Il Dio dei poveri

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mela1

Il volume curato da Leo Guardado – docente alla Fordham University di New York e discepolo del fondatore della Teologia della Liberazione – raccoglie vari saggi di Gutiérrez, completandoli e editandoli in forma aggiornata nei riferimenti e nelle note bibliografiche.

L’opera si apre con la prefazione di papa Francesco (pp. 5-10), la Nota degli editori peruviani (pp. 11-12), la Nota del curatore (pp. 13-14), la Nota dell’editore italiano (pp. 15-16), il Prologo che ripercorre il tragitto teologico compiuto da Gutiérrez e sintetizza il tema del vivere e pensare il Dio dei Poveri (pp. 17-35), per concludersi con una Introduzione imperniata sul fare nostra la memoria di Dio: rapporto fra memoria e teologia, una teologia con occhi nuovi e con un filo conduttore ben preciso: il Dio dei poveri e con i poveri.

I contributi di Gutiérrez citano sporadicamente papa Francesco e si fermano praticamente all’inizio del suo pontificato. Dobbiamo notare che, in dieci anni, molte cose terribili sono successe sulla scena mondiale, come le guerre, l’esplosione della globalizzazione sfruttatrice, l’emergere talvolta incontrollato dell’Intelligenza Artificiale.

Quando l’autore accenna alla tecnologia informatica dalla quale spesso i poteri sono esclusi, va tenuto presente questo «progresso» a senso unico che si è andato sempre più sviluppando.

È inevitabile che in un volume così corposo siano presenti delle ripetizioni e della tematizzazione che potevano essere riassunte in modo più succinto.

I segni dei tempi

Il volume è organizzato in quattro parti.

La prima parte (pp. 49-128) è intitolata «I segni dei tempi».

L’autore annota che anche il Sud esiste e il fardello dell’umanità povera dell’America Latina e dei Caraibi ha fatto irruzione sulla scena mondiale specialmente nel corso del XIX secolo.

Lirruzione del povero è un segno dei tempi. Colpisce innanzitutto lo scandalo della povertà, che è una realtà complessa. Essa si configura come un’ingiustizia e non come sfortuna ed è una situazione che si aggrava sempre più.

La povertà è un segno dei tempi, un kairós che richiede un discernimento accurato ed empatico. Essa è anche una sfida perché presenta la morte del povero – fisica e sociale – e l’assenza di Dio (nei paesi ricchi). L’America Latina e i Caraibi – zone da cui Gutiérrez si situa per enunciare la sua riflessione – sono in attesa dei momenti opportuni.

L’autore dedica un paragrafo al rapporto tra il Regno e i poveri (pp. 89-108). Gesù annuncia il regnare di Dio che, con la sua persona, vuole raggiungere ogni uomo, liberandolo dalla povertà materiale e spirituale, ridonando dignità agli esclusi e agli scartati.

La povertà non è un destino ma una condizione inaccettabile. I primi discepoli di Gesù hanno capito subito che seguire le sue orme significava fondamentalmente abbracciare due prospettive: 1) Una sensibilità speciale per i poveri; 2) Vivere in povertà e distacco. La Chiesa è un impegno nel processo di liberazione.

La Chiesa dei poveri è, infatti, un segno del regno. È una questione di autenticità.

Della povertà nel mondo ha parlato il concilio. Giovanni XXIII nel 1962 affermava: «In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta qual è, e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri» (cit. a p. 98).

Caratteristica di tutto il volume è il recupero delle prese di posizione della Chiesa in Sud America e nei Caraibi attraverso le varie assemblee che caratterizzarono l’episcopato latinoamericano: Rio de Janeiro (1955), Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992), Aparecida (2007).

Trattando di Gesù e il Regno, l’autore sottolinea la liberazione integrale perseguita da Gesù. Si tratta di essere liberi per amare (cf. Lettera ai Galati), in vista di una giustizia che tenda alla fraternità.

«Come dire al povero che Dio lo ama, qui e ora?», si chiede lo studioso. Si tratta di parlare di Dio in un mondo adulto e maturo (cf. Bonhöffer). Gutiérrez analizza il Regno diverso inaugurato da Gesù, facendo notare l’unità della storia nell’orizzonte del Regno. Da qui nasce l’impegno di una nuova evangelizzazione, a partire dalla sfida severa derivante dalla nuova comprensione della povertà nel continente latinoamericano.

L’autore riflette sul significato biblico del povero e della povertà. C’è una povertà reale o materiale, la povertà spirituale e, infine, la povertà come impegno del cristiano (povertà evangelica).

