
Sandra Manzella – scrittrice mantovana, autrice di due libri su Gerusalemme (Gerusalemme, viaggio al centro del mondo, Unicopli, e Gerusalemme ancora, Oligo) – sarà per tutta l’estate nella terra e nella città santa, da cui raccoglie le testimonianze e le attenzioni che ci segnala.
Uno dei regali preziosi di Gerusalemme è la possibilità di confrontarsi con realtà ecumeniche altrimenti difficili da incontrare nelle nostre comunità di appartenenza. Come membro di Agorà delle Religioni di Mantova, tengo molto a valorizzare le opportunità. Ed è così che, in questo luglio 2025, mi ritrovo a Betlemme – in un’assolata Betlemme svuotata di pellegrini – con una lunga serie di saracinesche abbassate lungo i vicoli e ai lati di Manger Square, fulcro della città.
Strana combriccola, la nostra, formata da padre Theophilus (monaco copto), Linette (giovane gerosolimitana), sister Esther (suora nativa saudita) e io, curiosa scrittrice italiana. Quattro le lingue in cui comunichiamo: inglese, che funge come l’antico greco della koinè, arabo palestinese, arabo egiziano e un po’ di italiano.[i]
Pochi chilometri dividono Gerusalemme da Betlemme, e la strada è bellissima, con curve sinuose tra le colline. Traffico, sì, perché molte persone cercano refrigerio tra il verde del parco intorno alla sorgente Hanja. Ci stiamo avvicinando al checkpoint Al Walaja, spostato di circa tre chilometri durante la guerra con l’Iran.
Il Child Development Center
«Hai il passaporto con te, vero? Non c’è controllo andando verso Betlemme, ma saremo controllati nel tornare», si preoccupa padre Theophilus. Siamo, infatti, in Cisgiordania, in zona C, e un cartello rosso e bianco avvisa i cittadini israeliani che, per loro, qui è pericoloso. Se si alza lo sguardo sul crinale della collina, c’è un magnifico panorama verso la valle, si allineano villette a schiera bianche e squadrate, protette da un reticolato di filo spinato: un insediamento.
Noi proseguiamo fino al centro, oltrepassiamo Manger Square e la basilica della Natività e fermiamo l’auto con targa diplomatica davanti a un portone che si distingue dall’anonimato degli altri per l’insegna e i decori. Non sono certamente preparata alla realtà che sto per incontrare: «Nice is “bello”, right? So, what’s “bellissimo”?».
Spiego brevemente il significato, e insisto sul superlativo. Li uso a profusione, i superlativi, per manifestare tutta la mia ammirazione per il lavoro silenzioso di suor Esther – il nome completo è Esther William Zaki Salib – che scopro essere laureata in ingegneria elettronica, in seguito divenuta monaca a Betlemme, la città in cui ha fondato e dirige il Child Development Center.
«Siamo più conosciuti come Steps, cioè Passi: il nome allude ai complessi passaggi terapeutici per bambini con bisogni educativi speciali. Siamo qui dal 2017, e mi dispiace constatare che ora, nel 2025, siamo arrivati a un punto critico. Il Coronavirus prima, la guerra con Hamas e quella a seguire con l’Iran ci hanno messi in ginocchio. Te lo spiego più tardi, ora vieni a vedere di cosa ci occupiamo».
Dal grigiore anonimo della via passiamo a un mondo colorato di porte rosse, azzurre, verdi e gialle, debitamente contornate da profili e cerniere in gomma: «Servono a evitare il pericolo di schiacciarsi le dita, parecchi bambini sono maldestri e ci mettono un attimo a farsi male».
Questo magico mondo è gestito da un’associazione non-profit legata al Patriarcato Ortodosso Copto e ha come obiettivo fornire servizi e terapie per bambini con problemi linguistici, psicologici, fisici e dello spettro autistico. Un pool di specialisti fornisce supporto e collaborazione agli educatori per la realizzazione e l’utilizzo di strumenti idonei alla stimolazione intellettiva, sensoriale e fisica in generale, con ambienti concepiti appositamente per migliorare abilità e benessere. C’è anche un valore aggiunto: il dialogo interreligioso calato nella vita reale.
