
Durante l’estate appena trascorsa si è discusso a lungo (a livello ecclesiale) sull’intervento del Presidente del Consiglio al Meeting di Rimini, tenuto conto che è stato l’occasione per riproporre domande tutt’altro che irrilevanti sull’azione delle comunità ecclesiali nella società e nella politica italiana. Che questo sia accaduto a partire da una provocazione lanciata al Meeting non meraviglia nessuno, dal momento che l’appuntamento di fine estate in Romagna si presta ormai da decenni a svolgere (a diversi livelli) questa funzione.
Meno scontata è invece la mancanza di una “meditazione epocale” su quel che il Meeting e, soprattutto CL, possono offrire al dibattito circa la presenza dei cattolici nella società italiana, contribuendo a costruire una riflessione su questo aspetto della vita della Chiesa che – occorre riconoscerlo – al presente è carente. Da una parte e dall’altra, la lettura del Meeting di quest’anno ha infatti riproposto contenuti e schemi di pensiero (intra ed extra ecclesiali) che non si discostano di molto da quanto si poteva leggere 40 e, forse, anche 50 anni fa.
Una constatazione questa che dovrebbe allarmare chiunque abbia a cuore la vita della Chiesa, ma tanto più lo stesso movimento di CL che è nato e cresciuto facendo propria questa “vocazione” a sviluppare una riflessione e, soprattutto, un’azione di forte presenza sociale e politica che (nel bene e nel male) ha rappresentato, almeno in Italia (ma non solo), un punto di paragone al quale guardare per ragionare sul significato del ruolo del cattolicesimo nell’agone politico contemporaneo: anche i più strenui oppositori del “mondo ciellino”, sono stati costretti a muoversi e a pensare nell’ambito di un “modello” che, volens nolens, era quello ciellino.
Una storia tormentata
Il problema, dunque, è anzitutto di CL che – fedele a un aspetto fondamentale e sorgivo della sua identità – dovrebbe avere la forza di suscitare e risvegliare un dibattito che non si riduca a riproporre schemi e modelli tipici di un mondo che non esiste più (a livello sia politico-sociale sia ecclesiale). Non si può, infatti, dimenticare che l’intuizione originaria di Giussani, secondo cui la comunità ecclesiale possiede una propria e precisa soggettività sociale e politica, ha dato vita a un nuovo (e contrastato) corso del cattolicesimo italiano.
A fronte, infatti, della delega che l’episcopato italiano aveva concesso al partito di “ispirazione cristiana” di rappresentare gli interessi e le preoccupazioni della Chiesa nella società italiana (al netto della pretesa di controllare indirettamente la DC), l’idea di Giussani, e le prime opere che la realizzarono, costituirono una decisa novità. Una novità che, in ogni caso, si trovò costretta a prendere una posizione anche politica in senso stretto. Ora, tenuto conto della situazione di quegli anni e dell’egemonia culturale e sociale di una sinistra apertamente (e, spesso, violentemente) in conflitto con le iniziative di CL, la collocazione del movimento fu scontata.
Da questo punto di vista, l’azione di CL fino agli anni Ottanta ha inteso valorizzare il significato e lo specifico propriamente cristiano dell’impegno “temporale” (per usare le categorie di quel tempo), riconducendo tale impegno alla fede stessa come sua motivazione ultima e suo criterio supremo: o si giudica con la fede oppure al di fuori di essa, non esistono ambiti neutri. Di conseguenza, il contributo elargito da CL è consistito nel provocare la comunità cristiana a una comprensione dell’impegno in ambito civile diversa da quella in voga negli ambienti teologici ed ecclesiali che, secondo Giussani, non era sufficientemente attenta alle evidenze costitutive della coscienza credente e pregiudicata da teologumeni tutt’altro che verificati. Tutto questo ha rappresentato l’aspetto preliminare a ogni realizzazione concreta che è rimasto stabile nel tempo, senza mai essere stato accompagnato da una riflessione che prendesse la forma di una teologia o di una filosofia sociale in senso tecnico (anche per la crescente insofferenza del fondatore per ogni approfondimento/interpretazione del proprio pensiero).
Per questo motivo è interessante soffermarsi sugli anni Novanta, dato che in quegli anni si realizza un deciso (e, forse, più o meno inconsapevole) cambiamento di prospettiva. Tutti conoscono le vicende del cattolicesimo politico all’indomani della “vittoria di Pirro” del 1989. Su questo molto si è scritto e difficilmente si può dire qualcosa di nuovo. L’aspetto che probabilmente vale la pena evidenziare è che CL, analogamente a quanto era accaduto nei decenni precedenti, fu costretta nel nuovo panorama socio-politico a prendere ancora una volta una posizione politica in senso stretto.
Quest’ultima, seppur orientata sempre dalla medesima ispirazione ideale, di fatto trovò una realizzazione concreta che portava con sé anche il carico di un contributo filosofico-teologico (più filosofico che teologico) che presto venne assunto dal Movimento come motivazione di principio della sua azione al pari dell’input originario della sua storia. Detto diversamente: nulla cambiava quando si trattava di evidenziare (e di ripetere) il criterio “giussaniano” che muoveva all’impegno civile e politico. Mentre, quando si trattava di decidere concretamente i passi politici in senso stretto (e, dunque, partitici) da fare, CL trovava le motivazioni ideali di tali scelte in quel complesso di argomentazioni di filosofia sociale che hanno rappresentato la base sulla quale la Chiesa italiana ha cercato negli anni Novanta e nei primi anni 2000 di riconquistare una centralità nella vita politica.
