
Le ultime notizie riferiscono della decisione di Netanyahu di lanciare una nuova fase dell’escalation, in una guerra che molti definiscono semplicemente un genocidio, conquistando Gaza City, incurante delle proteste che, ormai da tempo, si levano nell’opinione pubblica mondiale e, da qualche settimana, anche da parte di governi tradizionalmente amici di Israele. Le prime pagine dei giornali parlano anche dell’ennesima giravolta di Trump sui dazi, per cui ha raddoppiato fino al 50% quelli all’India per «punirla» di avere acquistato petrolio russo, oltre a minacciare l’Unione Europea di tornare al 35% se non cede alle sue richieste di investimenti.
Il diritto e (è) la forza
Siamo davanti a scelte gravissime che, anche per le motivazioni, l’atteggiamento e il tono con cui vengono compiute e comunicate al mondo, non si possono far rientrare nelle categorie tradizionali della politica internazionale, neppure nelle sue forme più ciniche.
Mai era accaduto che con tanta evidenza e tracotanza si facesse appello alla propria superiorità militare ed economica per imporre ad altri Stati e ad altri popoli la propria volontà.
La diplomazia del passato poteva essere accusata di ipocrisia, quando esibiva giustificazioni a volte puramente formali per mascherare giochi sostanziali di potere; ma c’è una sincerità che, nei rapporti internazionali come in quelli personali, è in realtà arroganza e mancanza di rispetto.
E c’è qualcosa di ancora più grave. Chi cerca di nascondere l’immoralità dei propri piani riconosce pur sempre un valore alla morale. Chi si vergogna di comportamenti che ledono la dignità e i diritti altrui, appartiene ancora a un ambito relazionale in cui questa dignità e questi diritti sono un punto di riferimento indiscusso.
Anche i teorici del diritto come espressione della forza, non hanno messo in discussione la differenza che corre tra loro. Oggi siamo spettatori di un mondo in cui il diritto non maschera la forza, perché si identifica con essa. La forza stessa è il diritto.
Anche il paragone con l’assolutismo dell’età moderna – che faceva del sovrano l’arbitro indiscusso e indiscutibile delle sorti dei suoi sudditi e dei rapporti con gli altri Stati – non regge. Perché il sovrano era, in quell’ottica, l’incarnazione di valori morali e religiosi, che legittimavano la sua autorità (anche se poi di fatto li contraddiceva), mentre oggi questi valori sono se mai lo strumento di cui il cristiano Trump e l’ebreo Netanyahu si servono in modo puramente strumentale per esercitare più saldamente il loro potere.
I costi economici e umani di una politica spudorata
Da qui l’assoluta assenza di qualsiasi pudore nel dire e nel fare ciò che dicono e fanno. Il Tycoon non nasconde che il suo problema sono in primo luogo i soldi.
«Incasseremo miliardi», ha commentato soddisfatto la sua decisione di imporre anche al Brasile dazi del 50%. Gli Stati, i popoli, le persone, non contano nulla. «Da Trump esigo rispetto», ha detto il presidente brasiliano Lula. Non parlava solo a titolo personale, ma a nome dei 212 (duecentododici!) milioni di brasiliani a cui le tariffe arbitrariamente stabilite dal capo della Casa Bianca con un tratto di penna costeranno gravi perdite, privazioni e forse, in molti casi, miseria.
Come al miliardo e mezzo di indiani, impegnati in un difficile sforzo di emancipazione da un passato di sottosviluppo e ora ricacciati indietro, per di più con una motivazione – la «punizione» per scelte commerciali non gradite all’America – che evidenzia la pretesa da parte di quest’ultima di una indiscussa superiorità.
Per altri, i costi sono sicuramente anche economici, ma prima di tutto politici e morali. Come nel caso dell’Unione Europea, trattata come una colonia e incapace di trovare un guizzo di dignità, arrendendosi senza condizioni di fronte alla sprezzante unilateralità con cui il presidente americano si è arrogato il diritto di decidere i termini del cosiddetto «accordo».
