
In questi ultimi giorni, mi è capitato spesso di essere assillato da una domanda insistente: possiamo, in queste drammatiche congiunture attuali, accettare come sufficientemente evangelica la semplice ripetizione dell’appello ai governanti del mondo a deporre le armi e a garantire la pace?
Le parole dei papi
Fu Benedetto XV (pontificato 1914-1922) che alzò la voce, per la prima volta, durante la Prima guerra mondiale, per proclamare la pace: Appello contro l’inutile strage, Appel aux chefs des peuples belligérants (1917).
Pio XI (1922-1939) condannò il nazismo con fermezza profetica, unica, anomala, singolare, nella celebre enciclica Mit brennender Sorge [i] (1937), scritta in tedesco e letta, sorprendendo Hitler, in tutte le chiese della Germania.
Pio XII (1939-1958) fu un profeta di pace di fronte agli orrori della Seconda guerra mondiale. Ricordiamo il radiomessaggio del 24 agosto 1939, ma anche la sua oscillazione tra prudenza diplomatica e omissione etica di fronte allo sterminio degli ebrei, atteggiamento che provocò controversi dibattiti storiografici tra vari studiosi.
Poi, nel 1963, nel pieno della “guerra fredda”, Giovanni XXIII (1958-1963) pubblicò l’enciclica Pacem in terris (1963), per promuovere la pace tra tutte le nazioni, basata sulla giustizia e sui diritti umani.
Paolo VI (1963-1978) vedeva nella pace il frutto della giustizia, del dialogo e della solidarietà tra i popoli. Durante il suo pontificato si sono verificati la guerra del Vietnam, i conflitti in Medio Oriente, le dittature in America Latina, gli anni di piombo in Italia, la continuazione della guerra fredda. Ha difeso con coraggio e fermezza la necessità della riconciliazione e della Speranza. Nel 1968 Paolo VI istituì la Giornata mondiale della pace, celebrata ogni 1° gennaio.
Anche Giovanni Paolo II (1978-2005) è stato un instancabile sostenitore della pace, opponendosi apertamente alla guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq nel 2003.
Benedetto XVI (2005-2013), nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2006, Nella verità, la pace, è stato fermo nel condannare la guerra. Nel 2006, all’Università di Ratisbona, durante un discorso che provocò reazioni negative nel mondo islamico, condannò ogni violenza perpetrata in nome della religione.
Papa Francesco (2013-2025) ha condannato numerose volte i conflitti in Siria, Ucraina, Gaza, Africa… insistendo su soluzioni fraterne e diplomatiche dei conflitti.
Papa Leone XIV ha recentemente rinnovato l’appello alla pace con forza profetica: di fronte all’intensificarsi dei conflitti in Medio Oriente, «dichiara che la guerra non risolve, ma amplifica i problemi» e chiede l’azione della diplomazia internazionale per «far tacere le armi».
Destabilizzate le istituzioni del passato
Il breve resoconto ci mostra chiaramente che questo ruolo globale assunto dalla Chiesa cattolica per opporsi alle guerre e difendere la pace è relativamente recente. Un ruolo il cui inizio coincide con il primo sintomo della crisi di civiltà che affligge il mondo occidentale: la Prima guerra mondiale, che, già nel 1914, rivela la dimensione del fallimento delle scommesse e delle promesse della modernità occidentale.
E, fino ad oggi, le ultime cinque generazioni hanno vissuto e convivono con la violenza genocida e suicida dell’Occidente: guerre neocoloniali, Shoah, Hiroshima e Nagasaki, fame, migrazioni, inquinamento ambientale, collasso climatico, eventi così orribili da far pensare, senza timore di smentita, all’imminenza della fine di questo mondo.
Viviamo tra il «tutto ciò che è solido si scioglie nell’aria» di Karl Marx (1843) e la “liquidità” di Zygmunt Baumann, due narrazioni che definiscono questo tempo che corrode irrimediabilmente le relazioni affettive e sociali, impone la fluidità delle identità in costanti processi di ridefinizione, “algoritmizzati”, plasmati dal consumismo e dall’estetizzazione in rete.
