
La Chiesa non autocefala d’Ucraina che fa riferimento al metropolita Onufrio ha risposto negativamente alla ingiunzione del «Servizio di Stato per l’etnopolitica e la libertà di coscienza» (d’ora in poi, Servizio) per una presa di distanza decisa dal Patriarcato di Mosca, perché la considera non pertinente, fondata non sui fatti ma su opinioni e con connotazioni non giuridiche ma politiche.
Il 16 agosto, in un testo di cinque cartelle, la metropolia di Kiev «è arrivata alla conclusione che le osservazioni dell’ingiunzione con l’obbligo di eliminare le violazioni della legislazione sulla libertà di coscienza e delle organizzazioni religiose (il riferimento è alla legge 3894 dell’agosto 2024; cf. qui su SettimanaNews) sono fittizie, non hanno alcun rapporto con la Chiesa ortodossa ucraina e non possono essere accettate ed eseguite».
Il documento lamenta che la metropolia non sia stata messa a conoscenza delle prove documentali elaborate e sia stata indebitamente oggetto della legge. Il personale del Servizio non ha competenze canoniche e teologiche e ignora tutte le osservazioni formulate dagli specialisti. La perizia su cui si fonda l’ingiunzione non riflette la situazione giuridico-canonica della Chiesa e utilizza fonti di sentenze non definitive. Essa richiama documenti del Patriarcato di Mosca che la metropolia non riconosce e ignora tutta l’attività di sostegno e di aiuto nei confronti dello sforzo bellico della nazione ucraina nell’attuale contesto di guerra con la Russia. L’ingiunzione viola la legge nazionale e le convenzioni internazionali sul diritto della libertà religiosa.
Putin e Cirillo tutori
Quali erano le richieste del Servizio? Denunciare gli statuti della Chiesa russa nei punti in cui prevedono il coinvolgimento esplicito della metropolia ucraina, richiamare alle dimissioni i chierici e i monaci che ne fanno parte a tutti i livelli, rifiutare espressamente le decisioni del Patriarcato di Mosca sui territori occupati e le nomine episcopali relative. Inoltre, chiedere al metropolita Onufrio una dichiarazione scritta di disaccordo con la sua nomina negli organi di governo di Mosca e per una rottura formale con il Patriarcato.
«Nella sua risposta – annota Orthodox Times – il metropolita Onufrio evita di affrontare la questione centrale sollevata dalle autorità ucraine: il legame persistente della Chiesa da lui guidata con il Patriarcato di Mosca».
Sugli indirizzi governativi e sulla legge accennata vi è il consenso (o meglio il «non dissenso») delle famiglie religiose del Consiglio panucraino delle organizzazioni religiose.
Il peso della guerra con le sue decine di migliaia di morti, centinaia di migliaia di feriti, distruzioni innumerevoli e milioni di rifugiati pesa come un macigno sulla giustificazione di disposizioni giuridiche non prive di ambiguità e di contraddizioni. Tanto più dopo il voltafaccia dell’amministrazione americana di Trump, la ri-legittimazione di Putin e la vincente spinta militare russa sul territorio conteso.
Non è casuale che la questione della Chiesa non autocefala e delle garanzie nei suoi confronti sia nell’elenco delle pretese del presidente russo nell’incontro ad Anchorage, Alaska (16 agosto).
Dopo la revoca della cittadinanza al metropolita Onufrio, firmata dal presidente Volodymir Zelensky il 2 luglio scorso (cf. qui su SettimanaNews), l’attuale risposta impegna moralmente le 154 istituzioni ecclesiali della metropolia che godono di personalità giuridica.
Il conflitto intra-religioso si incancrenisce. «In questa situazione – annotava nel febbraio scorso Thomas Bremer, già docente di ecumenismo a Münster – il paese ha bisogno di unità e non di nuove divisioni. Le misure statuali contro la Chiesa non-autocefala non sono adatte a superare le divisioni. Esse non sono solamente da rifiutare in ragione della libertà religiosa, ma soprattutto nuocciono in maniera significativa alla stessa Ucraina».
«Purtroppo – come riportano le fonti informative di Orthodoxtimes.com – la situazione dell’ortodossia ucraina è caotica. Tutte le Chiese, al di là delle giurisdizioni e delle dottrine, sono diventate etno-nazionaliste, abbandonando la loro missione […] Nelle due Chiese, di Epifanio (autocefala) e di Onufrio, la maggioranza del clero (a parte qualche eccezione nella seconda) manca di formazione teologica adeguata» (Efi Efthimiou).
Difficoltà crescenti
Lo stesso autore, direttore del portale indipendente di informazione ortodossa Orthodoxtimes.com, ha scritto: «Secondo le fonti informative del Fanar (Costantinopoli) il metropolita Onufrio è un uomo molto pio, un semplice monaco, carente purtroppo del carisma di leader. La gente lo vede come un padre spirituale, un rispettabile anziano, ma privo di visione. Quando la propria Chiesa è perseguitata il pastore deve salvarla. È necessaria una visione per il futuro e Onufrio non ce l’ha. Cerca tuttavia di mantenere l’unità della sua Chiesa e di renderla indipendente dalla Russia, ma con grande fatica».
