
Chi ha assistito a un sacrificio, o ne abbia visto, per caso, anche da lontano, una celebrazione, alzi la mano! Al massimo qualcuno potrà dire: «Sì, l’ho visto al cinema, o in una illustrazione del libro di storia». È strano, quindi, che il Messale Romano scriva nell’Introduzione, con assoluta nonchalance, come se tutti sapessero con chiarezza cosa sia un rito sacrificale, che «nella Messa o Cena del Signore», il popolo di Dio si riunisce «per celebrare il memoriale del Signore, cioè il Sacrificio eucaristico».
Quel «cioè» sembra addirittura presupporre che l’idea di sacrificio sia più chiara di quella di memoriale e serva a chiarirne il significato. Se poi, all’uscita dalla chiesa, chiedessimo ai partecipanti di descriverci il sacrificio eucaristico cui hanno partecipato, risulterebbe che quel che hanno visto nulla ha a che fare con quel che si vede nel disegnino del libro di storia che illustra quanto accadeva davanti al tempio di Saturno nel Foro romano, quando il sacerdote addetto offriva al dio un sacrificio.
È uno dei tanti casi nei quali il linguaggio liturgico, anche nella sua nomenclatura fondamentale, appare totalmente estraneo all’immaginario collettivo e al lessico abituale dell’uomo d’oggi. Non che il termine «sacrificio» oggi non sia usato nella comune conversazione, ma con un significato che sposta il discorso fuori dai recinti del sacro. Lo si usa quando si tributa stima a chi ha rinunciato ai suoi guadagni o alla soddisfazione di certe sue ambizioni per il bene degli altri, quando uno ha rischiato o perso la sua vita per salvare quella di un altro, quando ci si lascia condizionare, nell’uso del proprio tempo, dai bisogni dell’altro.
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Confesso di provare un certo stupore nell’osservare che enciclopedie e vocabolari mettono in primo piano, indotti a farlo, evidentemente, dall’etimologia del sacrum facere, il significato religioso e cultuale del termine e ne indicano come un’estensione semantica il significato e l’uso nell’ambito della vita comune. Eppure, se ci si mettesse a chiedere alle persone: «A cosa pensi quando dici o senti la parola “sacrificio”?» certamente ben pochi risponderebbero riferendosi a templi ed altari. Se secolarizzazione è, anche il lessico si è desacralizzato.
In questo contesto culturale e linguistico non riesco a capire quali ragioni abbiano indotto i traduttori italiani a tanto amare il termine «sacrificio», da utilizzarlo ben 433 volte, il doppio delle 213 volte in cui il latino «sacrificium» ricorre nell’originale Missale Romanum di Paolo VI. Devotio, oblatio, servitium, tutto diventa, inspiegabilmente, sacrificio.
Mai avrei pensato che i traduttori italiani del Messale si sarebbero addirittura permessi di modificare la formula, definita da Paolo VI per la Chiesa universale, della consacrazione del pane, «Hoc est enim Corpus meum quod pro vobis tradetur», pur di ripetere ancora una volta il termine amato. Hanno trascurato, infatti, il linguaggio biblico del «corpus meum quod pro vobis tradetur», che riprende dalla Vulgata il «quod pro vobis datur» di Luca e il «Filius hominis tradetur» dei preannunci della passione e sono ritornati, con scarso senso ecumenico, al linguaggio della controversistica postridentina, aggiungendo «offerto in sacrificio per voi».
Non così ha fatto la Chiesa francese («Ceci est mon corps livré pour vous»), né quella tedesca («der für euch hingegeben wird»), né le molte Chiese anglofone («which will be given up for you»). In compenso nella traduzione del Canone Romano il traduttore ha rinunciato a tradurre quella serie di qualità, prescritte anche dai rituali pagani, che la Chiesa supplica Dio attribuisca alla sua offerta, cioè che egli la renda «benedictam, adscriptam, ratam, rationabilem, acceptabilemque» (benedetta, riconosciuta, valida, spirituale e gradita) rendendo il testo con un semplice «degnati di accettarla a nostro favore, in sacrificio spirituale e perfetto».