L’episcopato latinoamericano ha sottolineato il fatto che la Chiesa è di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri. Di qui nacque l’espressione «scelta preferenziale per il povero». Una Chiesa povera si impegna con amore e fraternità a testimoniare la volontà di gratuità e di giustizia dell’amore di Dio per ogni persona e prioritariamente per i poveri e gli insignificanti, seguendo l’esempio di Gesù. L’opzione significa impegno, solidarietà, rifiuto della situazione in cui vive la maggioranza delle persone nel Continente latinoamericano.

La riflessione teologica è – secondo – Gutiérrez a servizio del compito evangelizzatore e deve essere sempre attenta al momento culturale, storico, sociale in cui il messaggio di Gesù è presentato. La teologia si interroga come dire al povero, a chi vive nel mondo dell’irrilevanza e dell’invisibilità nella storia, che Dio lo ama. È una teologia che annuncia Dio Padre/Madre in prospettiva liberatrice.

Riconoscere il volto di Gesù

La seconda parte del volume si intitola “Riconoscere il volto di Gesù” (pp. 129-210).

Lo studioso si pone dapprima nella prospettiva del dono della vita. Nota che in principio era la gratuità. Dio ci ha amato per primo, ricorda 1Gv 4,19. La prima creazione è stata di fatto il primo atto salvifico e creare è vita e liberazione.

Gutiérrez si sofferma, quindi, sulla povertà come negazione della vita e della giustizia. Analizza il rapporto tra giustizia e povertà ed esamina attentamente il vocabolario biblico del povero/povertà. Conclude il paragrafo con alcune riflessioni attualizzanti sulle situazioni di rilevanza sociale, stigma che segna popoli interi di una particolare specie di povertà.

L’autore prosegue la sua trattazione con alcune riflessioni circa il fatto che liberare è dare vita. Esamina il rapporto tra memoria e storia, all’interno di una lunga tradizione.

Il Regno annunciato da Gesù e il messaggio che esce da Nazaret consiste nel fatto che liberare è dare vita. Tutti i miracoli o “segni” compiuti da Gesù vanno in questo senso, a partire dal programma che Luca pone all’inizio del suo vangelo; Is 61, con i segni di liberazione preannunziati come tipici del profeta, sono realizzati da Gesù.

La giustizia non si oppone decisamente solo alla povertà ma è in vista della fraternità, che supera la pura redistribuzione delle risorse delle opportunità di vita, per tendere a una fraternità che crei un’umanità nuova, di figli di Dio, riuniti in pace e amicizia fraterna. Occorrono mani e cuore sempre aperti.

I poveri sono stati soccorsi da Gesù, dalla Chiesa primitiva e da quella lungo i secoli, eppure Gesù ha detto, realisticamente, che i poveri – di ogni specie – ci saranno sempre, perché la vita sulla terra non è ancora quella definitiva del Regno. Occorre, quindi, essere attenti a tutti, anche agli ultimi, far entrare nella vigna e nella dignità umana anche gli uomini che solo all’undicesima ora sono stati notati da Gesù, dalla Chiesa e dai suoi discepoli.

Dal mondo della pura mondanità occorre passare a un altro mondo. Dall’assimilazione si deve passare al riconoscimento dell’alterità accettata come risorsa per tutti. L’ebreo (giovane/o vecchio “capo”) chiede a Gesù cosa debba fare per ereditare la vita eterna, Gesù risponde con una proposta forte di discepolato: lasciare tutto per dare ai poveri e seguire un solo comandamento: amare Dio e il prossimo, amare Dio nel prossimo, nei poveri.

Alla controdomanda fatta poi su chi sia il suo prossimo, Gesù risponde con la celeberrima parabola del buon Samaritano. Uno straniero, eretico, si accorge del moribondo che giace sul ciglio della strada e si prende cura di lui con dispendio di energie, tempo e denaro. Sacerdoti e leviti osservano la Legge e passano dall’altra parte della strada. Che muove il cuore del Samaritano è la compassione/il sommovimento delle viscere (materne). Il Samaritano si fa prossimo ed è immagine di Gesù. Una parabola che invita alla conversione: non domandarsi su chi sia il mio prossimo, ma farsi prossimo.

Personalmente mi è sempre piaciuta la spiegazione del card. Martini. Se mettiamo il ferito al centro della parabola, nel momento in cui apre gli occhi vede come suo prossimo l’ultima persona che si sarebbe immaginato: uno straniero eretico. Il prossimo non è solo il povero e il malato, ma l’ultima persona che noi immaginiamo. Il prossimo sono tutti.

