«C’è nessuno?». I ricomincianti e la chiesa

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ricomincianti

La quarta monografia dell’annata della rivista Presbyteri «nasce dalla constatazione che sono ormai in molti coloro che, dopo un periodo più o meno lungo di allontanamento dalla Chiesa, per motivi diversi, vogliono ricominciare un cammino di fede. Che cosa chiedono, e che cosa trovano?». L’intenzione è leggere questo fenomeno come «una chiamata rivolta alla comunità cristiana intera ad assumere un volto accogliente e a rivedere la propria organizzazione, promuovendo le ministerialità e rivedendo la pastorale degli adulti, nella consapevolezza che quella dei ricomincianti è una vera e propria profezia, un appello alla Chiesa di oggi che non può cadere nel vuoto». Riprendiamo di seguito l’editoriale di don Nico Dal Molin.

All’indomani della veglia del Giubileo dei giovani a Tor Vergata, in un articolo comparso sul Corriere della Sera, Susanna Tamaro scrive:

Che sorpresa il milione di ragazzi presente l’altra sera a Tor Vergata! Sguardi straordinariamente vivi e commossi, uno diverso dall’altro, come se la clonazione estetica imposta dai media non avesse mai attecchito nelle loro vite. Sembrava fosse impossibile quel lungo tempo di attenzione, immobilità e silenzio che ha accompagnato l’adorazione eucaristica. Eppure è accaduto.

Condividendo poi uno scorcio autobiografico della propria vita, la scrittrice continua:

Questa visione mi ha riportato agli anni della mia tormentata adolescenza, quella degli anni ’70 (…) Covavo delle domande nel mio cuore a cui nessuno sembrava capace di rispondere. Una tra tutte: cosa rendeva una vita davvero degna di essere vissuta? Così ho raggiunto Assisi. Lì sapevo che c’era stato un ragazzo, inquieto come me, che si era ribellato ai fanatismi del suo tempo, consegnandosi a una dimensione di libertà che trovava affascinante[1].

L’esperienza che la Tamaro racconta fa parte di quella inquietudine e ricerca di senso che ha caratterizzato i giovani di tutti i tempi e che oggi assume, spesso purtroppo, modalità di espressione sempre più allarmanti e drammatiche, soprattutto nell’età adolescenziale[2].

I ricomincianti … chi sono?

Possono essere persone battezzate che, a un certo punto del loro cammino di vita, si sono allontanate dalla Chiesa. Mediamente la loro età è compresa tra i 35 e i 50 anni e chiedono alla comunità cristiana di essere accompagnati in un percorso di riscoperta della fede. Ad essi si aggiungono poi dei neofiti che per la prima volta desiderano scoprire la fede e fanno richiesta del Battesimo.

Il punto in comune tra coloro che desiderano ricominciare è l’avere alle spalle un “sentiero interrotto”, con un progressivo distacco dalla comunità cristiana di appartenenza. Si mettono insieme perché, dopo tanto tempo, è ricomparsa in loro una domanda: «Cosa c’entra il Signore con la mia vita?». Questi percorsi si basano su esperienze già consolidate in Francia e in Belgio; tra tutte quella elaborata dalla diocesi di Annecy e guidata dal teologo p. Roland Lacroix[3].

Il numero sempre crescente di adulti che bussano oggi alle porte della Chiesa per chiedere il battesimo o per riprendere il proprio cammino di fede, testimonia la forza e l’audacia dello Spirito che continua ad agire con la sua capacità di rinnovare la Chiesa nel profondo. Come non ricordare l’espressione che torna come un refrain nei capitoli 2 e 3 del libro della Apocalisse: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese»?

L’esperienza dei ricomincianti, là dove è presente, rappresenta una sfida pastorale che rimette in discussione prassi ripetitive, forse inaridite, di catechesi e di annuncio del Vangelo: come accompagnare concretamente i catecumeni adulti? Quali piste aprire per un autentico percorso catechistico e liturgico? Una serie di suggestioni teologiche e pastorali le offe p. Roland Lacroix in un recente testo sull’accompagnamento dei catecumeni adulti.

Lo stupore del mistero

I racconti di catecumeni o neofiti che rileggono la propria storia personale e di fede, sono sempre fonte di grande sorpresa: in questa nostra Europa, sempre più secolarizzata, assistiamo ad un evento che né la psicologia, né la sociologia, né le altre scienze umane riescono a giustificare con una spiegazione esauriente, un evento che ha in sé qualcosa che sfugge ad ogni analisi. Lo Spirito Santo continua, in maniera misteriosa e meravigliosa, la sua azione nella storia. Anche nella realtà europea, un tempo terra di profezia per il Cristianesimo, continua a ripetersi il miracolo di donne e uomini che accolgono il vangelo nella loro vita e ne rimangono profondamente trasformati.