«Al piano terra abbiamo l’asilo, aperto a tutti per assicurare l’inclusione e favorire l’amicizia tra pari. Certamente, quando arrivano nuovi utenti, attiviamo le diagnosi per verificare eventuali ritardi intellettivi e nello sviluppo. Utilizziamo diffusamente arteterapia e musicoterapia e incoraggiamo le attività creative e manuali. Forniamo anche i pasti adatti alle varie esigenze. Le nostre classi sono composte da un massimo di sei bambini, raggruppati per età e caratteristiche da trattare. Non rifiutiamo mai un ingresso, accettiamo tutti: le famiglie arabe ci portano i figli da tante località della Cisgiordania, e si tratta di famiglie sia cristiane sia musulmane. È così anche per gli educatori e gli specialisti che collaborano con noi: guardiamo la professionalità, non la religione».
Le lezioni si tengono da settembre a maggio; avendo noi un legame con il Patriarcato Copto, chiudiamo per le nostre feste, che sono in date diverse da quelle cattoliche; le famiglie musulmane seguono il loro calendario. «Non c’è alcun conflitto, ma molto rispetto per la fede dell’altro», spiega suor Esther, mentre ci aggiriamo tra la cucina e i servizi, ambienti puliti e luminosi.
Un soffitto azzurro con nuvolette bianche caratterizza la “sala delle emozioni”: alle pareti sono appese sagome di ragazzi ad altezza naturale, dai volti intercambiabili a seconda delle emozioni provate: grandi sorrisi per la felicità, bocche spalancate o imbronciate per esprimere rabbia.
Suor Esther si avvicina a uno scaffale e apre alcune scatole che contengono le tavolette sensoriali dal fondo di sabbia colorata per poter disegnare con le dita, e ancora diversi tipi di memory games, secondo il metodo Montessori, per distinguere, abbinare e ricordare colori e suoni.
«Su queste carte i numeri sono impressi in rilievo con brillantini per una doppia memorizzazione, visiva e tattile, facilitare il coordinamento tra stimoli diversificati. E questo è il gioco della famiglia: un grande cubo sulle cui facce sono riprodotti prototipi familiari. Lo si getta e, a seconda di chi appare (mamma, papà, fratelli, sorelle, nonni), si chiede al bambino di parlare di loro: questa attività è fondamentale per farci capire le relazioni affettive primarie ed esprimere i propri sentimenti».
Una sala adiacente è riservata ai giochi di ruolo. In vari punti sono stati ricostruiti minuscoli ambienti: la clinica di un medico, una cucina, il laboratorio di un falegname e del meccanico, il bancone di un negozio. Un soppalco con materassini serve per il riposo e per ascoltare la lettura di storie fantastiche. Sempre su questo piano, ricavato nell’ampio corridoio, si trova un palco per gli spettacoli e semplici recite.
Saliamo sulla grande terrazza dal pavimento ricoperto con un tappeto di erba sintetica, così da poter restare a piedi nudi: è questo uno spazio prezioso con automobiline a pedali, un tappeto elastico per saltare in libertà, una tenda, casette e un castello in cui entrare, nascondersi e uscire dalle finestrelle attraverso gli scivoli. Sicuramente i bambini saranno affascinati da questo mondo in miniatura e non si accorgeranno, come invece noi adulti, della prigione sottostante, nell’edificio accanto, oltre che del panorama che spazia lontano, sulle colline pietrose che circondano Betlemme.
Bambini “speciali”
«E ora andiamo in ambienti speciali, e anche qui dovrete togliervi le scarpe. È l’ala dedicata ai ragazzi affetti da spettro autistico. La chiamiamo l’Arca di Noè, perché invita a salvarsi insieme. Ecco perché la vedi dipinta sull’intera parete d’ingresso. Tutti i bambini meritano un salvataggio!».
