Vladimir Trump & Donald Putin

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trump e putin

Donald Trump e Vladimir Putin si incontreranno dunque a Ferragosto. Immaginare cosa ne possa venire fuori è arduo, come sempre quando c’è di mezzo Trump. Ogni giorno ce n’è una nuova: domenica mattina, la novità era che il presidente americano “non sarebbe stato contrario” a una presenza di Volodymyr Zelenski all’incontro in Alaska. Domenica sera, quella possibilità era già stata seppellita dal fido J.D. Vance.

Il solo annuncio dell’incontro, ha fatto già incassare a Putin quattro risultati (qui esposti non necessariamente in ordine di importanza).

Primo: la sanzione di una sorta di «sovranità limitata» per l’Ucraina, che, una volta terminata la guerra, non potrà decidere da sé la propria politica estera e, parzialmente, nemmeno quella interna.

Secondo: il riconoscimento dell’agognato statuto di «superpotenza» per la Russia, che tratta da pari a pari con gli Stati Uniti, un gradino più in su di tutti gli altri.

Terzo: la possibilità che il massimo sacrificio sia cedere ciò che non gli appartiene, cioè, in sostanza, ricevere qualcosa senza dare nulla in cambio.

Quarto: la plateale irrisione del mandato di cattura internazionale emesso contro di lui dalla Corte penale internazionale. Si potrebbe aggiungere un quinto risultato, cioè la rimozione della minaccia di nuove sanzioni, se non fosse che quella minaccia non è mai stata seria.

Con l’aiuto degli Stati Uniti

Lo scopo della guerra era, per la Russia, di riprendere il controllo dell’Ucraina, diretto o indiretto.

È stato un pietoso fallimento perché non ne aveva i mezzi. In quel vano tentativo, Mosca ha perso per strada altri pezzi della sua vecchia sfera di influenza (e la messinscena della «pace» tra Armenia e Azerbaijan del 9 agosto a Washington ha piantato un altro chiodo nella bara dell’impero russo), ha rafforzato la NATO, ha rotto i rapporti con i suoi partner privilegiati in Europa – la Germania e la Francia –, ha perso decine, forse centinaia, di migliaia di persone e, quel che è peggio, si è ritrovata in posizione subordinata rispetto a una Cina, immensamente più potente e desiderosa di sfruttare a proprio vantaggio le risorse – naturali, umane, politiche e militari – della Russia.

La Russia, da sola, non poteva fare meglio. Ma, con l’aiuto degli Stati Uniti, può riuscire a ottenere qualcuno dei suoi obiettivi: neutralizzare l’Ucraina (le conquiste territoriali sono una miseria, ma pur sempre un bottino da esibire all’opinione pubblica interna), scrollarsi un po’ la Cina di dosso e riprendere quota come superpotenza – di cartapesta, sì, ma di questo l’opinione pubblica non si accorgerà (almeno non subito).

È una vecchia storia: a metà del secolo scorso, con l’aiuto degli Stati Uniti, la Russia sconfisse l’esercito tedesco, e fu promossa, sempre dagli Stati Uniti, al rango di «superpotenza». E siccome furono gli Stati Uniti a consentire a Stalin di prendersi i paesi baltici, mezza Polonia e mezza Germania, e di neutralizzare la Finlandia, si può capire con quale apprensione l’incontro di ferragosto sarà seguito a Varsavia, Helsinki, Vilnius, Riga e Tallinn, per non parlare di Berlino.

Il senso dell’Alaska

Il fatto che il vertice si tenga in Alaska, poi, ha una doppia valenza, geografica e simbolica. Geografica, perché è il solo punto in cui Russia e Stati Uniti confinano ed è anche il più lontano possibile da Europa e Ucraina (come ha scritto un giornale russo, «dove le spie inglesi e ucraine non possono sentire»).

Simbolica, perché l’Alaska ha fatto parte dell’impero russo fino al 1867, ed è stata comprata da Washington per un tozzo di pane in quello che sarà il primo grande accordo tra Stati Uniti e Russia per indebolire la Gran Bretagna.

Ci si può domandare se anche allora il presidente americano, Andrew Johnson, si sia vantato di essere il re del deal, oppure se sia stato manipolato da Alessandro II, zar di tutte le Russie.

Per memoria, Andrew Johnson, che scampò l’impeachment per un solo voto al Congresso, è considerato il secondo peggior presidente americano di tutti i tempi, addirittura peggio di Trump (il quale, però, ce la sta mettendo tutta per rifarsi).