È quanto afferma fratel Enzo Biemmi:

Questa presa d’atto ci porta a riflettere su ciò che afferma Géraldine Mossière, antropologa dell’Università di Montréal: «Le conversioni contemporanee rimettono in questione il paradigma della secolarizzazione di alcune società moderne». Dobbiamo riconoscere che una cultura secolarizzata non è in sé stessa estranea o ostile al Vangelo, ma alla forma sociologica che esso ha assunto in una società di cristianità (…) Per la comunità ecclesiale ogni volta che una persona dice: «io credo» si tratta di un miracolo, di un intervento della grazia di Dio nel cuore umano rispetto al quale occorre prima di tutto ringraziare.[4]

Sono gli stessi protagonisti, catecumeni e neofiti, che sentono di trovarsi di fronte a un mistero, dove le parole si trasformano in silenzio e stupore. La stessa Edith Stein, a quanti la interrogavano sul perché della sua conversione al cattolicesimo, rispondeva: «Questo è il mio segreto». Edith faceva proprio il consiglio della discrezione proposto da San Giovanni della Croce: «Quando si tratta di una conversione, nessuna curiosità umana, per quanto abitata dalla più grande benevolenza, è alla misura di questa domanda»[5].

Meravigliosa complicatezza

A questo punto è inevitabile porsi una o più domande: la comunità ecclesiale è pronta per accogliere questi nuovi credenti? Quale è il suo compito di fronte a questo mistero? Come va interpretato e modulato un cammino di accompagnamento?

Sempre secondo fratel Biemmi la risposta è semplice: l’accompagnamento di un catecumeno ricominciante o di un neofito si qualifica, prima di tutto, come riconoscimento e servizio del primato dello Spirito, l’unico competente a far nascere e crescere la fede. Questa affermazione non è innocua, è rivoluzionaria, perché chiede un’inversione di logica e di azione.

La diaconia all’azione dello Spirito – secondo Biemmi, Lacroix, Foisson, i grandi catecheti che stanno esplorando questi sentieri per parecchi tra noi ancora inesplorati – chiede di non pensare la catechesi prebattesimale o mistagogica come impegno per inquadrare la vita delle persone nei soliti schemi ecclesiali, ma provoca a riprogrammare l’annuncio catechistico e l’azione pastorale come servizio all’azione e ai disegni di Dio.

Sant’Agostino, rivolgendosi a Deogratias, il diacono di Cartagine impegnato come catechista di catecumeni, scrive:

È giusto che noi ci facciamo un programma di lavoro: e se potremo far le cose in quest’ordine, ne godremo perché così è piaciuto a Dio. Ma se qualche improvvisa necessità butterà all’aria il nostro programma, pieghiamoci serenamente, senza avvilirci: e l’ordine che Dio vuole sia anche il nostro. È più giusto che siamo noi a fare la sua volontà, che lui la nostra (De catechizandis rudibus, 14,20)[6].

È un’indicazione pastorale incendiaria: siamo chiamati a programmare l’accompagnamento e allo stesso tempo a lasciarci deprogrammare da esso, con una gioiosa e convinta rinuncia al controllo dello sviluppo e degli esiti. Si può comprendere e abitare questo paradosso alla luce di un’intuizione proposta da papa Francesco in Evangelii gaudium: «Gesù aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano (…); quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo» (270).

Una «meravigliosa complicatezza» come sfida per la comunità cristiana!

Per concludere … una metafora

André Foisson, teologo e catecheta gesuita belga, propone un’interessante metafora per comprendere il cambio di paradigma a cui la pastorale dei ricomincianti provoca. Era il 26 dicembre 1999 quando la tempesta «Lothar» si abbatté sull’Europa centrale, in particolare nell’Est della Francia, con venti violenti a più di 150 km orari. Si stima che oltre 300 milioni di alberi siano stati abbattuti sul territorio francese. Un fenomeno estremo equivalente a quello della tempesta «Vaia», che ha colpito le regioni del Nord-Est in Italia tra il 27 e il 30 ottobre 2018. Le raffiche di vento hanno superato i 190 km/h ed hanno sradicato e spezzato oltre 14 milioni di alberi, creando una ferita profonda nel territorio montano.

Dopo queste catastrofi gli uffici tecnici forestali hanno cominciato ad elaborare programmi di rimboschimento, progetti di reimpianto di alberi, piani di semina. Ma quando si è trattato di attuare questi piani gli ingegneri forestali hanno constatato che la foresta li aveva anticipati. La rigenerazione naturale della foresta manifestava una migliore bio-diversità e un miglior equilibrio ecologico tra gli abeti rossi e le latifoglie. Per questo, in maniera molto intelligente, da un intervento pianificato a tavolino gli ingegneri forestali sono passati ad un’azione più flessibile di accompagnamento della rigenerazione naturale dei boschi.