Senza entrare nel merito della questione se ci fossero o no altre alternative sul piano economico, lo stesso fatto che la presidente della Commissione europea abbia dovuto recarsi a casa del suo interlocutore per subire il suo diktat, evidenzia un clima avvilente di subalternità.
Si intrecciano con quelli di Trump lo stile e la linea di Netanyahu. Emblematico il loro accordo per decidere unilateralmente le sorti del popolo palestinese. Il presidente americano ha proposto – con un’aperta violazione del diritto internazionale – di deportare i due milioni di abitanti di Gaza in altri paesi, per costruire sulle macerie delle loro case, distrutte dalle bombe e dai bulldozer israeliani, un resort internazionale di lusso.
Netanyahu ha immediatamente ripreso con entusiasmo il progetto, traducendolo in fatti. Allo scopo di realizzare quella che nel vecchio diritto internazionale veniva condannata come «pulizia etnica», ha intensificato le stragi di uomini, donne e bambini, per convincerli a scegliere – «liberamente», ha sottolineato – di cambiare aria.
E anche l’ultima decisione di occupare Gaza senza assumersene direttamente l’amministrazione, delegata a non meglio identificate «forze arabe non palestinesi» – ma sempre sotto il controllo militare israeliano – suppone una soggezione degli abitanti e favorisce la prospettiva di un loro esodo.
Contemporaneamente il governo israeliano ha accelerato, col pieno appoggio della Knesset, la creazione di insediamenti illegali di coloni ultra-ortodossi in Cisgiordania, a spese degli abitanti palestinesi, distruggendo le loro case e uccidendo chi resiste.
Una mossa molto significativa, perché implica perfino la rinunzia a giustificare la violenza coprendola con la fragile foglia di fico della lotta contro i terroristi di Hamas (la Cisgiordania appartiene all’Autorità Palestinese, nemica di Hamas, e che riconosce lo Stato ebraico), sbandierata per Gaza. Ora, con l’occupazione della Striscia e la prospettiva dell’imminente annessione della Cisgiordania, ai governi europei, che hanno sempre ripetuto come un mantra la soluzione dei due Stati, non resta che prendere atto del fatto compiuto.
E in questo caso l’ipocrisia potrà essere molto utile per spiegare ad un’opinione pubblica ultimamente sempre più indignata per il comportamento di Israele, come mai in questi quasi due anni le democrazie occidentali non abbiano mosso un dito per fermare questa evidente politica di conquista e i quotidiani massacri ad essa legati, accettando per buone le formule ripetute da Netanyahu come «Israele ha il diritto di difendersi» e «l’aggressore è stato Hamas».
Lo sfondo ideologico del nuovo modo di fare politica
Se Trump e Netanyahu, invece, non hanno bisogno di essere ipocriti, è perché ormai stabiliscono loro cosa è vero e giusto, ciò che è falso e ingiusto. Non si può spiegare questo salto di qualità solo con circostanze di fatto. Siamo davanti a una radicale svolta culturale, su cui è il caso di riflettere, invece di limitarsi a indignarsi.
Da molto tempo si parla di una profonda crisi dell’Occidente, che non è solo di ordine economico e politico, ma ha anche una portata spirituale e intellettuale, perché colpisce la visione della realtà, della vita e dei valori propria della tradizione cristiana. Questa crisi ha avuto nel nichilismo di Friedrich Nietzsche la sua espressione più radicale. E dalla tentazione del nichilismo, più o meno consapevolmente, la nostra società da allora è costantemente insidiata.
Concetti come quelli di verità, di bene, di progresso storico, strettamente legati al primato della realtà, che Nietzsche ha rimesso in discussione, hanno avuto – non solo tra i filosofi, ma nella coscienza diffusa – un declino che tutti possiamo constatare. Dell’inevitabile smarrimento che ne è derivato, soprattutto fra i giovani, ha parlato ampiamente Umberto Galimberti nel suo noto libro L’ospite inquietante.