Che nella teologia tridentina, determinata dalla controversia con i Riformatori, si preferisse la prima delle due immagini dell’Eucarestia, quella del sacrificio a quella della cena, è ben comprensibile. È difficilmente comprensibile, invece, che la liturgia della Chiesa italiana, dopo che il Concilio Vaticano II ha inteso riportare la Sacra Scrittura al centro della vita cristiana e promuovere il cammino ecumenico, introduca i fedeli nel desueto immaginario collettivo dei riti sacrificali e venga ad accentuare, con il suo linguaggio, la differenza della Messa dei cattolici rispetto alla «Cena del Signore» delle Chiese evangeliche.
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È stato già il NT a utilizzare la figura del rito sacrificale per interpretare il senso e il valore profondo della morte di Cristo. Davanti all’osceno spettacolo della crocifissione e della straziante agonia di Gesù inchiodato sul palo della croce, l’occhio del credente sembra voler forare le tenebre di quanto è accaduto in quel venerdì tragico e santo, per contemplare il luminoso mistero del Cristo che «ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2).
Si osservi l’audace opera di sublimazione dell’apostolo, che trasforma nella sua immaginazione la scena orrenda della croce in una luminosa e solenne liturgia. La morte di Gesù è il suo ingresso «nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12).
Si noti che la trasformazione della morte di Gesù in una solenne liturgia sacrificale non avviene per valorizzare la figura e l’idea del sacrificio, ma esattamente il contrario: «Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo». E il nuovo sacrificio non sarà più una celebrazione rituale, ma una vicenda umana, l’evento della vita vissuta di Gesù, culminata nella sua morte e risurrezione, con il suo particolare stile di vita: «Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10, 6-7).
Ai discepoli che un giorno gli avevano portato da mangiare, egli aveva detto: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4, 31-34). Quel «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà» del Getsemani né sarà l’espressione estrema. È la fedeltà a questo suo programma, è l’aver detto e fatto, senza demordere di fronte ai pericoli che gli si profilavano davanti, quanto la sua missione gli imponeva, che lo ha ridotto in catene davanti a Caifa e Pilato e lo ha portato ad essere condannato a morte e crocifisso.
Gli sarebbe bastato cessare di prendere posizione sulle questioni del suo tempo e smettere di dire le cose che diceva, per sfuggire al suo destino di morte. Questo è stato per Gesù, che non era un sacerdote, né mai aveva celebrato un qualche rito nel tempio, il sacrificio che egli ha offerto al Padre.
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È in questa sua disponibilità a dare la vita, pur di compiere fedelmente la sua missione, che l’apostolo della Lettera agli Ebrei lo ha immaginato, pur notando che sacerdote egli non lo era affatto (Eb 7,14), rivestito dei paludamenti sacerdotali, a celebrare «in virtù del proprio sangue» il suo glorioso ingresso nel santuario celeste. Aveva realizzato, infatti, nella sua vita l’avvento dell’uomo nuovo che fa della sua vita un dono, nella dedizione ai fratelli che egli offre a Dio.
Quello che la liturgia sacrificale mostrava nel simbolo, esprimeva come un’aspirazione, l’uomo nuovo lo compie quando attua l’esortazione di Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio». Questa è la sola loghikè latreìa, degna di Dio e dell’uomo, il solo culto «ragionevole», da celebrare.
«Ragionevole» preferirei tradurre, piuttosto che «spirituale» (Rom 12, 1), come abitualmente si traduce, per non svuotare di senso la sua materiale corporeità. Paolo qui intende il culto che il cristiano offre a Dio con le opere delle sue mani, l’andare e venire dei suoi piedi, gli sguardi dei suoi occhi e le parole della sua bocca, altrimenti non avrebbe detto ai cristiani di offrire i loro corpi. È poi impressionante leggere di Paolo la sua previsione di venire ucciso un giorno a causa del Vangelo e vedersi, nel versare il suo sangue, come se celebrasse un rito di libagione sull’offerta da presentare a Dio, che era per lui la vita vissuta delle sue comunità, alle quali egli ha dedicato tutta la sua esistenza (Fil 2,17).