Scrive p. Foisson:

Potremmo fare un esercizio di transfert. Anche la Chiesa ha conosciuto, negli ultimi 50/60 anni, un uragano. Il panorama religioso, almeno nelle sue espressioni tradizionali, ne è uscito devastato. Ciò che ci interessa, per analogia, è il cambiamento di atteggiamento degli ingegneri forestali: sono passati da una politica volontaristica e pianificata secondo i loro schemi ad una politica di accompagnamento, lucida e rispettosa della rigenerazione in corso. Non si dovrebbe operare lo stesso passaggio anche in pastorale? Un passaggio da una pastorale di “inquadramento” (encadrement) a una pastorale di “accompagnamento generativo” (engendrement)?[7]

La pastorale di inquadramento – suggerisce p. Foisson – si svolge nella logica del controllo in cui, partendo dalle nostre risorse e dai nostri progetti, si cerca di configurare la Chiesa e il mondo come noi vorremmo che fossero. Secondo questa pastorale l’annuncio del Vangelo e l’edificazione della comunità cristiana è qualcosa che dipende da noi. L’agire pastorale è vissuto avendo come sfondo un immaginario aziendale, dove ci si immerge in un attivismo secondo il quale non si è mai fatto abbastanza o dove si sperimenta un sentimento perenne di impotenza e disfattismo quando le resistenze incontrate sono troppo forti. Attivismo e disfattismo sono atteggiamenti gemelli: entrambi sono tributari di una stessa volontà di potenza.

La pastorale dell’accompagnamento generativo privilegia la cura a servizio di ciò che nasce. In ascolto delle aspirazioni e dei bisogni che emergono dalla concretezza della vita della gente, ci si pone al loro servizio accettando un ridimensionamento e una rinuncia al controllo. Consiste nell’accompagnare, con discernimento, competenza e umiltà, una rigenerazione di cui non si può essere padroni e controllori assoluti. Significa riconoscere che la «catastrofe» non è una catastrofe per tutti, che a molti non piacerebbe ritornare alla vecchia foresta e che il presente è portatore di una migliore bio-diversità comunitaria ed ecclesiale. Significa entrare nella logica di una «pastorale relazionale».

Nel Giubileo della Speranza la visione di quel milione di giovani ci ha aperto una finestra su un mondo che credevamo perso per sempre. Il mondo di chi ha sete ed è capace di mettersi in cammino alla ricerca dell’acqua che disseta. Forse ciò che corrode la nostra società annoiata e arrabbiata è il fatto di non comprendere la grande arsura che l’attraversa.


[1] S. Tamaro, I ragazzi di Tor Vergata e quegli sguardi luminosi di chi ha sete di verità, Corriere della Sera 3 agosto 2025.

[2] Cf. M. Monte M. – A. Parabiaghi, Disagio giovanile: in cosa consiste e cosa lo provoca, ricerca a cura dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri – IRCCS, Milano 16 dicembre 2024.

[3] R. Lacroix, teologo e catecheta francese, è professore all’Institut Catholique de Paris. È autore del testo Accompagnare i catecumeni. Guida pastorale, catechistica e liturgica, Queriniana, Brescia 2024.

[4] E. Biemmi, Neofiti e ricomincianti: conversione e comunità, Convegno nazionale dei catechisti, Roma 23-25 settembre 2016.

[5] Ibidem.

[6] Cfr. Lettera ai catechisti «De catechizandis rudibus», traduzione a cura di Giovanni Giusti, Dehoniane, Bologna 1981. È un trattato, scritto da Agostino intorno al 400, in cui egli precisa i contenuti di fede da proporre a chi, per la prima volta, viene a contatto col cristianesimo e delinea alcune modalità con cui il catechista dovrebbe comunicare questi stessi contenuti.

[7] A. Foisson, Evangelizzare in modo evangelico. Piccola grammatica spirituale per una pastorale di accompagnamento (d’engendrement), Convegno “La Vocazione formativa delle comunità cristiane: evangelizzazione e catechesi degli adulti, Genova 16-19 Giugno 2008. Cf. Quaderno CEI nr. 34-2008.

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9 Commenti

  1. Chiara 11 settembre 2025
  2. Giuseppe 11 settembre 2025
  3. Chiara 10 settembre 2025
  4. Chiara 10 settembre 2025
  5. Paolo Maria Floris 10 settembre 2025
  6. Fabio Cittadini 9 settembre 2025
    • Angela 9 settembre 2025
      • Roberto 9 settembre 2025
      • Fabio Cittadini 9 settembre 2025

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