Chiediamo con forza che a Gaza cessi ogni forma di violenza inaccettabile contro un intero popolo e che siano liberati gli ostaggi. Si rispetti il diritto umanitario internazionale, ponendo fine all’esilio forzato della popolazione palestinese, aggredita dall’offensiva dell’esercito israeliano e pressata da Hamas. Ribadiamo che la prospettiva di “due popoli, due Stati” resta la via per un futuro possibile. Per questo, sollecitiamo il Governo italiano e le Istituzioni europee a fare tutto il possibile perché terminino le ostilità in corso e ci uniamo agli appelli della società civile.
In questa denuncia ci muovono le parole di san Paolo: “Cristo è la nostra pace” (Ef 2,14). Per i cristiani significa, anzitutto, pregare per la pace. Accogliamo, quindi, l’invito di Papa Leone a “pregare, ogni giorno del prossimo mese, il Rosario per la pace, personalmente, in famiglia e in comunità”. Lo faremo, in particolare, l’11 ottobre, alle ore 18, con quanti si recheranno in piazza San Pietro, per la Veglia del Giubileo della Spiritualità mariana, ricordando anche l’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
Vogliamo essere desti di fronte agli eventi della storia e critici di fronte a scelte che provocano morte e distruzione.
Ci impegniamo a dare sostegno concreto a quanti pagano pesantemente le conseguenze di questa “inutile strage”. Così come fatto, in più di 30 anni, con i 145 progetti finanziati dalla Chiesa italiana e con il piano di aiuti per far fronte all’emergenza in corso.
Proponiamo gesti eloquenti di prossimità con chi soffre e di riconciliazione tra le parti. Anche noi, in comunione con Papa Leone, vogliamo diventare costruttori di ponti, secondo l’Appello firmato con le Conferenze Episcopali di Slovenia e Croazia: “Riaffermiamo la nonviolenza, il dialogo, l’ascolto e l’incontro come metodo e stile di fraternità, coinvolgendo tutti, a partire dai responsabili dei popoli e delle nazioni, perché favoriscano soluzioni capaci di garantire sicurezza e dignità per tutti”.
Per questo, nei prossimi giorni, il Segretario Generale, S.E. Mons. Giuseppe Baturi, si recherà a Gerusalemme per esprimere solidarietà alla Chiesa di Terra Santa, verificare la possibilità di incrementare l’aiuto umanitario e di realizzare, come già avvenuto con alcune Conferenze Episcopali Regionali, una prossima visita fraterna da parte di rappresentanti dell’Episcopato italiano.
24 settembre 2025







Questo appello tanto determinato del “Consiglio permanente CEI” ha le sue ragioni ma pure un vuoto.
La affermazione: “Vogliamo essere desti di fronte agli eventi della storia e critici di fronte a scelte che provocano morte e distruzione” mi consente di dire qualcosa di importantissimo.
Essere desti di fronte agli eventi della storia per un cristiano e genericamente per un monoteista significa essere diffidenti, vivere con distacco il pensiero di una “terra santa”, vigilare affinché non divenga un idolo.
Non c’è dubbio che anche i cristiani, i musulmani e gli ebrei non solo i pagani hanno rapporti religiosi coi luoghi; ma il fanatismo che alberga in Palestina e Israele attorno a memorie e segni storici dei tre grandi monoteismi eccede le rispettive dottrine e si presenta come una infausta imitazione dell’onore pagano verso le divinità dei luoghi. Il soprannaturale non è mai identificabile con spazi e tempi particolari e anche la vicenda cristiana lo insegna. Esempio: Gerusalemme ma poi Roma (e Nuova Roma, Terza Roma). Nessuna tradizione lo avallava, nessun fato lo decretava, era novità.
“Terra Santa” cosa significa? L’unica Età della storia in cui fu realizzata una convivenza positiva tra fedi viventi nei luoghi eletti millenni orsono a (provvisoria!) Terra Promessa, poi scenario della predicazione di Gesù di Nazareth quindi punto fermo della espansione dell’Islam, fu quella dell’Imperatore svevo d’Occidente Federico II. Egli non si impegnò per una continuazione, non volle il monopolio cristiano e come sempre fu odiato e frainteso, in tal caso per aver fatto durare l’idillio pochi anni soltanto. Eppure prima di lui era già stato mosso un sacrosanto dubbio ai promotori delle Crociate: in che senso una guerra per onorare il passato? Altri motivi v’erano e non commerciali, così come oggi tanti ebrei sono finiti lì non per incauta nostalgia ma perché non sapevano più dove vivere tranquilli; e ugualmente molti arabi sotto l’Impero Ottomano. Ma si è trattato di coincidenze.
Si deve capire che, ugualmente a un crocifisso di legno che resta segno umano, la “Terra Santa”, in senso assoluto, non esiste, né per ebrei né per cristiani né per musulmani; e che ci sono dei falsari che hanno vessato e stanno vessando e uccidendo senza motivo. Lo si deve capire non solo perché le tre grandi fedi abramitiche non comandano tanto attaccamento, ma pure perché insegnano a trascendere i luoghi per raggiungere Dio stesso.
Bello questo appello alla preghiera, alla fraternità e alla pace: possa venir tradotto in esperienza vissuta da ogni famiglia e in ogni casa.