L’assorbimento di questi presupposti nel complesso delle formule capaci di identificare le coordinate di una corretta realizzazione di un impegno di CL nella società, ha fatto sì che, nel momento in cui la realtà politica e, soprattutto, la Chiesa cambiò posizione (col pontificato di Francesco), CL non seppe più cosa dire quando si trattava di impegno cristiano nella società, limitandosi a riproporre le parole d’ordine dell’ispirazione originaria che avrebbero dovuto sostenere la testimonianza del singolo, ormai diventato adulto e, quindi, libero di andare dove vuole.
Ripartire o tornare indietro?
In questa situazione, le dinamiche di riforma istituzionale della conduzione del Movimento promosse dalla Curia Romana e il disorientamento creatosi all’interno di CL (in alcune delle sue componenti storiche), hanno fatto sì – sul piano socio-politico – che il ritorno al modello di Movimento e di impegno degli anni Novanta fosse visto come la modalità più efficace per riportare CL alla sua vera identità, riconsegnandole allo stesso tempo una centralità nella vita della Chiesa e della società italiana che andava sempre più diminuendo.
In pratica, salvo miglior giudizio, sembra prevalere il riconoscimento che CL non può esistere al di fuori delle coordinate che hanno segnato la sua nascita, tra le quali è da annoverare la realizzazione di un’azione di forte presenza socio-politica. Tale intento appare declinato attraverso l’indicazione delle scelte del Movimento negli anni Novanta come il punto a cui guardare (e, per certi versi, tornare) per realizzare questo progetto.
Senza entrare nel merito del disegno di “fedeltà alle origini”, resta doveroso mettere in evidenza che riportare il Movimento negli anni Novanta non significa riportarlo alle sue origini, ma ricondurlo all’interno di un paradigma ecclesiale preciso, generato da istanze teoriche e pratiche tutt’altro che indiscutibili. Questo non vuol dire dare un giudizio negativo sulle scelte operate allora da CL, né si tratta di operare semplicemente uno spoils system dei protagonisti di allora. Forse, più semplicemente, ma anche più radicalmente, si tratta di provare (perlomeno provare) a pensare – nel vuoto di pensiero che caratterizza (purtroppo) la vita ecclesiale – una via di uscita da questa impasse che non sia né la fuga nell’intimismo né la semplice riproduzione di schemi e modelli del passato.
Basti, a questo proposito ricordarsi che le coordinate storico-sociali e i progetti di società che offrivano plausibilità e giustificazione alla caratterizzazione marcatamente identitaria dell’impegno cattolico alla fine del XX secolo sono oggi riproposti unicamente da una sotto-cultura che esige una militanza a senso unico che difficilmente può essere (anche solo lontanamente) paragonata a quel doveroso rapporto genetico che lega l’azione dei cattolici nella società con l’istituzione ecclesiastica. Allo stesso modo, meriterebbe aprire una riflessione organica sul celebre motto “Più società, meno stato”.
Se la temperie storica in cui venne lanciato appartiene ormai al passato, i modi con cui queste due realtà sono oggi comprese e si confrontano pongono nuovi interrogativi, partendo anche dal fatto che parole, concetti e idee, che in precedenza erano stati battaglie di CL, adesso sono diventati patrimonio comune (in primis la sussidiarietà). Comprendere tutto questo aiuterebbe a prendere atto fattivamente di come al presente il rapporto società/stato non possa essere pensato senza tenere conto dei tratti più significativi della cultura sociale e politica odierna.
La questione dell’impegno socio-politico di CL (così come di ogni altra realtà ecclesiale che si voglia fare carico del vivere umano nella polis) ripropone dunque il dovere di lasciarsi provocare dalla realtà odierna, letta però con gli occhi della fede, insieme all’ascolto delle competenze di tanti uomini e donne cattolici (spesso di CL) che, avendo molto da insegnare, in una rinnovata comunione, possono operare per la liberazione dell’uomo dagli idoli del potere di oggi e di sempre.
Nicola Reali è professore ordinario presso l’Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense






Non per entrare nella riflessione sulla propria biografia da parte di un gruppo politico (da cui per altro mi sono sempre ritenuta lontana), ma solo per partire dalla considerazione che la notazione di come il tratto distintivo della fede costituisca l’iniziale motivo carismatico alla base della specifica comunità di cui si vuole cominciare a ripercorrere la vicenda ne profila già prevalente in questo modo un distintivo alquanto settario che caratterizza a priori ogni azione e presa di posizione concomitante agli avvenimenti. Inoltre è evidente che rifarsi a modelli ipotizzati nell’affrontare quanto si poneva successivamente alla caduta del muro nel 1989 non può che apparire estraneo alla contemporaneità e solo strumentale a una rigida volontà di dirigismo politico. Ciò detto, mi sembra in definitiva che la libertà del “singolo di andare dove vuole” sia minimale accettazione proprio della sua dignità esistenziale nonché (anche) un presupposto adeguato ad estendere la ricerca di un’attiva comprensione al di fuori della sola realtà intimisticamente intesa.
La riflessione è interessante, anche perché ripercorre in breve la storia di CL. Certamente va fatta una serie e acuta considerazione sul rapporto tra fede e politica: https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2019/07/introduzione-alla-vita-cristiana-di-un.html.