Il culto cristiano, in particolare quel rito che definiamo «Sacrificio Eucaristico», costituisce, secondo la felice definizione del Concilio Vaticano II, «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC 10). Ha il suo senso e dispiega tutti i suoi significati solo in quanto il dies dominicus giunge a incoronare con la pienezza della grazia i giorni nei quali il cristiano ha offerto a Dio non riti ma fatti, le opere compiute al servizio dei fratelli e della società lungo la settimana, e in quanto illumina della sua luce i programmi di vita, che egli ogni domenica presenta a Dio, per i giorni della settimana futura.






Vi riporto il commento del Padre domenicano Padre Angelo Bellon al quale ho chiesto cosa ne pensasse delle
argomentazioni di Severino Dainich:
“La traduzione italiana ha voluto sottolineare il significato sacrificale dell’eucaristia.
Gesù ha voluto fare di se stesso un sacrificio, anzi un olocausto.
Certamente la traduzione italiana fa capire di più di quanto non emerga dalle altre traduzioni.
Inoltre sacrificio eucaristico è più comprensibile che memoriale, parola che in italiano quasi si confonde con con quella di memoria.”
Personalmente mi viene in mente Daniele 12,11 “Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eretto l’abominio della desolazione”. E vedendo come spadroneggia la lobbi LGBT+ in Vaticano direi che l’abominio non ci manca. Invece altri sacrifici, ovviamente con la “s” minuscola, sono quelli di Iryna Zarutska e Charlie Kirk. Sacrifici che, contrapponendo odio/menzogna contro amore/verità rimandano prepotentemente all’unico Sacrificio di Cristo.
Questo commento mi sembra quantomeno blasfemo: come si può confrontare la Morte di Cristo, che ha accettato volontariamente di andare in croce ed è andato volontariamente incontro al suo destino per fare la volontà del Padre, con due omicidi, a caso uno ad opera di uno squilibrato che non doveva essere a piede libero e uno il cui movente non è chiaro.
Per favore, la smetta di riportare qui le robe che legge su Twitter
La prima volta che ho visto il film DES HOMMES ET DE DIEU sono rimasta colpita da quella ultima cena dei frati di Thiberine, sui monti dell’Atlante algerino: una vera cena, ancorchè parca ma con una bottiglia di vino che ha fatto brillare di piacere qualche occhio. Quella cena – vera ultima per loro – è l’immagine che richiamo al momento della memoria, della testimonianza di una fede/visione assoluta.
Grazie per questo articolo e sono d’accordo sul bisogno di lavorare sulle parole che da secoli ci sono state insegnate e oggi non hanno molta possibilità di essere comprese ma continuano ad essere ripetute.
Argomentare sulla nozione di “sacrificio”, più o meno correttamente tradotto dal latino nel Messale Romano, per “abolirla”, appare poco in linea con il Concilio, a meno di ritenere talune indicazioni di esso meno importanti di altre, con un discutibile arbitrio di scelta personale. Ora la Costituzione Sacrosanctum Concilium al n. 47 recita: “Il nostro Salvatore nell’ultima cena, la notte in cui fu tradito, istituì il SACRIFICIO eucaristico del suo corpo e del suo sangue” e al n.48 i fedeli “rendano grazie a Dio, offrendo la VITTIMA senza macchia”. Anche qui i traduttori hanno deformato il concetto? E perché mai Cristo sarebbe invocato come AGNUS DEI senza il riferimento esplicito all’agnello dell’antico SACRIFICIO?
Grazie! Grazie! Grazie! Finalmente una parola autorevole sulla traduzione solo italiana!
