Srebrenica 30 anni di dolore

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Srebrenica

Dopo la dichiarazione dell’ONU del 2024 che ha indicato l’11 luglio come giorno di memoria per il genocidio perpetrato dalle forze militari serbe su 8.172 uomini e ragazzi musulmani a Srebrenica nel 1995 (cf. qui), varie manifestazioni sia sul luogo del massacro sia a Sarajevo hanno ricordato la tragedia.

6.000 persone hanno partecipato a una marcia di tre giorni (100 km) raccogliendo sul posto altre miglia di persone fra sopravvissuti, testimoni e cittadini.

Le autorità della Bosnia-Erzegovina, rappresentanti dell’Unione Europea e capi di stato di Croazia, Slovenia, Kosovo e Montenegro hanno ricordato il massacro.

Presenti anche le Chiese e gli esponenti dell’islam ma non la Chiesa ortodossa serba.

A Sarajevo sono suonate le sirene, il traffico e i pedoni si sono bloccati per un minuto in una giornata dichiarata lutto nazionale.

Srebrenica è considerato il capitolo più oscuro della guerra in Bosnia-Erzegovina (1992-95). Sulla rivista Courrier des Balkans (11 luglio) alcuni dei pochissimi giornalisti serbi indipendenti (collaboratori della rivista Vreme) hanno ricordato come quella tragedia fosse stata sistematicamente oscurata. Solo grazie ad alcuni informatori sul posto e a comunicati radio era possibile ottenere qualche elemento.

Si sapeva che 700 persone erano uscite da Srebrenica e solo 300 erano arrivate al sicuro. Ma, quando Miša Vasić ottenne da un testimone il numero di 1.600 vittime, la redazione temette di trovarsi davanti a una sovrastima.

L’attuale presidente della Serbia, Aleksandar Vučiċ, allora giovane deputato e segretario del partito al governo, aveva detto poche settimane prima dell’intervento dissuasivo della Nato: «Bombardate, uccidete un solo serbo, e noi uccideremo centinaia di musulmani e vedremo se la comunità internazionale oserà bombardare le posizioni militari serbe».

In quei giorni si stavano preparando i luoghi dei massacri (scuole, officine, radure), erano pronte le scavatrici per le fosse comuni e gli autocarri per il trasporto dei cadaveri. Il massacro, come hanno dimostrato le carte giudiziarie del tribunale internazionale nel 2007 e poi il tribunale dell’Aia nel 2017, avvenne fra l’11 e il 16 luglio 1995.

Dejan Anastasijević commenta oggi: «Il crimine inimmaginabile di Srebrenica è stato un genocidio il cui obiettivo era di annientare definitivamente la popolazione musulmana della regione perché non potesse più rialzarsi qualunque fosse l’esito della guerra».

Responsabili i dirigenti non i popoli

Ci sono voluti dei mesi per avere un’idea più precisa dell’accaduto e, successivamente, le autorità serbe hanno imposto una narrazione vittimistica. Spostando indebitamente le responsabilità da chi guidava allora lo stato e l’esercito all’intero popolo serbo, hanno trasformato le censure internazionali e giudiziarie in accuse ingiuste contro l’intera popolazione serba. E questa indicazione è stata fatta propria dalla Chiesa ortodossa che è diventata la custode e la promotrice della “coscienza nazionale” (cf. qui).

Non casualmente patriarca e sinodo hanno scritto nel 2024: «Eleviamo con fermezza la voce e denunciamo la menzogna assoluta e il tentativo di revisionismo storico senza precedenti. Il popolo serbo, vittima di molteplici genocidi e di “pulizie etniche” viene dichiarato colpevole di genocidio, rovesciando i fatti. Non minimizziamo l’ampiezza dei crimini commessi a Srebrenica, ma in quanto serbi ortodossi non ignoriamo i crimini commessi contro il popolo serbo nei dintorni di Srebrenica. Purtroppo tali crimini commessi in villaggi serbi dove famiglie intere sono state sterminate e che si sono prolungati dal 1992 al 1995 sono ignorati dai fautori della risoluzione (onusiana). Per loro esiste un diritto esclusivo al sacrificio e al dolore. Per noi invece le vittime innocenti sono tali, che siano musulmane, croate o serbe».

Nessun rappresentante della Chiesa serba era presente nella celebrazione della memoria. In un comunicato del 20 maggio scorso si scrive, richiamando l’assoluta emergenza della Metochia – l’area di tradizione serba dentro i confini del Kosovo a rischio di occupazione – e ricordando in un passaggio anche Srebrenica: «La Chiesa che continua ad alzare la voce anche oggi ha denunciato ripetutamente le falsità dello spazio mediale pubblico nazionale e globale il cui obiettivo è il revisionismo storico che darebbe legittimità a una manipolazione storica senza precedenti. Secondo questa, i serbi ortodossi, vittime di molteplici genocidi e pulizie etniche dovrebbero essere dichiarati non solo criminali, ma attori del genocidio»: conclusione che nessuno ha mai tratto.

Il patriarca Porfirio il 27 giugno ha incontrato i membri del comitato per la commemorazione delle vittime serbe della Drina e del Birë (le aree serbe della guerra in Bosnia-Erzegovina), che hanno il compito di onorare le molte vittime serbe negli anni 1992-1995. Il giusto riconoscimento a tutte le vittime (si parla di 100.000 morti) è invocato per coprire la responsabilità personale della dirigenza serba di quel periodo, ancora ai vertici dello stato.

Un groviglio di passioni che si può attraversare non coprendo le responsabilità dei dirigenti, ma con l’onestà storica e la ricerca di memorie riconciliate.

Finora – come ha sottolineato il portavoce dell’arcidiocesi cattolica – la riconciliazione è resa difficile dalla scelta della Chiesa ortodossa serba di non partecipare alle memorie comuni e di sottrarsi ad ogni attività d’insieme. Il vescovo Tomo Vuksič ha detto: «Le tombe delle vittime sono una costante memoria del male della guerra. Rappresentano anche una fervente invocazione per la pace e un forte appello a porre fine a tutti i conflitti bellici e ad ogni forma di violenza contro la vita umana».

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