Religione e politica, oltre la secolarizzazione

di:
in god we trust

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Era sembrato fino a qualche tempo fa che la secolarizzazione onnipervasiva avesse spazzato via del tutto i vecchi legami fra la religione e la politica, con la fine dei partiti politici confessionali e l’autonomizzazione civile delle masse di cittadini, non solo in Italia. Ed invece ci si accorge che gli scenari sono cambiati ma alcuni interessi comuni fra l’ambito religioso e quello politico riemergono con forza e talora più forti ed evidenti che non nel passato. Il plateale ricorso di qualche leader politico a simboli religiosi per legittimare la propria credibilità non è una novità dell’oggi ed anzi ripete schemi obsoleti, che però si pensava fossero stati messi definitivamente da parte.

Quello che appare e viene percepito a livello popolare e diffuso ha, in realtà, un peso ben diverso e motivato. Il filo rosso conduttore è una tendenziale diffidenza nei confronti di ogni commistione fra religione e politica, fra leadership religiosa e politica, fra valori confessionali e diritti/doveri del cittadino.

I dati di fatto

La ricerca sociologica serve anche a confutare qualche affermazione gratuita, non fondata, e tuttavia corrente e data per scontata. Per delineare meglio il quadro complessivo del rapporto fra religione e politica si può far riferimento a quanto risultante dalla duplice indagine (3238 questionari e 164 interviste approfondite) sulla religiosità in Italia (svolta nel 2017), i cui risultati sono stati resi noti nel 2020 in varie pubblicazioni (principalmente in Franco Garelli, Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna, 2020 e Roberto Cipriani, L’incerta fede. Indagine quanti-qualitativa sulla religiosità in Italia, Franco Angeli, Milano, 2020).

La sociologia si è interessata spesso alla distinzione fra pubblico e privato, contrapponendo il mondo del lavoro, della politica e della cittadinanza all’universo del quotidiano incentrato sulla famiglia, gli affetti, la sessualità, la relazionalità.

Già a partire dalla concezione delle feste tracima una chiara connessione fra dimensione religiosa e politica, come si desume dall’affermazione di un’intervistata di media cultura: «le festività cristiane sono la… il proseguimento delle festività già, come dire, istituzionalizzate da… da millenni di Impero romano, insomma, quindi che cosa penso delle festività? Che sono necessarie all’istituzione politica, religiosa, economica della Chiesa, hanno un motivo poi economico».

Soprattutto non è senza significato l’apparire del concetto di stato, nelle interviste qualitative, proprio in rapporto alla Chiesa: qui è evidente che la relazionalità fra politica istituzionalizzata e religione istituzionale fa problema (come sottolinea peraltro la stessa presenza del concetto di Chiesa nel novero dei sentimenti negativi sulla coppia Dio-Chiesa). Come scriveva William James (in Le varie forme della coscienza religiosa. Studio sulla natura, Bocca, Milano, 1945, pp. 291-292), «lo spirito della politica e il gusto delle regole possono allora pervadere e contaminare la cosa originariamente innocente; per modo che oggi, quando udiamo la parola “religione”, pensiamo necessariamente a qualche “chiesa” o simile; e ad alcune persone la parola “chiesa” suggerisce talmente l’idea di ipocrisia, di tirannia, di bassezza e della tenacia d’ogni superstizione, che, in modo generale e indeterminato, essi si gloriano dicendo che “sono assolutamente contrari a ogni religione”».

Anche quando si passa a considerare l’influenza della Chiesa sulla politica italiana (in Franco Garelli, op. cit., p. 111) l’orientamento che prevale è abbastanza critico, pur trattandosi di una semplice affermazione («La religione in Italia ha una grande influenza sulla politica», con una sola possibilità di risposta), che dà luogo però ad una constatazione di fatto: il 71,5% reputa che in Italia la religione influenzi molto o abbastanza la politica. Alquanto ridotto è il numero di quanti (il 21,2%) negano che ci sia un influsso ecclesiastico sulla politica. Non mancano i soliti astenuti che questa volta assommano al 7,3%.

Talora la presa di posizione dell’intervistato (un laureato, in questo caso) è piuttosto netta anche se generica e poco circostanziata: «mille anni fa all’incirca, la Chiesa cattolica promuoveva la guerra, ricordiamo le crociate, cosa che ancora appunto viene rinfacciata dalla cultura islamica. Perché poi alla fine l’istituzione religiosa è soltanto un… un’istituzione politica e che cura gli interessi economici. Io, ripeto, la religiosità ognuno la trova dentro di sé, non c’è bisogno di filtri che siano appunto le istituzioni religiose… le istituzioni religiose sono una politica, una para-politica, una commistione con la politica, con l’economia, con tutte le strutture che reggono le società che siano occidentali, che siano le culture orientali o le culture arabe, quindi cosa dire… l’istituzione religiosa è politica… sono interessi e… che non hanno nulla a che fare con la spiritualità che è in ognuno di noi… il paradosso è questo… proietta verso un Dio, una religione, ma allo stesso tempo se ne distacca».