Invano lo ho fatto notare ma ci penso ogni volta che la sento. Donare la vita anche per noi non è la stessa cosa che sacrificarla! Ci si dona con gioia e amore, ci si sacrifica a fatica. Volere la salvezza dell’altro non vuol dire volere sacrificarsi, anche se poi certe circostanze lo richiedono. Gesù ci ha salvato per amore e il nostro culto spirituale deve essere amarlo e dargli, direi, serenamente il primo posto, vivendo in comunione con quanto ha fatto e insegnato.
sì, grazie
ricordo questo testo fondamentale del prof. Ferretti
Ripensare evangelicamente il sacrificio: un problema ecumenico
https://www.dehoniani.it/ripensare-evangelicamente-il-sacrificio-un-problema-ecumenico/
Madre Teresa di Calcutta diceva alle sue consorelle di riempirsi di Cristo prima di portarLo nelle periferie e agli ultimi, altrimenti il rischio, ancora attuale, è di portare agli altri solo sé stessi, pregi e difetti…se non si passa attraverso il sacrificio, meditato, incarnato, oppure sperimentato, si porta agli altri solo la teoria…una replica del fare…
È vero che non giova vivere in modo nostalgico, ma dovremmo chiederci il motivo per cui le chiese una volta erano strapiene…non credo che mondanizzando il rito, il mondo entrerà in chiesa, perché per fare entrare il mondo in chiesa dovremmo trasformare il Rito in una specie di sagra o in un parco stile Gardaland…e non avrebbe comunque il medesimo successo.
La crisi di quest’epoca, a mio avviso, va curata con l’Amore di Cristo e con il Sacro, tra cui anche il Sacrificio di Cristo, perché guarisce le ferite di tutti…anche degli inconsapevoli. L’uomo cerca ovunque, ma non trova e quello che trova non lo sazia. L’uomo ha bisogno del Sacro e prima o poi ritornerà a comprendere che per vivere bene non può fuggire dal sacrificio.
Capisco la nostalgia. Ma oggi chi ha 20 anni per lo più nemmeno sa cosa fa un prete. Figuriamoci entrare in una logica sacrificale.
Stiamo tornando come ai tempi della prima chiesa. Circondati da neopaganesimo dobbiamo trovare nuove forme di inculturazione se non vogliamo spegnerci nella nostalgia. Non credo ci sia bisogno di sacro inteso come mistero insondabile. Era il trucchetto che ha tenuto piene le chiese finché la scienza ha fatto piazza pulita.
Credo occorra santità. “Siate santi come Io sono santo”. Ovvero portate avanti la vostra vocazione seriamente e con amore. Servono esempi di sacrificio per amore e non per penitenza. E quando fai una cosa per amore è davvero un sacrificio? Non è un dono in realtà?
Grazie Pietro per il suo chiarimento, è certamente un dono. Vorrei sottolineare però che chi non ha ricevuto amore nella sua crescita, fatica a donare ciò che non conosce. È vero anche che bisognerebbe donare a chiunque esempi di amore, che come semini germoglieranno e porteranno frutto a tempo debito. Io lavoro al pubblico… Personalmente sto imparando molto dal mio lavoro e cerco di mettere in pratica gli insegnamenti del Vangelo… a volte mi risulta semplice, a volte un po’ meno. Posso dire che quando mi risulta meno semplice mi sacrifico? Anche se è un termine che non viene compreso è esattamente il termine che descrive la realtà di quel momento. E non mi sembra ci siano altri termini. Posso lavorare su me stessa e superarmi… ma questo passaggio di sacrificio personale è fondamentale per diventare dono. Il fatto che sia un termine desueto, non vuol dire che non corrisponda alla realtà dei fatti e alla verità.
Nel Vangelo di oggi, 7 settembre 2025, si legge che Gesù, tra l’altro, ha detto: “”chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo”” (una frase netta che si aggiunge ad altre frasi, altrettanto nette, dette da Gesù in merito al possesso di beni). Orbene, per quel che è la mia esperienza, questa è una frase sulla quale non mi pare sia mai stata posta una enfasi particolare a differenza , viceversa, di quella contenuta nello stesso brano evangelico con la quale Gesù afferma che colui che non porta la propria croce non può essere suo discepolo; ed infatti il discorso di portare la croce
è stato talmente ripetuto – nelle prediche e non solo – che è passato anche nel linguaggio corrente. Una riflessione sulla diversa enfasi posta su queste due frasi, potrebbe forse contribuire a chiarirci un po’ le idee
Non capisco il motivo per cui si debba modificare la liturgia a piacimento per un dialogo ecumenico. Il rito della Santa Messa perde di senso se si toglie la sacralità del Sacrificio di Cristo…non sarà più un rito, ma una riunione condominiale.