Lo stile politico di Trump, col suo riflesso in quello di Netanyahu, è lo sbocco finale di questa deriva verso il nulla. E noi ne siamo sorpresi solo perché non ci ricordiamo delle pagine in cui Nietzsche esalta la figura dell’«oltre-uomo», il solo capace di staccarsi dal modello codificato di umano e di prendere coscienza che nessun «essere» precostituito limita la sua «volontà di potenza», per cui egli può andare «al di là del bene e del male», ricreando secondo i propri insindacabili criteri l’ordine di valori.
Trump e Netanyahu sono la squallida parodia di questo personaggio, e ne rivelano tutte le demenziali contraddizioni, per cui esso, piuttosto che «oltre-umano», si rivela tragicamente sub-umano. Però questo significa che essi sono solo il punto d’arrivo di una storia in cui tutta la nostra civiltà è coinvolta. Perciò non possiamo cavarcela demonizzandoli come «mostri».
E, del resto, a metterci in guardia da questa facile soluzione è il fatto che essi hanno – anche in Italia – i loro accaniti sostenitori. Segno di quanto il clima culturale che li ha prodotti sia ancora presente e diffuso.
La sfida è accettare di interrogarsi sul rapporto che lega tanti nostri modi di pensare e di vivere apparentemente «innocenti» alla logica dell’autoreferenzialità, della competitività senza freni, della pretesa di essere misura del vero e del falso, del bene e del male, che in Trump e in Netanyahu si è pienamente manifestata mostrando tutto il suo significato.
Valorizzando, piuttosto, i germi positivi che ci rendono reattivi contro questo modello distorto e stanno alla base delle tante manifestazioni di protesta contro di loro. Riusciremo a fare questo discernimento, non in Trump e in Netanyahu, ma in noi stessi?
- Dal sito della pastorale della cultura della Diocesi di Palermo (tuttavia.eu), 8 agosto 2025






Scrivo, dopo gli interventi delle signore Gazzato, Pagani e Angela, non tanto per ribattere, quanto perché credo che un sereno scambio di idee in un sito come questo sia un valore, in linea col suo spirito (e, a questo proposito, non mi sembra vero che Settimana News sia a senso unico). E’ importante, a mio avviso, chiarire la differenza tra neutralità e obiettività. La neutralità comporterebbe che si parlasse di tutto senza avre un punto di vista e senza prendere posizione. Ma questa è, in realtà, una pretesa impossibile e ingannevole. Impossibile perchè se dovessi descrivere una sola situazione tenendo conto di tutti suoi elementi, per esempio, del numero e della grandezza delle mosche in volo in quel momento nella stanza, non basterebbero volumi e volumi per farlo. Delle scelte sono necessarie. Ingannevole, perchè chi dice di essere neutrale pretende che la realtà sia esattamente come la vede lui. In effetti, invece, non esiste “uno sguardo da nessun luogo”. L’obiettività è sapere di essere “situati” e guardare le cose facendo delle scelte ragionevoli, che possono essere valide anche per gli altri. Io ho cercato di essere obiettivo scegliendo di parlare di queste guerre da un punto di vista filosofico, assumendo il nichilismo come spiegazione culturale del comportamento di Trump e Netanyahu e ritenendo che Putin e tanti altri guerrafondai in azione in questo momento storico, che appartengono ad altre culture, siano dei dittatori e dei prepotenti, ma non espressioni della cultura nichilista dominante oggi in Occidente. Che poi non si parli dell’Ucraina, ma solo della Palestina, mi sembra smentito dai fatti: i nostri opinionisti hanno unanimemente sostenuto questo paese (giustamente), mentre solo da un paio di mesi cominciano ad avanzare dubbi sulla politica di Tel Aviv, e i governi europei hanno varato diciotto pacchetti di sanzioni contro la Russia, fornendo armi di continuo a Zelenskij, mentre ancora oggi non solo non muovono un dito per fermare Israele, anzi continuano a fornirgli armi.
Secondo me non solo Trump e Putin sono frutto della cultura nichilista. Tutto quello che consideriamo moderno da un punto di vista “classico” lo è, per cui mi sembra “miope” accorgersene di fronte a fenomeno più vistosi come Trump. Lo stesso Biden in nome dei valori occidentali sosteneva sia l’Ucraina sia Israele, al massimo si sforzava di sembrare meno cinico.
