare l’assemblea.
Poi, quando dovrebbe lui ricordare i defunti uno per uno, non lo fa.
Non credo che sia regolare.
Sinceramente la prassi di ricordarli durante la preghiera dei fedeli e non durante la preghiera eucaristica penso sia la norma dappertutto; penso di averli senti detti durante la PE solo a Messa veramente ‘intime’ (in cui tra l’altro il celebrante ha invitato i fedeli a dire loro i nomi).
Questa cosa ha due motivazioni:
– la gente vuole assolutamente sentire i nomi dei propri defunti;
– certe volte i nomi dei defunti sono veramente tanti, e dirli durante l’anafora pare inopportuno (e c’è il rischio di fare errori).
Normare senza motivare una “consuetudine”, ancorché storica, non ha molto senso.
Il problema, serio, riguarda che cosa motiva la celebrazione dell’Eucarestia, cosa “ottiene” e quanto si pensa “agisca” sulla misericordia del Signore in favore dei defunti …
Non basta richiamare la “comunione dei Santi” per giustificare una “prassi” abbastanza oscura: giustamente oggi, chi presiede e celebra l’Eucarestia, non si occupa e non vuol sapere dell’offerente; non vuole percepire il suo ministero come un mercato, quale che sia la sua forma e la sua modalità.
Grazie per l’attenzione