Leggere Genesi

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Quando leggiamo il primo capitolo di Genesi, siamo presi da una diversità di sentimenti: bellezza, stupore, meraviglia, senso di grandezza e di potenza. Prima del principio c’è il vuoto, il caos. Poi l’incipit stupendo: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque».

Poi ogni giorno Elohim riempie quel vuoto, arricchendolo di tutto ciò che costituisce il mondo vivente nella sua diversità e specificità.

La creazione è il volere divino che si compie istantaneamente. Ebbe inizio con la parola: «Dio disse: “sia la luce”; e la luce fu»: parole che l’anonimo autore di Del Sublime ricorda come esempio di rappresentazione della grandezza divina; del Verbo che era in principio.

La bontà della creazione

A unire il creato è la bontà del Creatore, ripetuta ad ogni momento creativo: «Dio vide che era cosa buona». E la bontà unisce anche e dà senso ai racconti di questo primo libro della Scrittura. La bontà – dice Marylinne Robinson nel bel libro Leggere Genesi – è l’«attributo della creazione», l’aspetto che la distingue da ogni altro racconto del Vicino Oriente con cui si è voluto fare un confronto per vedervi «i segni di un prestito, e il prestito come prova che i testi biblici sono derivati» (p. 13).

Sebbene s’incontrino affinità tra il racconto della creazione o del diluvio con altri testi babilonesi, Genesi è «un complesso e inconfondibile enunciato o visione o rivelazione o midrash teologico. Il suo contesto e la sua allusività rendono palese che è un’opera letteraria» (p. 61).

Il confronto di Genesi ebraica con i miti delle altre religioni del Vicino Oriente non è fatto dalla Robinson per mettere in evidenza una sua superiorità rispetto agli altri. Il confronto rivela, invece, la natura del Dio ebraico-cristiano, che è innanzitutto l’unico Dio, e il suo rapporto con la creazione, caratterizzato dalla bontà, dalla provvidenza, dalla sollecitudine verso l’uomo e la sua vita stessa, perché la creazione è vita; «siamo noi a crearla e a distruggerla, ma non sappiamo cos’è (p. 58)».

Il libro di Genesi – sembra dire Robinson – è il libro del costante rapporto tra Dio e l’uomo. Dio è là che guarda e segue l’uomo, pur nella sua caduta, nella sua malvagità e incorreggibilità. È il Dio della Grazia, dell’amore, della compassione e della misericordia, che Gesù ricorderà nella parabola del figlio prodigo, dove il padre non impedisce al figlio di andare, lo lascia libero; ma, quando torna, gli corre incontro e gli getta le braccia al collo. Non è “perdono”: è solamente amore.

Adamo ha appena peccato, ma Dio gli promette già la redenzione. Lo caccia dall’Eden, ma lo veste di tuniche di pelli.

Possiamo fare i confronti che vogliamo con gli altri miti simili: non vi troviamo nulla delle caratteristiche che legano il Dio biblico all’umanità: giustizia e fedeltà, giustizia e amore, che raggiungeranno la pienezza con la kènosis del Figlio di Dio.

 Dall’alto dei cieli, Dio, guarda la terra. Potrebbe ancora addolorarsi vedendo che la malvagità degli uomini non è mutata e che sta distruggendo il creato «opera delle sue dita». Ma non lo fa: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza» (Gen 8,21). È la promessa. Egli non può riprendersi la libertà che ci ha donato, dando «valore alla nostra autonomia» (p. 54).

L’uomo può essere malvagio, vendicativo, tracotante, disobbediente, ma porta sempre stampata in sé l’immagine e la somiglianza di Dio; e Dio sempre si ricorderà di lui, sempre dimentica le sue colpe. La creazione è la bontà di un Dio che crea per l’umanità, il motivo del suo agire nella storia. Egli ha dato all’uomo il potere sulle opere delle sue mani.

La leggenda del diluvio – nota la Robinson – «arriva ad affermare una verità cruciale: che gli esseri umani sono una famiglia. Dopotutto condividono una comune discendenza, una comune natura, un comune godimento della grazia di Dio nella sua alleanza con ogni carne» (p. 81)

L’umanità è una, e di essa può essere simbolo la costruzione della città di Babilonia, nella pianura dove tutti giunsero dopo il diluvio.

Un intreccio di storie

La storia dei personaggi di Genesi è la storia di Dio che si fa conoscere attraverso di essi; la storia della sua alleanza col suo popolo; la storia della sua presenza nella storia. Dio della promessa, ma anche della storia, in cui la promessa dovrà avverarsi, nonostante il comportamento spesso criminoso degli uomini che la vivono.

Storie che s’intrecciano, s’incontrano, si ripetono in mutevoli significati che la Robinson cerca di definire. I racconti di Genesi sono racconti che pongono la storia degli uomini di fronte a tutta la creazione: «la grandiosa espressione dell’intenzione divina che ha santificato così radicalmente l’umanità» (p. 261). La creazione è e rimane cosa buona.