È in difficoltà a mantenere l’equilibrio fra nazionalisti e filo-russi. «Finché il metropolita Onufrio e la Chiesa ortodossa non autocefala non dichiareranno chiaramente e ufficialmente l’indipendenza dal Patriarcato di Mosca e non ripristineranno la comunione con il Patriarcato Ecumenico […], l’opinione pubblica ucraina continuerà ad associare la Chiesa di Onufrio alla Russia, all’aggressore e occupante di parti dell’Ucraina».
La vera anima «putiniana» sarebbe il cancelliere, il metropolita Antonio di Boryspol, fegatosamente russofilo e aiutato finanziariamente dall’oligarca ucraino Vadum Novynskyi. Recentemente si è scagliato contro i preti e i monaci che si sono attivati per mantenere un minimo di dialogo con la Chiesa autocefala e le altre confessioni accusandoli di indegni compromessi, di sintonia con i persecutori e di ipocrisia. Veri traditori di quanti patiscono violenze per difendere le loro chiese e di quelli che sopportano le accuse in tribunale da autentici confessori della fede.
Il 12 agosto, il responsabile dei Servizi di sicurezza del Paese, Vasyl Maliuk, in un’intervista televisiva, ha detto che i giudizi penali in corso nei confronti del clero sono 170 e 31 si sono conclusi con la condanna o per tradimento o per incitazione all’odio razziale e interreligioso. La non chiarezza della situazione in patria rende precaria anche l’attività delle circa 40 parrocchie che la Chiesa non-autocefala ha aperto in Europa per la cura degli esiliati e profughi. Esse sono ignorate dalla diplomazia ucraina e sospettate dai governi occidentali. La Chiesa autocefala si è impegnata con il tomo ricevuto da Costantinopoli a non aprire parrocchie fuori del proprio territorio nazionale.
Il veleno «nazionale» per le Chiese
Bartolomeo di Costantinopoli non nasconde in privato la sua delusione per la permanente tensione fra le Chiese ortodosse in Ucraina. Ha offerto l’autocefalia a tutti gli ucraini e non solo ad alcuni. Guarda con disappunto al permanente attivismo scissionista dell’anziano Filarete e all’incapacità di Epifanio, metropolita della Chiesa autocefala, di attirare i consensi dei fedeli. L’ha piegata a una «Chiesa di Stato» senza avvertire il pericolo che questo può significare.
Il patriarca ecumenico ha più volte espresso il suo rammarico di non aver potuto riconoscere a Onufrio il ruolo apicale della Chiesa autocefala. Alcuni responsabili del Fanar puntano il dito su Eustazio di Bila Tserkava che controlla le finanze della Chiesa autocefala senza prospettive missionarie e teologiche. Non è casuale – si dice – che la minoranza romena in Ucraina preferisca guardare a Bucarest piuttosto che a Kiev. Ci si attenderebbe una più chiara presa di distanza dalle violenze che talora accompagnano il forzoso sequestro di chiese ad opera di nazionalisti non praticanti senza poi avere le forze per gestirle con i propri sacerdoti.
Nel difficile contesto attuale l’arcivescovo maggiore degli ucraini, Sviatoslav Shevchuk, ha ripreso in un convegno ecclesiale del 18 agosto il «sogno» del predecessore, card. Lubomyr Husar, di un unico Patriarcato ucraino in grado di rappresentare l’intero cristianesimo del Paese pur nelle diverse anime confessionali, in comunione con Costantinopoli e con Roma.






Realtà alquanto complessa, a sua volta complicata dal fatto che le Chiese ortodosse non han saputo liberarsi dall’ingerenza del potere politico e dall’appoggio che da questo ricevono e ad esso danno. Manca loro e nei loro fedeli proprio la coscienza di essere realtà religiose libere da compromessi.
il problema però è questo. Se da un lato la legge ucraina che limita, se non abolisce del tutto la pratica religiosa della chiesa non autocefala ucraina, porta divisione ulteriore in un contesto di guerra già drammaticamente diviso, dall’ altra è altrettanto vero, che un paese in guerra non può tenersi in casa qualcuno che, di fatto, favorisce l’ invasore, per non dire nemico, se non addirittura faccia da spia prezzolata o arruolatore di dissenso.
Secondo me il problema è la connotazione fortemente identitaria della fede, che se da una parte è diventata propaganda del Russkij Mir, dall’ altra diventa il tentativo di riconoscersi come popolo autonomo, nazione indipendente, nel contesto dell’ autocefalia. Il punto è, ma la fede in Cristo non dovrebbe invece favorire la fratellanza tra popoli invece che creare divisioni? E’ chiaro che qualcosa non va, la guerra è il pentolone dove si vanno a mescolare tutte le problematiche sociali, storiche religiose e culturali di quello che è un odio tra popoli che si perde nei meandri della storia.