Sul volto del prossimo cè limpronta di Dio. Nell’incontro con l’altro si realizza e si tocca una profondità inimmaginabile prima. Cristo è nella “non-persona”. Ciò che si è fatto al più piccolo dei suoi fratelli (credenti o no, discepoli o no) è stata fatta a lui in persona. È lo splendido stile della pratica del servizio quella che Gesù insegna e mostra nella sua vita. Per lui esiste una doppia universalità: sorelle e fratelli più piccoli e tutti i popoli. Il prossimo è veramente sacramento di Dio.

Ogni popolazione colora Dio dei tratti della sua cultura. C’è anche il Dio cajacho, ricorda l’autore.

La triplice dimensione dell’opzione per il povero

La terza parte del volume porta come titolo “La triplice dimensione dell’opzione per il povero” (pp. 211-280).

Lo studioso sottolinea fin dall’inizio che seguire Gesù, vedere e sceglierlo nei poveri è innanzitutto uno stile di vita. All’irruzione di Dio nella nostra vita tramite Gesù e il suo Spirito, risponde una vita segnata dal martirio, dalla testimonianza, dalla solidarietà.

Segue una riflessione sulla mensa della vita, dove il teologo analizza il segno della moltiplicazione/suddivisione due pani computa da Gesù per i giudei e per i pagani. Occorre sporcarsi le mani nella pratica/prassi. Si condivide il poco ma, alla fine, tutti sono saziati.

Ricordarsi di Gesù ha un duplice aspetto. Ricordarsi della sua prassi e del segno dell’eucaristia che ha lasciato come sacramento vivo della sua presenza, corrispondente allo stile vissuto durante i suoi giorni.

Il discepolo ricorda non solo i gesti, ma lo stile di Gesù. Il Vangelo di Giovanni non ricorda l’istituzione dell’eucaristia, ma il gesto simbolico della lavanda dei piedi, che è l’esplicitazione concreta di ciò a cui l’eucaristia conduce: il servizio dei piccoli, dei deboli, dei poveri. Il discepolo deve fare lo stesso, senza paura di lasciare Dio quando, per soccorrere il povero, va da Dio…

Gutiérrez illustra quindi ampiamente lermeneutica della speranza che ha sorretto la sua vita e la sua opera teologica.

La metodologia della teologia della liberazione è la spiritualità. Si tratta di mettersi sui passi di Gesù, elaborando una teologia che nasca dalla vita, dalla prassi e non viceversa. La teologia è certamente scienza, ma è anche sapienza di vita. La teologia è strettamente intrecciata con la storia, e non elaborata a tavolino, asettica.

L’autore sottolinea con forza che il fondamento della speranza e della teologia della liberazione è cristologico. La fede in Cristo è strettamente intrecciata come base all’opzione per il povero. Il povero e la povertà sono un appello vibrante che interpella ogni discepolo di Gesù, tanto più il teologo che deve elaborare e diffondere una teologia della speranza e della solidarietà. Occorre uscire da sé stessi e dalla propria confort zone per incontrare gli altri. «Una Chiesa in uscita», dirà poi papa Francesco.

Il teologo è alla ricerca di un linguaggio su Dio. Qui, riprendendo riflessioni in parte già elaborate in precedenza, Gutiérrez parla del linguaggio della giustizia e di quello della gratuità.

L’autore ricorda, a questo proposito, il gesto bello della donna anonima che, in casa di Simone il lebbroso, versa il profumo sul capo di Gesù. Un gesto di pura gratuità. «… il discorso profetico denuncia la situazione di ingiustizia e l’espoliazione del povero, e le loro cause strutturali e morali. Senza l’esigenza di giustizia – annota l’autore – il linguaggio della gratuità corre il rischio di essere marginale rispetto alla storia, e può addirittura evaderne. Il ricordo della gratuità, a sua volta, fa sì che il linguaggio della giustizia allarghi la sua visione della storia, dell’essere umano e di Dio, e si presenti come amore e rispetto per l’altro. Entrambi i linguaggi sono richiesti e impiegati nell’opzione preferenziale per il povero, che tiene conto delle condizioni di vita, della sofferenza e della speranza degli insignificanti dell’America Latina e dei Caraibi e di altre aree povere dell’umanità» (p. 252).

Occorre avere la gioia della speranza – annota lo studioso –, cantare mentre si cammina, come suggeriva Agostino. Geremia esprime la sua speranza andando a comprare un campo nel bel mezzo della guerra e dell’assedio (cf. Ger 32,6-15)…

Riflettendo sulla lingua del discepolo, l’autore riprende ancora i temi della condivisione e del Regno.