Detto ciò la Santa Sede non è neutrale in senso superficiale, sta dalla parte delle vittime di tutti i conflitti, anche di chi è colpito trasversalmente o mandato a combattere guerre in teoria “giuste”. E’ una posizione eticamente forte e coerente.
Non so come faccia ad affermare che i nostri opinionisti hanno “unanimemente sostenuto questo paese
(l’Ucraina). Mi spiace ma non è così, il sostegno all’Ucraina è stato molto diviso e divisivo, gli italiani si dibattono tra la narrazione che Putin è stato provocato dalla Nato e che Biden ha voluto indebolire la Russia e queste “opinioni” sono state diffusamente propagate tanto da creare una forte discussione e anche una grande confusione. Ed è anche stata utile a diffondere l’idea che in fondo gli ucraini “se la sono cercata”, cosa che secondo me è non solo ingiusta ma pericolosa per le implicazioni che può avere.
Tralasciare di parlare dell’Ucraina perché gli abbiamo fornito aiuti e messo le sanzioni alla Russia è un modo (forse del tutto inconsapevole) per evitare di parlare della ferocia dei russi e della pericolosità di un dittatore del calibro di Putin e così facendo però non si aiuta il processo di pace “vera” ma, al contrario, la sensazione è che si dia per scontata la vittoria dei russi…con buona pace della…pace.
Sono perfettamente d’accordo con le sue argomentazioni. La ringrazio, anzi, di aver speso tempo nel replicare. Viviamo un contesto informativo complicato. Prima di esprimere un’opinione bisogna fare innumerevoli premesse per evitare di essere tacciati di appartenere all’una o all’altra fazione; l’aggressività delle repliche e direttamente proporzionale a quanto la posizione presa sia antitetica alla vulgata. Questo impedisce un dibattito sereno, non consentendo o limitando la possibilità di entrare in dettagli storici ed argomentare. Così si è facilmente putiniani, antisemiti, complottisti e via dicendo. La coerenza dei ragionamenti, inoltre, è ormai una postilla. La maggior parte degli opinionisti mainstream recitano come un disco rotto le medesime cantilene. Lei ben richiama il fatto che le sanzioni valgono per alcuni, ma non per altri; questo accade anche per le sentenze della CPI e molto altro. In effetti in un caso, Ucraina, forniamo armi all’aggredito, mentre nell’altro, Israele, all’aggressore. Peraltro le armi le forniamo anche ad altri soggetti non molto raccomandabili come all’ Egitto o alla Libia, ad esempio. Difficile giustificare logicamente o moralmente queste dissimmetrie.
@Giuseppe Savagnone
Grazie per le spiegazioni ma non mi hanno convinto.
Insisto sul mio punto di vista e cioè che lei in questa sua analisi dimentica gli ucraini che vivono da tre anni e mezzo sotto le bombe, ma si concentra su Israele e quindi su Netanyahu e Trump. E non lo fa solo lei è una prassi abbastanza generalizzata. Dimenticare gli ucraini sembra una costante. Nella sua risposta lei afferma: “E se contro di lui l’Occidente ha scatenato una guerra senza quartiere è per motivi politici (il suo imperialismo, mirante a ricreare la “grande Russia” è una minaccia seria per l’Europa), …”
Mi scusi ma non capisco, sarebbe l’Occidente ad aver scatenato una guerra senza quartiere contro Putin? A me sembra il contrario. Cosa le fa affermare con tanta sicurezza una cosa del genere? Ecco, vede, anche a causa di questa sua affermazione, rimango ancora della mia idea, che la sua analisi sia parziale e, dopo la sua risposta questa idea si è rafforzata.
Ma forse sono io che non capisco.