Di tono meno aspro ma sostanzialmente convergente è il parere di una signora con un livello medio di istruzione: «non credo nella Chiesa a livello di istituzione, non credo quindi nella loro, nel loro, buono intento, anche perché penso che… oggigiorno anche, oltre alla politica comunque e alla corruzione che si dice comunque diffusa in altri ambienti, penso che comprenda anche la Chiesa».

Ancora più esplicita e diretta è un’altra intervistata, che dice: «se tu hai bisogno di un lavoro e conosci qualcuno all’interno di un ordine ecclesiastico, domani sei già dentro… per me loro hanno un potere, sono nella stessa linea della politica». Un’altra ancora così si esprime: «non credo nella Chiesa a livello di istituzione, non credo quindi nella loro, nel loro, buono intento, anche perché penso che… oggigiorno anche, oltre alla politica comunque e alla corruzione che si dice comunque diffusa in altri ambienti, penso che comprenda anche la Chiesa».

Chiesa e politica: orientamento critico

In riferimento alla figura di papa Francesco, sono in diversi a sperare che ci sia una svolta decisiva nella Chiesa cattolica e ad augurarsi un ruolo efficace del vescovo di Roma, che tratta con tutti al medesimo modo e non privilegia i potenti della politica e che «ha dato un segno a tutta questa sciaguratissima compagine di politici, politicanti, malversatori, che della natura se ne infischiano allegramente».

Inoltre, «papa Francesco è stato un personaggio voluto da un’area politica della Chiesa… per trovare consenso nel cristianesimo, perché stanno perdendo… Stanno perdendo [tono basso], stanno perdendo, nessuno si fa più prete, nessuno, ehm, allora deve trovare una figura povera, tranquilla, umile, con un grande carisma, ma che ti dà la possibilità di, tant’è che ha parlato pure dei gay».

Insomma, per l’influenza della Chiesa sulla politica l’orientamento è abbastanza critico. Va peraltro osservato che riesce difficile comprendere la funzione politica della religione e della Chiesa in particolare (emblematico è il caso del Vaticano che è al tempo stesso uno stato in senso pieno ed il luogo simbolicamente più rappresentativo di una confessione religiosa). Resta difficile comprendere la funzione politica della religione e della Chiesa. I giudizi su papa Francesco riguardano aspetti quasi sempre esteriori.

In particolare, sono i giovani che manifestano un dissenso accentuato nei riguardi della Chiesa come dimensione politica. Il distacco della nuova generazione non ha luogo più, come verosimilmente avveniva in passato, quasi come conseguenza della non condivisione della morale sessuale insegnata dalla Chiesa, ma piuttosto come scelta di ordine più ampio e generalizzato, che vede anche i credenti e praticanti schierarsi su posizioni che non tengono conto della Chiesa in quanto tale (nella misura del 65,4%).

E si spiegano così pure i vari no all’influenza della Chiesa sulla politica (al 71,5%), al potere della Chiesa (al 68,6%), alle figure dei preti (al 43,7%). Insomma, in circa metà del campione intervistato mediante questionario è assente la fiducia verso la Chiesa. Intanto, tuttavia, si chiede ad essa, da parte del 60,4%, di tenere ben fermi i suoi principi.

Infine, va ricordato che nelle 164 interviste qualitative la politica (od un contenuto ad essa affine) è citata 242 volte mentre religione registra 1109 occorrenze e religiosità 149.

Conclusione

Certamente il nesso fra religione e politica risulta problematico in Italia, in quanto poco accettato, ma d’altra parte s’invoca maggiore fermezza da parte della Chiesa nel tenere fede ai propri valori di base.

Nel contesto italiano, diversamente da altre situazioni del panorama internazionale, non viene affatto sottolineato l’interfaccia fra religione e violenza politica, largamente presente altrove, come sottolinea Bryan S. Turner nel suo volume Religione e politica. Una sociologia comparata della religione (Armando, Roma, 2018), che enuclea i numerosi casi nazionali in cui vi è completa separazione fra religione e politica mentre in altri ambiti culturali e territoriali l’unione è quanto mai solida.

Turner si sofferma particolarmente sul peso della secolarizzazione in materia di regime democratico, matrimonio, legislazione e conversioni e segnatamente sulla teoria liberale della libertà di culto.

Roberto Cipriani è professore emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, dove è stato direttore del Dipartimento di Scienze dell’educazione dal 2001 al 2012. È Past President della Associazione Italiana di Sociologia. Ha al suo attivo numerose indagini teoriche ed empiriche.

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