
La domanda concerne la sorte del cristianesimo e può essere rilanciata, come fa Sartorio (OFM Conv., docente presso la Facoltà Teologica del Triveneto) nel suo libro Cristianesimo di minoranza? Sul futuro delle comunità cristiane, in modo forse brusco ma ineludibile, così: «Ci sarà futuro, e se sì, quale?» (p. 7).
È naturale che ne fioriscano risposte diverse, fra evocazioni funebri e visioni apocalittiche oppure prefigurazioni di ripresa se non nei numeri almeno nella qualità, spostando l’attenzione su un futuro dai contorni molto poco definiti e dimenticando che «continuare a dire come dovrà essere il cristianesimo futuro non cambia magicamente di segno quello di oggi, ed è un esercizio retorico alla lunga frustrante» (p. 13).
Per l’autore si tratta, invece, di «approntare un cristianesimo in grado di abitare gli orizzonti, cioè di non subire ma di intercettare e interpretare creativamente i processi storici» (p. 15).
Inoltre, se si vuole immaginare come potrà essere il cristianesimo nel futuro, bisogna prima di tutto tenere conto che «non c’è più il futuro di una volta, un futuro sul quale si poteva scommettere perché sicuramente avrebbe portato qualcosa di meglio. [Oggi] esso si presenta come luogo inospitale fino a trasformarsi in alcuni casi in un vero e proprio buco nero, in un gigantesco punto interrogativo» (pp. 20-21).
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Ma è vero che il cristianesimo si avvia a essere una minoranza? I dati delle indagini sociologiche sembrano non lasciare altra possibilità, dunque sì.
D’altra parte, sulla scorta delle analisi di Delumeau, Sartorio invita a fare attenzione al fatto che «quando si parla della diffusione e del radicamento del cristianesimo nei secoli passati non bisogna esagerare, quasi proiettando all’indietro tutto il positivo come reazione alla pesante frustrazione del presente» (p. 35).
Inoltre, minoranza è un termine relativo: rispetto a quale maggioranza? Oggi certamente non quella di un mondo ostile alla religione, quanto piuttosto di un clima culturale che ne ha decretato l’esculturazione, ossia l’incapacità non solo di determinare le dinamiche sociali ma anche di orientarle.
È vero che i cattolici in Italia sono oggi un gruppo non certamente piccolo né irrilevante; tuttavia, essi sono di fatto una minoranza, anche se la maggiore, tra altre minoranze (cf. p. 141); nella società attuale, infatti, nessuna presa di posizione riguardo alla fede – alle fedi – può contare su una maggioranza effettiva. In questo scenario perde senso anche l’atteggiamento difensivo che l’essere una minoranza porta con sé.
Com’è naturale, l’interpretazione di questo scenario non è univoca. Infatti, all’interno delle diverse analisi si delineano almeno tre «figure» per un cristianesimo di minoranza nella nostra epoca: minoranza creativa, piccolo gregge e diaspora.
La figura della minoranza creativa, la cui paternità risalente a Ratzinger alla fine degli anni ’60 la rende certamente meritevole di attenzione (cf. pp. 35-36), non è in grado di rendere la questione in termini precisi. Il rischio maggiore è quello di dare per scontato l’aggettivo «creativa»: una situazione di minoranza non è automaticamente generatrice di creatività; al contrario, potrebbe alimentare una rassegnazione autoreferenziale. Ci sarebbe, inoltre, da chiedersi se le nostre comunità credenti mostrino davvero segni di creatività tali da risultare interessanti alla «maggioranza».
L’immagine evangelica del piccolo gregge sembra idonea a descrivere la situazione: peraltro è già presente in Lumen gentium 9. L’ascendenza evangelica – «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32) – va però intesa bene, perché la seconda parte della frase chiarisce che il piccolo gregge riceve in dono il Regno per decisione del Padre, non per qualità o dinamiche proprie. Per questo, «forse la migliore categoria per leggere il lemma “piccolo gregge” è quella della sproporzione, che allude a un compito impossibile da realizzare con le proprie forze – e che rimarrebbe tale anche in presenza di numeri consistenti – e alla grandezza del dono che sostiene questo tentativo» (p. 104).
Inoltre, si potrebbe osservare che il sostantivo evangelico «gregge» sottintende l’unità di una comunità sotto la guida di Cristo, ed è questo che non di rado fa problema: se più che di un «gregge» si tratta di una «somma» di individui, difficilmente essa potrà offrire una testimonianza significativa.