Le replicherà forse il prof. Savagnone, nel mentre, domando scusa, non comprendo davvero il suo ragionamento. L’articolista non cita l’Ucraina, vero, ma non cita neppure altre situazioni. Perché è sempre doveroso citare la guerra in quel luogo dimenticandosi cosa avviene in Sudan o in Myanmar, ad esempio? Davvero non riesco a capire come mai l’Ucraina sì e tanti altri no. Ho paura del futuro che ci attende; le guerre dilagano ovunque e la loro ferocia è sempre maggiore, facilitata dalla tecnologia. Mi sentirei rasserenata nel sentire che la stampa, i media generalisti particolarmente, ovvero quelli che parlano alla maggior parte dei popoli, ricordassero ogni giorno tutte queste situazioni di sofferenza, perché forse in quel modo sarebbe ancora più chiara la pericolosa via che abbiamo intrapreso.
Aveva ragione Bergoglio parlando di guerra mondiale a pezzetti, e il nuovo Papa continua a portare avanti lo stesso discorso. Sono guerre legate tra loro dal fatto di mettere in discussione l’equilibrio internazionale degli ultimi 70 anni. Ci suono nuovi attori che contendono all’America il predominio, la Russia deve per forza di cose accettare il proprio ridimensionamento, non ci si combatte solo apertamente ma anche per procura, nei vari scenari. L’Africa è uno di questi, vedremo cosa succederà con Taiwan. Personalmente non credo molto nel ruolo dell’attivismo mediatico, tipo chi sale su un palco e urla “stop al genocidio” O ” Slava Ucraina” oppure punta sui “cristiani perseguitati”. Perché mi sembra un modo più subdolo di portare avanti il conflitto pareggiando ora per gli uni ora per gli altri . Fa bene la Santa Sede a mantenere la sua equidistanza..
Io invece capisco lei. Lei come molti altri italiani non vede perché parlare di Ucraina come di tutte le altre tante guerre nel mondo, ma capisce che l’articolista parli solo di Palestina come se parlare di Palestina e non di Ucraina fosse esaustivo per l’argomento trattato, cioè o si parla di tutte le guerre oppure è sufficiente parlare di Palestina ma di Ucraina no, lei non vede la necessità a meno di non citarle tutte…farne un bel mucchio e così ci rendiamo meglio conto di cosa potremmo andare incontro.
Ma gli ucraini proprio oggi (Ferragosto, non a caso) dopo che vivono da anni sotto la minaccia di morire sotto le bombe dei russi e questo succede dopo che i russi hanno varcato il confine e invaso il loro territorio, la prima guerra di occupazione dopo le due mondiali devastanti del secolo scorso, forse stanno per subire una trattativa che si fa senza di loro tra l’occupante e un “terzo” suo amico. Trattati sconvolti, unioni disprezzate e negate, tutto calpestato e però ora gli ucraini dovranno accettare “uno scambio di territori”…sullo loro testa, contro la loro volontà perché (forse) i due amiconi lo decideranno senza consultarli.
E questo a pochi chilometri da qui in un territorio sconvolto durante una guerra che ha rischiato e rischia di propagarsi all’intero continente se non oltre.
Ma a lei e all’articolista questo non sembra abbastanza per includere Putin nell’articolo.
Tanto oggi è Ferragosto, domani è un altro giorno.
Continuo a non seguirla, mi scuso. L’articolista ha impostato il proprio ragionamento analizzando due specifiche situazioni, effettuando parallelismi e registrandovi similitudini. È nella sua libertà, come quella di ciascuno di noi, argomentare secondo propria sensibilità e propria qualità ispettiva. Nel ribadire che non ha considerato gli ucraini non comprendo perché non contestare allora non abbia considerato altre situazioni analoghe in giro per il mondo. Mi ripeto: non mi è chiaro perché, secondo il suo ragionamento, Ucraina sì, il resto del mondo no. dell’Ucraina, peraltro, abbiamo parlato tantissimo; del resto del mondo nulla. Cos’ha l’Ucraina di così differente? Le loro sofferenze, i loro morti, per me valgono ugualmente a quelle di chiunque altro si trovi in situazioni analoghe, né più, né meno.