Guardare al Sacrificio di Cristo dona a me, come a moltissimi altri, la perseveranza nelle prove inevitabili della vita, sapendo che dopo l’accettazione della prova ci sarà la rinascita, già sperimentabile in questa vita…
Perché trascurare tutti gli scritti dei Santi che hanno fatto del loro sacrificio personale una vita improntata nell’Amore a Cristo e di riflesso ai fratelli e alle sorelle in maniera indistinta…non capisco questo ecumenismo che vuole sgretolare le fondamenta stesse dell’ecumenismo…come può pensare di sorreggersi senza Sacrificio?
L’articolo mi pare costruito su un forte argomento fantoccio: presuppone che nel 2025 nel sentire comune il sacrificio sia rimasto (o debba per qualche strano motivo essere rimasto?) quello delle pecore e dei buoi al tempio. Magari 2000 anni di cristianesimo anti-sacrificale (a la Girard) ne hanno ampiamente traslitterato il senso in un più generico “dono di sé”. Ne ha scritto ultimamente anche Recalcati. (Come il solito girano e rigirano sempre le stesse tematiche..)
Sacrificio, sacrale, consacrato, sacrestia,… Il clericalismo a partire dal III-IV secolo ha reintrodotto il concetto di sacro (inteso come separato) nella vita della chiesa ed ha dimenticato-abolito la laicità evangelica. Il clericalismo che affligge le nostre comunità è infatti un sistema di potere basato sul sacro che genera diversi tipi di abuso, dagli abusi sessuali a quelli spirituali, dagli abusi dottrinali a quelli di coscienza. Un buon testo per comprendere il retroterra ideologico del clericalismo è questo https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/dal-sacro-al-santo-prolegomeni-per-una-rilettura-del-cristianesimo/
Però la Didache (testo giudaico-cristiano del I-II secolo) al capitolo 14 parla dello spezzare il pane e del rendimento di grazie come di un sacrificio, ricollegandosi a Malachia 1,11.
Ora, pur sapendo che il testo della Didache è più concentrato sull’insegnamento di Gesù e sulla sua venuta escatologica che sulla sua Morte e Risurrezione, non si può negare che già loro non avevano paura di applicare la terminologia sacrificale al culto cristiano
Quando penso al sacrificio , mi giunge subito davanti agli occhi l’immagine dell’agnello belante , strappato alla madre e condotto al Tempio.. .. .. ..
Ricordo le parole dell’Esodo.. ..si prenda del sangue dell’agnello e lo si metta sui due stipiti e sull’architrave della porta.. io passerò.. ..
La Giustizia operava e colpiva.. fino alla venuta del Messia.. l’Agnello di Dio.
Che dire.. non ci sono parole.. solo silenzio dinanzi al Sacrificio Perfetto.. eppure non è bastato.. ..non ancora.. fino a quando Signore?
In ogni tempio contempliamo il Crocifisso.. ci inchiniamo davanti alla Mensa Eucaristica.
dove il Corpo e il Sangue di Gesù viene offerto come cibo e bevanda.. fino a quando Signore?
I meriti di Cristo Gesù sono infiniti.. il Suo cuore aperto è una Fonte di giustificazione e vita.. eppure facciamo ancora memoria.. viva memoria.. così ha voluto..
Cosa possiamo fare.. rendere grazie sempre è poca cosa.. cercare, invocare il Risorto? affinché si manifesti nonostante le Ferite da punta.. oppure possiamo sentirci chiamati alla Riparazione delle Ferite del cuore di Gesù nel Sacramento dell’Amore.. forse.. solo allora andrà oltre la Croce.