In effetti, un’enorme arca campeggia proprio davanti a noi, da cui fanno capolino i musetti dei più disparati animali con espressioni buffe; un arcobaleno abbraccia tutta la scena, e su di esso vola la colomba della pace e della speranza.
Come richiesto, a piedi nudi, oltre una tenda, percorriamo un breve corridoio al buio, illuminato soltanto da fili colorati con cui si può giocare spostandoli e annodandoli, e un pannello anch’esso luminoso, con elementi in rilievo. Stiamo camminando su un tappeto bianco di materassini morbidissimi. Tutto è studiato per sollecitare stimoli visivi e tattili, ma non sonori.
Le stanze sono, infatti, isolate acusticamente per favorire il lavoro degli specialisti, volto a migliorare l’attenzione e la concentrazione dei bambini autistici, il cui cervello capta e amplifica enormemente tutti i rumori. Qui i piccoli possono giocare con le proiezioni sul pavimento, da toccare con mani e piedi, sdraiarsi, dondolarsi sulle altalene e osservare i flussi colorati all’interno di grandi lampade verticali.
Riprendendo le scale, entriamo nell’area adibita alla fisioterapia, anche questa a perfetta misura di bambino: padre Theophilus non rinuncia a tirare un paio di pugni al punching ball, Linette si avvicina agli attrezzi colorati per esercitare i muscoli delle gambe, io sono attratta dall’angolo con la vasca di sabbia.
Il racconto di suor Esther
Suor Esther, come è arrivata a costruire tutto questo? Qual è il suo percorso?
«Sono nata in Arabia Saudita, cresciuta e laureata in Kuwait, dove ho lavorato come ricercatrice e ingegnere elettronico per alcuni anni. Il trasferimento in Egitto mi ha permesso di affrontare esperienze diverse come responsabile del controllo qualità in alcune aziende: ecco dove ho imparato a fare manutenzione e ad arrangiarmi per le riparazioni. Poi è arrivata la chiamata: sono stata consacrata religiosa al monastero copto di Santa Maria qui a Betlemme».
Mi ha accennato a un momento di forte criticità per il centro Steps:
«Sì. Andava tutto benissimo, il centro era frequentato da un’ottantina di bambini, ma dal terribile 7 ottobre 2023, molte famiglie hanno dovuto affrontare enormi difficoltà finanziarie, perché i genitori hanno perso il lavoro e non potevano più pagare la retta. Abbiamo cercato di riformulare e ridurre le attività a seconda dei numeri diminuiti dei frequentanti, almeno per rispondere ai bisogni più urgenti, ma abbiamo accumulato un alto debito per l’affitto: circa quarantamila dollari! E considera che ne servono circa tremila mensili per far funzionare tutto il sistema».
Suor Esther tiene gli occhi bassi mentre spiega. Il suo tono di voce è calmo, ma sofferto. Sono un insegnante anch’io e so cosa significhi sospendere terapie e attività per bambini con bisogni speciali. Non si tratta soltanto di non progredire, bensì di regredire, perdendo i risultati già raggiunti.
«Abbiamo sempre avuto sostenitori e ricevuto donazioni, perché il centro è conosciuto, ma in questo momento tutti sono in grande affanno economico. Mi sono rivolta a innumerevoli associazioni, cooperative pubbliche e privati, senza ottenere alcun aiuto; tutti sono in affanno economicamente. Una strada di cui devo verificare la percorribilità è quella di chiedere in comodato d’uso un edificio abbandonato: molti Palestinesi se ne sono andati a vivere all’estero, chi ha potuto ha raggiunto parenti e amici soprattutto in Europa. L’dea è quella di iniziare da capo, ma vedi bene che si tratta di un cambio drastico, che richiede pianificazione attenta e disponibilità finanziaria. Qualunque aiuto, dunque, è ben accetto».
«Nel frattempo, non siamo rimasti con le mani in mano; il nostro team non si è fermato. Visto che questo è un periodo di crisi, c’è necessità di agire in modo mirato sui più fragili, perché i piccoli assorbono tutte le emozioni e le tensioni che li circondano, e i bisogni aumentano. Abbiamo elaborato progetti specifici per contribuire a migliorare la qualità di vita di tutta la nostra comunità, rendendola più consapevole, più inclusiva, più coesa».
