Primo incontro dei vescovi dell’Amazzonia

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Foto Calvarese/SIR

«Saremo presenti circa 90 vescovi dell’Amazzonia, anche con il sostegno anche del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e la presenza del prefetto, il card. Michael Czerny, e di altre istituzioni che sono molto interessate a collaborare a questa iniziativa di una Chiesa che ha quel volto amazzonico che Papa Francesco ha sognato; e ora, Leone XIV, il Papa che tutti noi accogliamo con grande gioia, è la novità nella continuità del processo sinodale che viviamo nella Chiesa».

Il card. Pedro Barreto, presidente della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA), arcivescovo emerito di Huancayo (Perù), presenta in questo modo l’incontro, a suo modo storico, dei vescovi della Panamazzonia, che si tiene dal 17 al 20 agosto a Bogotá, nella sede del CELAM. L’evento riunisce i vescovi di 105 giurisdizioni ecclesiastiche amazzoniche di nove Paesi (Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana Francese, Perù, Suriname e Venezuela), per «rafforzare la collegialità episcopale e avanzare verso una Chiesa dal volto amazzonico, profetica e impegnata nella vita dei popoli», come spiega ancora il presidente della Ceama. Pochissimi, poco più di una decina, i vescovi che non possono essere presenti per motivi di salute.

Un promettente cammino

Anche se la Chiesa in Amazzonia è presente fin dall’inizio dell’evangelizzazione nel Continente americano, cinquecento anni fa, non c’è dubbio che negli ultimi anni ci sia stata un’accelerazione dell’attenzione ecclesiale per questa vastissima regione, per le sue popolazioni e il suo delicatissimo ecosistema, anche sulla scia della Laudato si’ di Papa Francesco.

Dal 2015, nascita della Rete ecclesiale panamazzonica, è stato un crescendo: la visita di Papa Francesco a Puerto Maldonado, in Perù, nel 2019; il Sinodo dell’Amazzonia nel 2019; l’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia l’anno successivo e, insieme, la nascita della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia.

Quindi, un lavoro di base che è proseguito, nel cammino sinodale, nella riflessione sulle specifiche ministerialità in territori indigeni, nel cammino, di concerto con il Vaticano, per arrivare all’istituzione di un «rito amazzonico». Come frutto maturo, arriva, oggi, questo primo incontro dei vescovi.

Nel frattempo, purtroppo, sono anche continuati gli «attentati» alla vita, all’ecosistema, alle popolazioni native: sfruttamento indiscriminato delle risorse, deforestazione, incendi spesso dolosi, sversamento di greggio, attività minerarie illegali, traffici illeciti e tratta. Rispetto a queste e altre vere e proprie piaghe, costantemente si leva la voce delle Chiese locali, delle diocesi e vicariati apostolici, dei missionari, degli organismi ecclesiali.

Il card. Barreto, in un video di presentazione, evidenzia il contesto speciale di questo incontro, ricordando che il 2025 commemora i 60 anni del Concilio Vaticano II ed evoca le Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano, in particolare quella di Medellín (1968), che ha incarnato lo spirito conciliare nella regione, con l’intuizione dell’opzione per i poveri, confermata dal magistero della Chiesa.

Durante una recente udienza concessagli da Papa Leone XIV, il presidente della CEAMA ha presentato al Papa i dettagli  dell’incontro. Il Santo Padre ha accolto con gioia l’iniziativa e ha confermato l’invio di un messaggio per l’apertura dell’incontro. «Vogliamo costruire una Chiesa che ascolta, una Chiesa che partecipa con tutti i suoi membri, una Chiesa che discerne e una Chiesa che assume con maggiore forza e vigore e con molta speranza la missione evangelizzatrice di Gesù in questo amato territorio amazzonico», conclude il presidente della CEAMA.

L’attesa dei vescovi

Da parte dei vescovi partecipanti, c’è attesa per questo incontro di Bogotá. «Non ero ancora vescovo durante il Sinodo amazzonico. Quindi questa sarà la prima occasione per avere un incontro di tutti i vescovi amazzonici – afferma, sul sito della CEAMA, mons. Miguel Ángel Cadenas, vescovo del vicariato apostolico di Iquitos (Perù).

È una grande gioia perché la Chiesa guarda oltre lo Stato-nazione e vede l’Amazzonia come un ecosistema fondamentale nella regolazione del clima del pianeta.

Allo stesso modo, un modo di essere cristiani in cui le comunità cristiane siano ministeriali». Guardando al futuro, mons. Cadenas esprime il desiderio che questo incontro contribuisca ad approfondire ulteriormente l’orizzonte sinodale e l’urgenza di un ministero inculturato e condiviso: «Spero che continueremo a lavorare in modo sinodale e daremo risposta alle enormi sfide che abbiamo davanti, soprattutto quelle relative al ministero».

Mons. Karel Choennie, vescovo di Paramaribo, in Suriname, guarda con speranza all’incontro di questi giorni: «È la prima volta che ci riuniamo come vescovi dell’Amazzonia per affrontare, da un unico spazio, i problemi che dobbiamo affrontare». Uno dei suoi desideri più profondi è che questo incontro abbatta le barriere linguistiche che ancora separano i Paesi amazzonici, consentendo così di costruire una comprensione comune delle speranze e dei sogni dei popoli indigeni. «Mi aspetto un incontro fraterno, con uno spirito ottimista sul futuro della conservazione della biodiversità e delle diverse culture amazzoniche», conclude.

Popoli indigeni a rischio

La Chiesa, attraverso i suoi organismi, continua a difender le popolazioni indigene e il loro ecosistema. Il card. Leonardo Steiner, arcivescovo di Manaus (Brasile), ha recentemente parlato di «lento sterminio dei popoli indigeni».

Lo ha fatto, in qualità di presidente del Consiglio indigeno missionario (CIMI), affiliato alla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, nel presentare l’annuale rapporto Cimi sulla «Violenza contro i popoli indigeni del Brasile», relativo al 2024.

L’anno è iniziato mentre era in vigore la legge 14.701/2023, la norma sul cosiddetto «marco temporal» (che fissava le nuove norme per la demarcazione dei territori indigeni), approvata dal Congresso nazionale e promulgata negli ultimi giorni di dicembre 2023. La legge è stata rapidamente annullata da una decisione della Corte suprema federale, ma, di fatto, è rimasta in vigore per tutto il 2024, indebolendo i diritti territoriali dei popoli originari, generando insicurezza e alimentando conflitti e attacchi alle comunità indigene in tutte le regioni del Paese.

Nel 2024, le «Violenze contro il patrimonio» dei popoli indigeni, raccolte nel primo capitolo del rapporto, hanno totalizzato 1.241 casi. Le violenze contro la persona sono state 424, tra cui 211 omicidi, 20 omicidi colposi, 31 tentati omicidi, 20 violenze sessuali.

  • Agenzia SIR, 16 agosto 2025
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