La storia degli uomini è quella che è, fatta di pensieri malvagi, di vendette, di omicidi…; ma «perfino in una vicenda orribile come un omicidio, criminale o giusto che sia, tale santità rimane immutata» (ivi).

Tuttavia, è da qui che si muove la storia provvidenziale. Dio è al di sopra della storia, ma anche dentro di essa, «lontanissimo e vicinissimo», con un suo imperscrutabile disegno provvidenziale, nel quale c’è anche la sofferenza e la colpevolezza umana, frutto della libertà d’agire dell’uomo e della sua responsabilità.

Tale disegno si compie nel tempo. Questo vogliono dirci le storie di Adamo ed Eva, di Caino, di Noè e del diluvio, di Abramo e di Sodoma, di Isacco, di Esaù e di Giacobbe, di Giuseppe e i suoi fratelli, di Sara, Rebecca, Rachele, Lia, Agar.

Dio è clemente con i progenitori, con Caino, con l’umanità malvagia. Caino (come pure Adamo) non dice propriamente parole di pentimento. Dice solamente: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!» (Gen 4,13). Egli, cioè, prende coscienza di essersi staccato da Dio. «Quindi forse – commenta la Robinson – il grido di Caino è più ponderoso e commovente per Dio di quanto non il nostro lessico sappia restituire» (p. 70).

Abramo e Sara possono ridere del fatto che Dio abbia promesso loro un figlio, quando l’età non lo permette più. Dio li comprende, e continua ad amarli. «La storia potrebbe, e senz’altro dovrebbe, fungere da prova teologica del fatto che ciò che è terreno e ciò che è provvidenziale sono separati solo in teoria. In realtà, nessuna delle due cose può essere distinta dall’altra o esistere senza l’altra» (p. 263 ss).

Una riflessione sull’agire dell’uomo d’oggi

Già questo basterebbe a farci leggere e rileggere questo libro meraviglioso, soprattutto oggi in cui il senso di umanità si è perduto o raffreddato. E la Robinson ci offre un aiuto eccellente.

Il suo Leggere Genesi è un libro di meditazione sul valore del genere umano, che i grandi racconti di questo primo libro biblico evidenzia.

È un libro di critica storica, di accurata, profonda esegesi, di struttura critica.

È un meraviglioso intreccio di rimandi e di confronti (come d’altra parte lo è tutta la Scrittura), attraverso il quale cogliere il senso profondo d’un episodio.

È anche un colmare le omissioni che il testo in qualche punto conserva.

In questo modo, la Robinson unisce racconti distanti tra loro, dando unità a tutto il libro di Genesi. La Robinson accompagna la lettura del libro biblico, non rimanendo chiusa nelle sue pagine, ma stabilendo rimandi ad altri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. Una lettura ampia, quindi, perché i libri della Bibbia sono una voce sola: la voce di Dio.

Leggere Genesi è anche una riflessione sull’agire oggi dell’uomo, perché i miti conservano sempre un loro valore di attualità. Così, per esempio, la bontà e la bellezza della creazione ci invitano a custodirla, non a distruggerla. Lo spostamento dei popoli ci dice che esso è un fenomeno di sempre: ieri come oggi. Il mito della torre di Babele (come quello dell’Ulisse dantesco) ricorda il problema dell’incomprensibilità tra le persone e soprattutto i nostri limiti umani.

Forse Dio si risente dell’ingegno umano? Scrive la Robinson: «Ci sono momenti allarmanti in Genesi che indicano il sovrappiù dell’abilità umana che la storia di Babele nomina senza rumore, il fatto che nulla ci sarà impossibile. È importante ricordare che non noi soltanto siamo minacciati dai nostri doni» (p. 92). L’uomo era diventato come Dio, quanto alla conoscenza del bene e del male; e Dio lo caccia dall’Eden.

L’idea di essere tutti una sola famiglia, ci ricorda il rispetto che si deve a ogni persona di questa terra, anche a quelle che ci sono estranee, perché ogni persona ha la sua dignità e un’identica anima: il soffio vitale di Dio. Per mezzo di Abramo, infatti, Dio benedice tutte le famiglie della terra: «una promessa assai dolce, un vanto» (p. 20). In qualunque circostanza l’uomo si trovi, Dio sempre lo preserva, perché lo ha fatto a sua immagine e somiglianza.

All’uomo non resta che ringraziarlo con le parole di Davide: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?». Eppure, Dio lo ha fatto poco meno di un dio, coronandolo di gloria e di onore.

Marylinne Robinson, Leggere Genesi, Marietti 1820, Coll. I melograni, Bologna 2025, pp. 288, € 19,00, EAN: 9788821103803.

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Un commento

  1. Non credente 24 luglio 2025

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