Se mettiamo insieme i sacrifici dell’ AT, specie quelli prescritti per Yom Kippur e la lettera agli Ebrei ci troviamo davanti al SANGUE, vita della vittima e vita del Figlio, cioè vita di Dio attingibile nell’ Eucarestia. Sono questioni antiche risolte con escamotage teologici. Ma perché di fatto l’ assunzione del sangue viene negata ai fedeli. A me crea una grande difficoltà interiore. È semplice pigrizia oppure la perdita del significato del sacrificio?
Se vogliamo un cristianesimo “felice” dobbiamo chiarire il concetto di “sacrificio”. Rimanere fedeli al disegno di amore che Dio ha per l’umanità è si un sacrificio ma non fine a se stesso come spesso sembrano certi atteggiamenti severi e tristi di tanti cristiani che rinunciano alla loro felicità per rendere felice Dio o per apparire come i farisei emaciati dal digiuno. La logica che ci mettono in testa fin da piccoli. I “fioretti”. Misericordia io voglio e no sacrifici!
condivido il tuo pensiero, Pietro. Noi parliamo, parliamo,parliamo e parliamo, restando così fermi su temi che altri vogliono tenere ferma la Chiesa. NON possiamo continuare in questo modo!!! Nel merito: se osservi quando la gente si mette in fila per prendere la comunione è seria, afflitta, mai sorridente. Diceva Enzo Bianchi, e io condivido: se Dio manda le prove, un Dio così io non lo vorrei (in sintesi) e pensare in questo modo è blasfema. Non solo, la Chiesa dati i primi dati del Sinodo, ha chiaramente detto che non vuol cambiare. Ha raccolto tutte i desideri del popolo cristiano e… Ricordiamo cosa disse il cardinal Martini: La Chiesa è indietro di 200 anni!!! L’importante è parlare non cambiare, del resto il cambiamento è sempre FATICA. Mi fermo, Pietro, poiché non finerei mai di parlare di cose che si dovrebbero cambiare
Un bell’articolo! Forse una parziale risposta sul perché i traduttori italiani abbiano utilizzato 433 volte la parola “sacrificio” la può dare l’articolo sul “cristianesimo felice” e i relativi commenti; sembra quasi che il dolore e la sofferenza siano inscindibili dal cattolicesimo; più si soffre, più si diventa buoni cattolici, questo è il messaggio che veniva trasmesso dalla Chiesa nella mia (lontana) giovinezza
Ma che Buona Novella è quella nella quale la sofferenza deve – deve – essere parte costituente della vita del credente? “”Salve Regina, Madre di misericordia…., a te ricorriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime””: un esempio, tra i tanti , del dolorismo cattolico
Io condivido il suo pensiero e mi batto perché il “tristume” di certi cattolici non rovini la vita del prossimo. Si rovinino la loro se proprio vogliono ma non rovinino quella degli altri in nome di un Dio che non vuole una vita di sofferenza.
Grazie don Severino. La bibliografia sul tema ormai è vastissima, e tra gli italiani credo che Romano Penna e Roberto Mancini (in due campi completamente diversi) meritino una speciale menzione. Il passo successivo credo che sarebbe quello di chiedersi: a chi serve, oggi, che la spudoratezza della traduzione italiana permanga per quella che è? Quali devastazioni degli spiriti continuano ad essere alimentate dalla mentalità sacrificale, soprattutto nel campo dell’educazione degli affetti dei cuccioli d’uomo? Ma queste sono domande da maestri del sospetto, di quelle che non siamo ancora capaci di digerire. Tanto più che in questo campo, come in quasi tutti gli altri, la risposta più semplice è spesso quella più realistica: siamo solo complici delle nostre inerzie.
“venga ad accentuare, con il suo linguaggio, la differenza della Messa dei cattolici rispetto alla «Cena del Signore» delle Chiese evangeliche”
Questa frase è interessante, come anche il fatto che l’ecumenismo sia inteso praticamente sempre verso i nostri fratelli figli della riforma e mai verso gli orientali… che invece su questi temi sono d’accordo (in linea generale) con la Tradizione Cattolica della liturgia eucaristica.