Ciò che viene inevitabilmente destabilizzato sono le istituzioni un tempo sicure e prevedibili: la famiglia, la religione e lo stato. E non è un caso che, oggi, la destra sovranista e neofascista, religiosamente ispirata, nostalgica di un passato mitizzato e non riconosciuto nella sua innegabile obsolescenza, voglia imporre, con rinnovata violenza, la triade “Dio, Patria, Famiglia”.
Così, la crisi contemporanea ci costringe a confrontarci con la nuda realtà dei poteri che affermano spudoratamente che l’efficienza e l’efficacia giustificano l’egemonia capitalista, ignorando le tragiche conseguenze dell’estrattivismo illimitato, che produce ed elimina i poveri. E minacciando di morte la propria stessa vita. La crisi permette agli esseri umani di affermare spudoratamente che l’unico paradigma politico efficace è la violenza da parte dei più forti economicamente, tecnologicamente e militarmente.
Non solo ciò che resta – rare macerie – del sogno fraterno e solidale della democrazia viene negato con arroganza, ma l’identità costitutiva dell’Occidente europeo si mostra a tutti senza trucchi e occultazioni: colonialismo predatorio e razzista gestito dagli Stati nazionali.
Macchine per fare guerre, li definisce recentemente Agamben:
«Ciò che noi chiamiamo Stato è, in ultima analisi, una macchina per fare guerre e prima o poi questa sua costitutiva vocazione finisce con l’emergere al di là di tutti gli scopi più o meno edificanti che esso può darsi per giustificare la sua esistenza. Questo è oggi particolarmente evidente. Netanyahu, Zelensky, i Governi europei perseguono a ogni costo una politica di guerra per la quale si possono certamente identificare scopi e giustificazioni, ma il cui movente ultimo è inconscio e riposa sulla natura stessa dello stato come macchina di guerra. Questo spiega perché la guerra, com’è evidente per Zelensky e per l’Europa, ma com’è vero anche nel caso di Israele, sia perseguita anche a costo di andare incontro alla propria possibile autodistruzione. Ed è vano sperare che una macchina da guerra possa arrestarsi di fronte a questo rischio. Essa andrà avanti fino alla fine, qualunque sia il prezzo che dovrà pagare».[ii]
Cosa è diventato lo Stato?
Insomma, gli stati nazionali, soprattutto quelli che hanno un’indiscutibile superiorità tecnologica e militare, rivelano oggi ciò che sono sempre stati costitutivamente: le milizie del capitalismo e i protagonisti della competizione tra vecchi e nuovi imperialismi, nemici mortali dell’umanità e della Terra.
In tutto questo, il principio dello Stato di diritto e il ruolo amministrativo dello Stato quasi scompaiono, relativizzati dall’identità bellicosa e colonizzatrice delle istituzioni definitivamente smascherata. Se questa lettura radicale degli Stati come mere macchine da guerra forgiate per colonizzare, sfruttare e distruggere i deboli e i piccoli, corrisponde alla verità, è ingenuo e inefficace affidarsi al dialogo diplomatico come strategia di contenimento e risoluzione dei conflitti.
Al contrario, ciò che dovremmo fare è la denuncia profetica dell’identità diabolica dello stato, allontanandoci progressivamente, in un esodo ideologico e politico, dalla sua influenza e dai suoi poteri. La nostra Chiesa potrebbe salvarsi dalla rovina della civiltà europea rinnegando la sua secolare alleanza con gli Imperi e gli Stati e rinunciando alla continuità del ruolo del papa come cappellano dell’Occidente.