La figura della diaspora, che oggi è riferibile a situazioni diverse e complesse, non del tutto riconducibili a quelle veterotestamentarie, è stata più volte proposta da Rahner, che ne ha parlato già nel 1954 con una sorta di preveggenza. Ciò che rende notevole la sua posizione, però, è che egli – come evidenzia Sartorio – considera la diaspora non tanto un dato sociologico bensì teologico, cioè come un «autentico imperativo storico di salvezza […] voluto espressamente da Dio nella realizzazione del suo piano salvifico» (pp. 93-94). L’essere in diaspora comporta, perciò, per i cristiani la grande responsabilità di dare attuazione a tale imperativo.
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Nel Congedo, con cui chiude il libro, Sartorio individua tre modi di guardare alla Chiesa che verrà: il modo normativo, che parte dall’ideale per dire che quanto ci aspetta sarà un’inesorabile decadenza, creando così inevitabile sconforto; quello proiettivo, che muovendo dalla lettura dei numeri si rassegna a gestire in maniera onorevole il declino; infine, lo sguardo strategico, concentrato su quanto è ancora possibile, capace di vedere e di reperire quegli spazi di libertà e di creatività che ancora ci sono e permettono di camminare in avanti in modo costruttivo (cf. pp. 134-136).
In ogni caso, bisogna pensare il futuro, ed evitare invece di pensare al futuro, soprattutto se in termini ossessivi e angosciati (cf. p. 136). Si tratta, cioè, di guardare la realtà così com’è, ricordando il postulato di papa Francesco secondo il quale «la realtà è più importante dell’idea» (cf. EG 231-233).
Ma bisogna anche capire che occorre una «conversione dello sguardo». Perché, se è vero che la realtà è complessa – come ribadisce Sartorio – allora, continuando a guardarla dal medesimo punto di vista, si finirà per vedere sempre le medesime cose (buone o cattive che siano): occorre cambiare punto di vista! Così forse si potranno vedere cose mai viste prima.
Si può, per esempio, provare a prestare attenzione alla categoria dei «credenti non presenti di cui bisogna cominciare a ragionare in modo più sistematico» (p. 131). In effetti – come ha scritto Sequeri in Avvenire – «la vita nella fede della grandissima parte dei credenti è perfettamente sconosciuta. Di questa vita dei nostri fratelli e sorelle nella fede dispersi abbiamo bisogno: un grande bisogno» (p. 110).
Queste parole richiamano la necessità di «stare in ascolto» delle persone e delle loro domande, spesso inespresse e di cui a volte neppure sono consapevoli. A ben guardare (meglio: «ascoltare»), si tratta di una domanda indeterminata ma innegabile di spiritualità, alla quale pare che oggi la normale prassi pastorale non sia più in grado di dare risposta: è una domanda presente specialmente fra i giovani, come ha ricordato Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca, su Avvenire in occasione del loro Giubileo. Un’importante indicazione di rotta, per cominciare da subito a pensare il futuro.
Sartorio parla senza reticenze, e con passione prospetta una Chiesa aperta al futuro e capace di futuro. A tal fine la esorta a evitare due rischi: lasciarsi andare a illusioni consolatorie («saremo pochi ma buoni») o a depressioni paralizzanti («il destino è ormai segnato»).
Il libro, scritto senza ricorrere a provocazioni, è esso stesso però una pro-vocazione, o meglio un richiamo a uscire da visioni anguste e accomodanti. Il futuro chiede ai cristiani il coraggio di rimettersi in gioco, adesso non domani.
Ugo Sartorio, Cristianesimo di minoranza? Sul futuro delle comunità cristiane, EMP, Padova 2025, pp. 144, € 15,00.






Fino a quando la Chiesa non si renderà conto che il consumismo, il materialismo e il loro braccio armato della tecnologia sono una vera religione con tanto di culti dogmi sacerdoti feste sacre ecc… non riusicira’ a dare una risposta reale. Più la religione del consumismo avanza più le religioni tradizionali arretrano. Non a caso la chiesa è ancora viva in continenti dove il falso benessere non è ancora così pervasivo. E allora si spiega anche il grande bisogno di spiritualità dei giovani che intuiscono l’inganno della nuova religione ma non trovano risposte profonde nella chiesa e si muovono scomposti nella nostra società. O si torna alla radicalità evangelica e a riconnetrersi col divino oppure la chiesa è destinata semplicemente all’irrilevanza nella storia….
Noi sappiamo, perché lo sappiamo, che la Chiesa permarrà fino alla fine dei tempi.
Questo è un dato ineludibile.