Il Regno trasforma la storia e occorre ricordarsi dei poveri ed essere loro vicini. La giustizia è «parte indispensabile» della buona novella, e la fame e sete di giustizia è strettamente intrecciata all’annuncio del vangelo, che, a sua volta, è collegato in modo inscindibile alla tematica dei diritti umani. Occorre la testimonianza, unita alla credibilità. La «povertà spirituale» ingloba in modo naturale la solidarietà col povero, che è un’opzione trasversale nella vita cristiana.

Le grandi sfide alla proposta della buona notizia

La quarta parte del volume di Gutiérrez si intitola “Le grandi sfide alla proposta della buona notizia” (pp. 281-346).

Oggi la fede è posta in questione. Lo spirito del tempo inocula nell’uomo la non necessità di Dio e della fede in lui. Siamo in balìa delle intemperie. Bisogna ricordare che siamo uguali perché diversi e respingere in modo argomentato la critica che si avanza alla solidarietà.

La crisi della modernità porta il segno inconfondibile della frammentazione della conoscenza umana, parcellizzata nell’iperspecializzazione delle varie branche del sapere umano. La fede viene messa discussione, come non necessaria, segno di un uomo che non vive a pieno gli strumenti che la scienza e la tecnologia gli mettono oggi a disposizione.

Gutiérrez ricorda ancora la necessità di elaborare e di sviluppare un’economia solidale. Egli mette a confronto le idee e la prassi disumana del neoliberalismo e l’utopia dei poveri. Oggi si propugna un mercato incondizionato, che si è ulteriormente espanso dopo le ultime riflessioni di Gutiérrez con l’emergere di figure biecamente neoliberiste e totalmente fiduciose nell’ipertecnologia, con totale disprezzo per le popolazioni povere e oppresse (si pensi ai resort progettati dagli immobiliaristi per la striscia di Gaza o ai progetti interessati dei paesi “volonterosi” nel ricostruire l’Ucraina danneggiata dalla guerra…).

L’economia dev’essere guidata dall’etica, ricorda l’autore, altrimenti essa distruggerà interi continenti, a vantaggio di pochi ultramiliardari che giocano in borsa, in costruzioni per soli ultraricchi, in commercio di terre rare e di metalli indispensabili per la produzione dei chip.

I poveri sono una sfida e un giudizio. La povertà è una realtà complessa – ripete Gutiérrez per l’ennesima volta –. La teologia deve farvi fronte ponendo come punto vista da cui partire proprio le situazioni di povertà. Le teologie devono dialogare fra loro, mettendo in comune i risultati ottenuti anche nei paesi ricchi del primo mondo.

Il Dio dei discepoli di Gesù è un Dio che si schiera, teso fra universalità di salvezza e preferenza per i poveri. Una solidarietà con i poveri e il loro mondo.

Gutiérrez completa la sua fatica con una riflessione sulla sfida delle pluralità delle religioni. Questa pluralità pone una sfida a livello ecumenico e interreligioso. Ogni religione deve prendere a cuore il problema dei poveri.

Ci sono le “piccole” religioni dell’umanità. Resta fermo che, per l’autore, le teologie devono partire dal mondo dell’esclusione sociale e religiosa. La teologia elaborata in America Latina e nei Caraibi deve dialogare con le religioni autoctone.

Senza giustizia non c’è pace, ammonisce in conclusione Gutiérrez.

Nella sua Conclusione (pp. 347-352) l’autore rammenta la gioia e l’impegno di raccontare la storia di Gesù. Tessere l’intreccio tra vangelo e vita porta ad avere un annuncio liberatorio.

Il volume si conclude con i ringraziamenti al Dipartimento di teologia della Fordham University di New York e all’Institute for Advanced Studies della University of Southern California (USC) (pp. 353-354), che hanno concesso al curatore del volume semestri liberi dall’insegnamento e borse di studio.

Seguono la biografia di Gustavo Gutiérrez (pp. 355-358) e l’elenco dei libri da lui pubblicati (pp. 359-360).

Il volume rende ulteriore giustizia all’impegno di una vita coltivato dal fondatore della Teologia della Liberazione, riassumendo in un’unica opera le idee fondamentali del grande teologo peruviano (Lima 8/6/1928 – Lima 22/10/2024).

Gustavo Gutiérrez, Vivere e pensare il Dio dei poveri. Prefazione di papa Francesco, a cura di Leo Guardado (BTC 227), Queriniana, Brescia 2025 (or. sp. Instituto Bartolomé de Las Casas – Centro de Estudios y Publicaciones [CEP] 2025), pp. 368, € 42,00, ISBN 9788839936271.

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