Si tratta di un compito urgente, che coinvolge anche la Chiesa luterana, che potrebbe salvarsi dal fallimento dell’Occidente, rinunciando alla teologia delle due “mani” di Dio – il Regno spirituale e il Regno temporale – uscendo infine dalla tutela dello stato, accogliendo finalmente la profezia martiriale della Chiesa confessante di Dietrich Bonhoeffer (1906-1945).
Una fedeltà martiriale
Cito un esempio che non è esattamente occidentale ma che, a mio avviso, mi sembra dimostri l’impraticabilità di una strategia diplomatica nei rapporti tra gli Stati.
Attualmente, invitata al dialogo dal Governo comunista cinese, la Santa Sede quasi rinnova, seppur temporaneamente, il paradigma del Padroado, che ritenevamo obsoleto e che, nella lunga stagione del cristianesimo coloniale, nella Terra de Santa Cruz, consacrava il diritto della monarchia cattolica lusitana di eleggere vescovi, parroci e controllare gli ordini religiosi.
Questo accordo tra la Santa Sede e il Governo cinese cercherebbe di riconciliare una Chiesa divisa tra la Chiesa patriottica, ufficiale, riconosciuta dallo Stato, e la Chiesa clandestina, che sopravvive sotto costante sorveglianza, repressione, rieducazione ideologica, deportazioni, sparizioni, arresti di vescovi, sacerdoti e fedeli. Mi sembra, tuttavia, che questa scommessa diplomatica, che cerca di garantire la libertà di culto in una convivenza pacifica, possa mettere in secondo piano la fedeltà evangelica e martiriale della Chiesa clandestina.
In ultima analisi, credo che, di fronte al fallimento dell’Occidente, che coinvolge direttamente la nostra Chiesa, la quale, nel corso dei secoli, ne è stata promotrice e complice, possiamo salvarci dalla decadenza e dalla rovina della civiltà, solo tornando alla pratica e alla Parola di Gesù. Ciò che ci resta, di fronte alla “morte di Dio”, che, per molto tempo, “grazie a Dio”, non funziona più come garante della legittimità giuridica delle istituzioni, ma è ancora insistentemente sottoposto a bestemmie teocratiche e ai contemporanei “Gott mit uns”, è solo l’evento e la Parola di Gesù di Nazareth.
La nostra Chiesa continua a donarci, a partire dal battesimo, l’unica perla preziosa della presenza e della memoria di Gesù di Nazareth, il Messia crocifisso e risorto, con l’indifferibile invito a imitare la sua pratica e obbedire alla sua Parola nelle circostanze sempre nuove e impegnative della nostra storia.
Gesù, riconosciuto come l’unico Kyrios, l’unico Signore, in opposizione profetica ai signori del mondo. Egli si oppose amorevolmente e radicalmente alle istituzioni del suo tempo, affrontando, disarmato, in primo luogo, il Tempio e la casta sacerdotale e decretando che il potere politico è una cosa del diavolo e non sarà mai un sano organizzatore e protettore delle relazioni sociali (Mt 4,9). Egli ci dice, davanti a Pilato, che il suo regno è presente e vicino, ma non obbedisce alla logica di questo mondo.
Ciò che ci resta è la sua presenza e la nostra sfrontata audacia di dire la verità e di essere verità, abbracciando la Croce.
[i] In italiano: «Con ardente preoccupazione».
[ii] Agamben Giorgio, Lo Stato e la guerra, in Quodlibet, 14 giugno 2025.






La Chiesa cattolica possiede solo le armi del Vangelo, della parola, dell’insegnamento, del consiglio, del convincimento, della diplomazia,… Oltre naturalmente alla forza di Dio. L’azione ecclesiale non viene quindi meno se si cerca la via del dialogo e dell’incontro. La via martiriale non è pertanto sconfessata, ma non è l’unica che possa condurre alla soluzione dei problemi contingenti, soprattutto perché crea stragi di vittime innocenti.
In questo periodo vige una tendenza degli Stati a rinchiudersi, “a riccio”. In questo contesto la diplomazia non ha senso e non ha forza. Purtroppo!