Sappiamo anche che il comando del Divino Maestro è quello di annunciare il Vangelo a tutto il mondo.
Questi due fatti pongono i cattolici di fronte ad una responsabilità enorme.
Come servi che hanno ricevuto dei talenti saremo chiamati a rispondere sulla nostra capacità di farli fruttare.
Se l’occidente è scristianizzato la colpa è nostra e, invece di discutere sull’ineluttabile decadenza, dovremmo capire come portare Cristo al mondo di oggi.
Certo bisognerebbe avere fede.
Vengo da una famiglia cattolicissima, il fratello di mio nonno era pure sacerdote. Eppure ultimamente mi pare che anche i miei genitori stiano perdendo la fede, la loro parrocchia (sud Lombardia) si è svuotata, sono anziani, hanno un figlio disabile, non sempre è facile per loro andare a messa in un altro paese. Si sentono abbandonati e confusi per il fatto che ogni giorno si dice il contrario del giorno prima.
Io non ho parole per consolarli, vengo qua o in altre pagine per trovare un minimo di speranza e trovo solo lamentele e discussioni. Come incide il cristianesimo nel mondo che si getta nuovamente in guerra oggi? Flatus vocis diceva qualcuno, fortuna la speranza non è una virtù puramente umana..
Io credo che il cristianesimo non morirà mai. Concordo con il sig. Adelmo per la seconda volta da quando frequento questo luogo virtuale. La chiesa in qualche forma permarrà (probabilmente non questa che conosciamo oggi). Bisogna pensare il futuro. Chi ne ha voglia davvero?
Cara Sara se cerchi chiarezza non la trovi certo su queste pagine. Lo dico da diplomato in teologia. Vedi la situazione di cui parli è diffusa perché la gerarchia invece di essere prossima alle anime si diletta in inutili libri , quello dell articolo è ancora più inutili piani pastorali. La vera restaurazione della Sposa di Cristo si avrà quando la verità sarà detta tutta intera. Solo il Cristo crocifisso attira tutti a sé non certo le feste o le brigate Brancaleone dell ecumenismo. Un abbraccio ai tuoi genitori. Mauro
Le dirò che per me è esattamente il contrario, la Chiesa ai suoi vertici è estremamente chiara e anche molto inclusiva data la sua dimensione “cattolica”. Già da voce e opera un’efficace sintesi di tutte le voci sparse per il mondo. Al contrario queste pagine sono una cacofonia assurda dove non si capisce nulla, perché non si riesce nemmeno a comprendere la metodologia di analisi. Succedi anche nella comunità scientifica, un conto leggere un articolo su Nature, sottoposto a revisione, un altro leggere lo “scienziato” X o Y che la spara grossa. Ci sono ottime case editrici cattoliche, Queriniana, Dehoniane, Morcelliana, anche la stessa Lev, la lista è lunghissima, quello che manca è la condivisione, il potersi confrontare con leggerezza, senza ostilità, anticlericalismo, rosicamenti assortiti. Soprattutto perché nel 2025 non è obbligatorio essere cattolico se non lo vuoi Bergoglio ha sdoganato il divorzio figurarsi il rimanere cristiani. Lo disse pure Cacciari al PD in uno dei suoi drammi elettorali: esiste il divorzio in Italia, usiamolo invece di litigare ogni momento.
Comunque se ci penso forse una delle mie figure di riferimento più costanti è Ravasi, iniziai a studiare a 15 anni con il suo ciclo di conferenze sulla Bibbia e c’era lui di sottofondo su Sky quando hanno eletto Leone, sempre gentile, pacato, rasserenante. Si può essere cristiani anche così, senza randellate, litigi e acidità di stomaco. Poi ognuno si scelga chi vuole e amen..
Provenendo da un cristianesimo praticato dalla maggioranza delle persone il momento attuale ci appare strano: ritengo però che dovremmo abbandonare la nostalgia del passato e vivere il presente semplicemente con fiducia nel Signore, senza stare a contare quanti siamo ora e quanti saremo tra dieci anni, perché i censimenti non sono mai stati graditi agli occhi di Dio. Cerchiamo di convertirci e di credere di più al Vangelo: il resto verrà da sé.
Forse bisognerebbe iniziare a parlare di “cristianesimi” invece di un generico “cristianesimo”. Esistono modalità di essere cristiani così diverse tra loro da annullarsi a vicenda.
Per il resto amen, il (i) cristianesimo(i) potrebbe fare la fine di tante religioni arcaiche e scomparire, per quello che conta attualmente…