Si, ma …e Putin? E l’Ucraina? cosa succede laggiù che sia così diverso da Gaza da farcelo dimenticare in toto su questo articolo che parla di Trump e Netanyahu e dimentica del tutto quello che avviene in Ucraina? Altro capitolo? Altre considerazioni da farsi dove se non in articolo che parla del diritto della forza?
Analisi parziale, volutamente o meno, ma sempre parziale.
Beh… se è per quello l’articolo non parla neppure delle altre 54 guerre del nostro tempo oltre Gaza ed Ucraina, appunto. Di quest’ultima si parla sostanzialmente sempre da tre anni, degli altri conflitti no, ma nessuno resta purtroppo scandalizzato da questa parzialità. La parzialità mi sembra generale e l’informazione mai oggettivamente e veramente “giornalistica”. Sì parla solo di quello che serve a pilotare l’opinione pubblica per orientare politiche in modo molto preciso.
Anche questo sito mi sembra molto più schierato militante rispetto a qualche anno fa. Magari è solo una mia impressione ma entri e già sai cosa troverai, difficilmente viene presentata la stessa questione sotto angolature diverse. (come avviene ad esempio su Avvenire o Osservatore Romano che sono molto più ecumenici.)
Chi scrive ha il dovere di rispondere alle critiche, quando, come in questo caso, sono ragionevoli ed esigono, dunque, una spiegazione. Perciò cerco di spiegare alle signore Garzato e Pagani il mio punto di vista. Non volevo parlare del male della guerra come tale e tanto meno esaurire il dramma di tutte le guerre che sono attualnete in corso nel mondo (cosa che sarebbe stata, tra l’altro, impossibile in un articolo). Non volevo neppure denunciare le prpeotenze che danno luogo a queste guerre, altrimenti avreei dovuto sicuramente includere Putin nel mio articolo. L’oggetto del mio articolo era un clima culturale che, a mio avviso, domina l’Occidente, come esito tagico della filsofia del nichilismo che corrode ormai da molto tempo la sua base valoriale. Non sono solo Trump e Netaniahu a evidenziare questa crisi, ma l’atteggiamento di tutti i governi occidentali, che hanno accolto senza battere ciglio e senza muovere un dito le loro parole e i loro comportamenti, spudoratamente distruttivi di ogni criterio etico. L’imperialismo di Putin appartiene a un ‘altra cultura, molto diversa dalla nostra, tanto è vero che può appellarsi – sia pure illegittimamente – alla tradizione cristiana della Chiesa ortodossa. Putin rivendica un diritto, risalente al modello cesaropapista della Santa Madre Russia, anche se ha torto. E se contro di lui l’Occidente ha scatenato una gurra senza quartiere è per motivi politici (il suo imperialismo, mirante a ricreare la “grande Russia” è una minaccia seria per l’Europa), perchè se fosse dovuta, come a parole si dichiara, a motivi etici e di diritto, la pulizia etnica (se non il genocidio) di Gaza e quella in Cisgiordnania, svoltesi nello stesso arco di tempo, avrebbero meritato molto di più le sanzioni e l’esecrazione risrvate dall’Occidente alla politica russa. Spero di aver spiegato, così, perchè non ho incluso la figura di Putin , nè quella di tanti altri aggressori violenti, nella mia analisi. Naturalmente si può non condividerla. Ma spero che quanto ho chiarito serva a rispondere al sospetto di aver voluto «pilotare l’opinione pubblica per orientare politiche in modo molto preciso».
Condivido pienamente la sua analisi, che ho compreso. Il virgolettato riportato, invece, mi fa supporre non abbia compreso lei il senso del mio commento, quasi che fosse a lei indirizzato; non lo era per nulla. Intendevo dire, a questo punto devo chiarire, che il parlare dell’una o dell’altra guerra, particolarmente attraverso l’esercizio della comunicazione asservita al pensiero unico, cosa che credo proprio lei non eserciti, è il sintomo di quella decadenza che ben richiama e che si manifesta attraverso la perdita ormai accettata di oggettività e coerenza, proprio in barba a quei valori che l’Occidente vorrebbe perorare.
Analisi lucida e impietosa quella di Giuseppe Savagnone che lascia poco spazio all’illusione.