Sinceramente, da cattolico, non ho problemi ad affermare con fermezza che se dovessi scegliere tra l’ abbandonare anche una virgola della teologia Cattolica dell’Eucaristia o rinunciare al dialogo con i riformati, seglierei la seconda opzione.
perchè forse il mondo ‘protestante’ ha 900 milioni di fedeli nominali, mentre l’Ortodossia circa 300 milioni? (e se si va a vedere il grado di attività dei fedeli i protestanti acquistano ancora più vantaggio)
Ma ci sono tantissime divisioni tra i protestanti. E Dianich penserà ai valdesi o luterani, non certo alle nuove correnti pentecostali! (che nemmeno ho idea di cosa pensino sul sacrificio sinceramente.)
C’è un teologo della Chiesa Apostolica (gruppo pentecostale che esiste anche in Italia ed ha un’intesa con lo Stato) che ha scritto un’articolo sul tema
https://www.apostolictheology.org/2022/08/pleading-blood-towards-pentecostal.html
Ieri sera ho controllato, i Valdesi sono 45.000 in tutto il mondo, 30.000 in Italia. E in ogni caso fa comodo pure il dialogo con il mondo ortodosso quando serve.
https://www.edizionisanpaolo.it/religione_1/teologia-e-filosofia/limina/libro/il-mondo-buono-di-dio.aspx
Ad esempio sull’ecologia, perché (testuali parole) il mondo ortodosso è rimasto più vicino alla materialità, e i danni maggiori al creato vengono proprio dal disincarnato capitalismo protestante. (Weber remember).
https://www.laciviltacattolica.it/articolo/teologia-della-prosperita-il-pericolo-di-un-vangelo-diverso/
Che io sappia i pentecostali sono molto vicini alla Teologia della Prosperità, che è una forma di calvinismo americano sotto steroidi, non so come possa essere letta sotto la lente del sacrificio. Ci può essere una lettura molto classica, cioè offro doni in sacrificio per averne benefici immediati (soldi, salute, potere) più di una antisacrificale alla Girard (accolgo il sacrificio eucaristico come fine della necessità di sacrifici idolatrici..).
Qui Vattimo in confronto con Girard stesso. https://www.doppiozero.com/vattimo-intervista-su-religione-e-filosofia Per me può avere ragione Vattimo, portando alle estreme conseguenze la sua lettura kenotica del messaggio evangelico, ma vedendo come va il mondo reale non ha tutti i torti nemmeno Girard..
“Esiste il male assoluto? Non lo so, per fortuna, altrimenti vivrei sempre spaventato. Come non assolutizzo la mia metafisica tento di non assolutizzare la mia idea del male, che non vuol dire che me ne sto con le mani in mano: quello che ritengo male, lo combatto, perché sono un’entità storica, non Dio. Il pensiero debole è anche questo, la presa d’atto che non abbiamo in tasca la verità assoluta, per cui dobbiamo scendere a compromessi con gli altri, dobbiamo essere caritatevoli perché se ci basiamo solo sull’idea della verità non facciamo altro che scannarci. E anche l’idea del male… come possiamo definirlo, il male?” Dato che il nuovo pontefice è agostiniano mi viene da dire che anche per Agostino il male non esiste ontologicamente, è piuttosto pensabile come un vuoto di bene, ma che significa oggi nel 2025 in preda alle guerre un male presente come assenza di bene? Alla fine devi sempre avere delle categorie “metafisiche”, che siano deboli o forti cambia poco alla fine, se finisci in un buco di terra con le bombe che ti piovono sulla testa..
Poi sono domande troppo più grandi di me, nonostante per vari motivi ci pensi da quando sono nata, forse l’unica risposta rimane un socratico ammettere di non sapere, vale per la metafisiche classiche come per i Grillo, i Dianich e tutto il pensiero teologico postmetafisico. Speriamo di non finire nel buco del male, più di questo non so che dire..