Steps: un centro che va conosciuto, sostenuto, valorizzato. Bellissimo, come un superlativo (per contatti: stepsbethlehem@gmail.com).
[i] A questa antica comunità cristiana fondata in Egitto – con il termine “copto” i Greci indicavano gli egiziani – appartengono ora il cortile sul tetto del Santo Sepolcro, Deir al Sultan, e la cappellina nella Rotunda, dietro l’Edicola della risurrezione.






I cristiani copti in Egitto — specialmente nell’Alto Egitto — vivono da secoli una situazione difficile: discriminazioni sociali, povertà endemica, episodi di violenza settaria e pressioni per conversioni forzate. Ricordo ci sono associazioni come l’Associazione cristiana per l’Alto Egitto che cercano di sostenere istruzione e dignità, ma le sfide sono enormi e spesso invisibili alla comunità internazionale.
Perché allora alcuni leader religiosi copti si occupano anche dei cristiani di Palestina e Cisgiordania?
mentre i cristiani copti del ‘alto Egitto sono in una condizione povera discriminata non di rado oggetto di conversione forzata all’islam, le donne bruciate vive a causa di vari incidenti. L’associazione cristiana Upper Egypt fondata nel 1940 cerca con fatica di sostenere il livello dei giovani cristiani copti immersi nel mondo musulmano. Sapendo che i cristiani della Palestina sono sotto gli occhi di tutto il mondo mentre i copti dell’Egitto Come mai questa dispersione di energia? . scusate se il mio commento puoi sembrare retorico.
Articolo toccante, specialmente nell’immagine dell’arca per salvare tutti i bimbi.
Molto interessante
Significativa la tua testimonianza Sandra, fa amaramente pensare che talvolta solo grazie all’iniziativa individuale e al buon cuore di alcune persone, c’è un bagliore di speranza per il futuro di questi bambini sicuramente meno fortunati di tanti altri. Ci hai raccontato esempi di umanità sicuramente da diffondere e, se possibile, da imitare.
Chissà se queste brave e caritatevoli persone sanno che a poca distanza sta avvenendo un genocidio. Sembra che la situazione sia complicata da un momento di crisi nulla di più. Sono davvero basita
Se legge l’articolo, c’è scritto. La crisi economica è dovuta alla terribile situazione complessiva. Queste “brave e caritatevoli persone” lo sanno molto bene e fanno il possibile per mantenere viva un’istituzione meritevole, lavorando nel contesto in cui sono inserite.
Non capisco il senso del commento onestamente.
Cara Sandra in un periodo così difficile che attraversa il paese in cui ti trovi tu e le persone che ti affiancano avete un grandissimo cuore e tutte le persone che hanno l’onore di conoscervi. Potranno ricevere un aiuto prezioso. La Verità delle tue parole è così forte che risulta impossibile non esserne coinvolti.Cerchiamo tutti di sostenere i progetti di aiuto per tanti ragazzi e famiglie che solo grazie a voi possono sorridere alla vita. Grazie per farci conoscere da vicino una situazione reale che i media non raccontano.
A te, Sandra, che con i tuoi viaggi e con i tuoi racconti ci hai fatto conoscere un mondo a noi, non troppo conosciuto.Tu hai il dono di raccontare con delicatezza tutto quello che i tuoi occhi raccolgono e la tua penna trasforma per noi. Continua questo tuo viaggio ancora una volta insieme alle tue guide. Aspettiamo .Maria
Bellissima testimonianza e iniziativa da sostenere per tutti questi fanciulli in difficoltà. Grazie per quello che stai facendo Sandra.
Grazie Sandra! Articolo molto interessante e che ci fa conoscere, in piccola parte, Betlemme. Non mollare le informazioni e i tuoi scritti ci calano in realtà che non conosciamo! Grazie mille
Interessante ritratto della situazione che molti di noi lettori e lettrici non possono vedere in questo periodo. Grazie per questo prezioso report.