Putin il manipolatore

Ma torniamo all’attualità. Per ora abbiamo visto ciò che Putin ha già incassato prima ancora di incontrare Trump. Vedremo cos’altro ne verrà fuori, sempre che ne venga fuori qualcosa. Per ora, ci azzardiamo a immaginare tre scenari possibili.

Il primo e il più probabile è che l’Alessandro II di turno riesca a manipolare l’Andrew Johnson di turno e a rigirarselo come una frittella.

Le ragioni per pensarlo sono molte: prima di tutto, Trump ha detto e ripetuto che la colpa della guerra in corso non è della Russia ma, di volta in volta, della NATO, dell’Ucraina, di Obama o di Biden. Da qui la sua propensione ad aderire alle ragioni che Putin gli snocciolerà davanti. Inoltre, è noto che Trump ha un debole per il presidente russo: vorrebbe essere come lui e ne subisce il carisma, come quei deboli che si accodano al bullo di turno, ridendo alla maniera di Franti quando umilia altri deboli.

La sua ammirazione per i dittatori sgorga dal desiderio di essere come loro: ricordate quando rimproverò i generali americani di non ubbidirgli come i generali tedeschi ubbidivano a Hitler? Trump subisce il fascino dei tiranni, e più sono crudeli e più gli piacciono: ricordate quando disse che lui e Kim Jong-un si erano innamorati l’uno dell’altro e si scrivevano bellissime lettere? Per usare la terminologia che gli è cara, Trump è un loser che ama i winners e disprezza i losers: e, per lui, Zelenski è un loser.

A questo proposito, se per un’intercessione divina ci fosse dato di poter offrire un consiglio a Zelenski, gli suggeriremmo di non andarci, in Alaska: rischierebbe di subire un’altra lavata di capo da Trump e dal fido Vance, ma questa volta di fronte a Putin, che non avrebbe altro da fare che inarcare il sopracciglio, e sogghignare divertito.

È cambiato, Donald Trump, da quando intratteneva una corrispondenza d’amorosi sensi con il giovane Kim? È cambiato certamente, perché allora era attorniato da quelli che in inglese sono chiamati gli «adults in the room», cioè persone che hanno la testa sul collo, mentre oggi è accompagnato da un pugno di lustrascarpe pusillanimi e incompetenti. Allora, gli «adulti» gli impedirono di capitolare di fronte al despota di Pyongyang. Ma oggi, a quanto pare, non è rimasto nessuno capace di fermarlo.

Quindi, la prima ipotesi è che Putin e Trump, già d’accordo sulla neutralizzazione dell’Ucraina, decidano tra loro il famoso «scambio di territori». Lo scopo sarebbe, di fronte all’inevitabile rifiuto di Kiev, di poter annunciare all’universo mondo che è Zelenski a opporsi alla fine della guerra.

Se le cose andassero così, si avrebbero due conseguenze maggiori: gli Stati Uniti cesserebbero di fornire armi, denaro e consigli militari all’Ucraina; e certi europei – alcuni già al potere, altri in procinto di andarci – avrebbero finalmente la scusa che stanno aspettando con impazienza da tempo per liberarsi da quello scomodo e costoso impaccio ucraino, assecondando così i desiderata dei loro elettori. Due conseguenze che equivarrebbero a una capitolazione di Kiev.

Lo scambio di territori

Anche se le conquiste territoriali non erano l’obiettivo di Mosca nel febbraio 2022, la questione dello «scambio di territori» merita un’attenzione particolare. E non soltanto perché si tratta di una truffa.

Immaginiamo questa scena: alle elementari, qualcuno mi ruba venti figurine delle cento che avevo; facciamo a cazzotti per un po’, e io, ahimè, ne prendo più di quante ne do, finché, stanco, il malandrino mi dice: «Senti, facciamo pace: io ti restituisco dieci delle figurine che ti ho preso e tu, in cambio, me ne dai dieci delle ottanta che ti sono rimaste. Così siamo pari». Forse, per evitare altre botte, avrei accettato; ma avrei anche capito che il malandrino, oltre ad avermi derubato, mi aveva anche truffato. Danno più beffa, come si suol dire.