Per eliminare l’ interpretazione sacrificale della Passione di Cristo bisognerebbe togliere tutti i versetti del Vangelo che si riferiscono alle parole pronunciate da Giovanni il Battista : Ecco l’ Agnello di Dio che toglie i peccati del Mondo ( Giovanni 1,29)
La definizione infatti di ” Agnello di Dio ” non puo’ che richiamare al sacrificio che si faceva nel Tempio di Gerusalemme . L’ Antica Alleanza e il sacrifico giornaliero sull: Altare del Tempio lascia il posto ud una nuova specie di sacrificio ,non materiale ma spirituale ,che si celebra dull’ altare della Messa.
Il riferimento al sacrificio del Tempio di Gerusalemme e’ esplicito nella Liturgia cattolica prima della riforma liturgica . Dopo la riforma liturgica invece ha trionfato una interpretazione protestante della Messa come cena fra amici e memoriale .
Nel Rituale della Messa secondo il rito romano antico ( in vigore fino alla riforma degli anni ’60 del secolo scorso ) :
Degnati di guardare con sereno volto questile offerte come accettasti le offerte del tuo giusto serve Abele , e il sacrificio del Patriarca nostro Abramo e quello che ti offri’ il sommo tuo sacerdote Melchisedek, sacrificio santo ed ostia immacolata ”
Nel canone della Messa ci si richiamava esplicitamente ai sacrifici graditi a Dio di Abele ,Abramo ,Melkisedek .
Ricordiamoci che queste preghiere sono state pronunciate per migliaia di anni ,per secoli, in tutte le chiese cattoliche ad ogni Messa . E riflettiamo che come ha detto papa Benedetto XVI cio’ che’ stato ritenuto Sacro e venerato da generazioni di cattolici non puo’ oggi essere ritenuto superato.
Questo testo è una delle sezioni del Canone Romano, che esiste anche nel Nuovo Rito con il nome di Preghiera Eucaristica I.
Formidabile. Grazie per queste perle
Molto chiaro e … illuminante. Grazie
Faccio una riflessione. Si critica tanto il clericalismo, ma in questi 15 (forse di più) anni di frequentazioni virtuali ho notato che la maggior parte degli spazi sono gestiti da più o meno intellettuali, teologi, vaticanisti. Che quasi sempre si sentono in dovere di riformare da capo il cristianesimo. Vale per Grillo e Mancuso, come per Tosatti e Magister. Non esistono praticamente siti in cui si possa seguire la vita della Chiesa per quello che è e basta, senza dover per forza aspettarsi chissà quali rivoluzioni o controrivoluzioni. Dopo un po’ ne segue una specie di bulimia critica che spinge all’indifferenza..(uno dirà: perchè non te la apri? Ci ho spesso pensato, soprattutto nei primi tempi, ma temo che farebbe la stessa fine, forse è proprio la natura di internet a rendere impossibile un confronto.)
Faccio fatica a credere che internet abbia una natura… o invece è la natura della creatura umana a interrogarsi di continuo e specialmente nell’ambito del sacro, un mondo mai sondato abbastanza? Le Scienze hanno cambiato i parametri della conoscenza. Ogni stimolo è apertura per chi vuole attraversare la soglia. Ma si può anche seguire così come stanno…le cose.
Guardi personalmente ho studiato un minimo di teologia (quando studiavo in Cattolica) e anche dopo mi pare di essere rimasta aperta e curiosa. Ho due edizioni del Corano amo la teologia, leggo cattolici, protestanti, ortodossi, anticlericali atei convintissimi, senza problemi. Noto solo che anche i vari gestori di queste pagine in termini di “clericalismo ( inteso come senso di superiorità, prestigio universitario o mediatico ecc) non sono tanto diversi dal clero.. Di fatto non esistono pagine per laici che vorrebbero solo informarsi o trovare risposte ai propri dubbi di fede.
Molto interessante. Stesso ragionamento si potrebbe fare con altre parole. Per esempio pro-fano. In antichità indicava quella parte all’interno del tempio – quindi in una zona sacra – che era davanti alla cella dove era contenuta la statua della divinità. Oggi con profano si designa tutto ciò che è l’esatto opposto di sacro, ciò che è in antitesi. Destino comune ad altre parole.