Ma la truffa è forse l’aspetto meno importante. Più importante è la proposta di Trump che il nuovo assetto uscito da quello «scambio» sia riconosciuto de jure, a livello internazionale. Il punto è dolente, anzi, dolentissimo, perché fa saltare il coperchio a quel vaso di Pandora che è stato chiuso – più o meno ermeticamente – per ottant’anni, cioè per tutto il periodo in cui gli Stati Uniti sono riusciti a esercitare la loro egemonia.

In quel lungo lasso di tempo, le frontiere uscite dal conflitto mondiale non si sono (quasi) mosse; solo l’India (Hyderabad e Goa) e Israele (Cisgiordania, Gerusalemme e Golan) hanno annesso unilateralmente territori che non appartenevano loro, ignorando le garbate proteste della cosiddetta «comunità internazionale».

La crepa più recente e più vistosa nel vaso è stata inflitta proprio dalla Russia, con le annessioni unilaterali della Crimea nel 2014 e poi delle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk e degli oblast di Kherson e Zaporizia nel 2022 – annessioni riconosciute solo dalla Corea del Nord.

Il principio dell’inviolabilità delle frontiere non interessa a Donald Trump; prima ancora di entrare alla Casa Bianca, aveva già annunciato di volerlo lui stesso violare con il Canada, la Danimarca e Panama: perché dunque non dovrebbe lasciarlo fare a Putin (come d’altronde, nel suo precedente mandato, lo ha lasciato fare a Netanyahu)?

Cosa succederebbe se quel vaso di Pandora si scoperchiasse, proprio su iniziativa degli Stati Uniti? Soltanto in Europa sono state contate 41 possibili rivendicazioni territoriali: l’Ungheria, la Polonia e la Turchia hanno già esibito, seppur non ufficialmente, delle carte con i nuovi confini.

Nel resto del mondo le cose non vanno certo meglio, anzi: in Africa, dove le frontiere sono state tracciate col righello dai colonizzatori senza tenere in alcun conto le realtà locali, vi sono un centinaio di dispute territoriali e almeno 58 regioni potenzialmente secessioniste in ventinove paesi.

Come può andare a finire

Le altre due ipotesi su come potrebbe andare a finire l’incontro di ferragosto sono presto dette. Una è che non succeda nulla, o che si arrivi al limite a organizzare uno scambio di prigionieri o perfino un cessate il fuoco; in questi due ultimi casi, però, sarebbe necessario almeno un assenso ucraino, se non di Zelenski in persona. Vedremo. Comunque, se quello fosse l’esito, sarebbe come essere andati a caccia di passerotti con la dinamite: tanto rumore per poco più che nulla.

L’altra è una sceneggiata con botto finale, in cui si annunci il raggiungimento della pace. È la più improbabile, ovviamente, ma dalla sua ha certamente il favore di Trump, a cui piacciono queste messe in scena, e che anche potrebbe avere il favore di Putin, ormai nella necessità di uscire al più presto dal pantano in cui si è cacciato il 24 febbraio del 2022 trovando il modo di raccontare a casa che l’«operazione militare speciale» ha raggiunto i suoi obiettivi. Ma anche in questo caso, ci vorrebbe qualcuno, di parte ucraina, disposto a firmare la resa.

Insomma, dall’incontro del 15 agosto difficilmente potrà sortire qualcosa di buono. Certamente, non per l’Ucraina; ma nemmeno per la Russia, che comunque la guerra l’ha persa, qualunque cosa si racconti alla popolazione a casa.

Nulla di buono per gli europei e per i «willing» della famosa quanto ipotetica coalizione, che avranno di nuovo dimostrato di non contare niente.

Nulla di buono per gli Stati Uniti, che avranno dato prova una volta di più della noncuranza con cui si prestano ad accoltellare i loro «amici» alle spalle.

Nulla di buono per il resto del mondo perché l’era in cui si faceva almeno finta di rispettare regole, impegni e responsabilità appartiene ormai ufficialmente al passato.

Forse, le sole buone notizie potrebbero essere per Narendra Modi, se Trump decidesse di alleggerire i diritti di dogana contro New Delhi su suggerimento di Putin (anche se la dottrina indiana del «multi-allineamento» ha subito un duro colpo).

E certamente buone nuove anche per Benjamin Netanyahu, che avrà ricevuto, almeno implicitamente, un nuovo via libera da Washington. In questo momento ne ha davvero bisogno.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 12 agosto 2025

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3 Commenti

  1. Pietro 14 agosto 2025
  2. Marilena Pagani 14 agosto 2025
  3. Mariagrazia Gazzato 14 agosto 2025

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