I riti tristi

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Manuel Belli fa giustamente notare che «viviamo un’epoca di riti tristi caratterizzati da basse densità di significati» (L’epoca dei riti tristi). Basta scorrere l’indice del libro e ci si rende conto che l’autore ha esteso la sua interessante e acuta ricerca anche in ambiti extra liturgici, nei quali c’è un dispendio di ritualità spesso vuote per deficit di aderenza al reale significato di ciò che si compie.

Qual è il rito triste di turno in cui la densità di significato è nulla e su cui si concentra la mia riflessione? Quello che è stato inventato sotto i nostri occhi e che sta stravolgendo la prassi e la verità dei fatti, ed è opera di chi, per professione, crea eventi alla ricerca di business: la cosiddetta “promessa” (matrimoniale) al Comune! Cioè un mero passaggio di carte per il quale, dopo l’Istruttoria matrimoniale, i nubendi portano la richiesta di pubblicazioni al Comune dove la cosa – a detta degli stessi impiegati comunali – è sbrigata in pochi minuti, compresa la firma con la quale si esprime semplicemente il consenso all’affissione delle pubblicazioni. Non c’è bisogno di testimoni, come anche per l’Istruttoria matrimoniale in parrocchia.

Cosa succede invece?

Spesso succede che i nubendi vanno direttamente al Comune per prenotare il giorno della “promessa” e poi si presentano da noi parroci chiedendo con urgenza la nostra richiesta di pubblicazioni, intesa come atto burocratico, ignorando quanto invece sia decisiva l’istruttoria matrimoniale!

Tante nullità, oltre che da lontano nel tempo, sono sancite in quella sede dalle reticenze o dalle riserve mentali che nascondono le vere intenzioni nel momento in cui chiediamo cose essenziali per la validità, tant’è che, qualora il difetto fosse evidente, si è tenuti a non procedere e a rivolgersi all’Ordinario; nel caso in cui si nutrano dei dubbi, anche dopo i doverosi chiarimenti, si è tenuti ad annotarlo nell’Istruttoria matrimoniale.

Al riguardo c’è una precisazione della CEI: «Occorre ricordare ai fidanzati, durante la preparazione al matrimonio, che essi non devono chiedere la pubblicazione al comune prima che siano state compiute le pratiche da premettersi alla celebrazione del matrimonio» (Decreto generale Matrimonio canonico, n. 15). L’ufficiale di stato civile, a sua volta, sa che non può procedere senza la richiesta del parroco.

Se mi soffermo su questo fenomeno non è certo per moralismo, nostalgia del passato o burocrazia occhiuta attenta alle leggi, regole e “dogane”, quasi che, codici di diritto alla mano, si possa avere una risposta a tutta la complessità della vita, ma unicamente per la constatazione della non corrispondenza della nuova prassi alla verità dei fatti. Qui non c’è solamente «bassa densità di significati» (Belli), ma l’insensatezza di qualcosa che non corrisponde al vero dal punto di vista canonico e civile e che gli stessi ufficiali civili non mancano di rilevare.

In questo caso, si tratta di adeguamento acritico a una moda recente inventata e imposta da chi, per mestiere, crea eventi e coreografie nell’ottica dell’apparire, del consumo e dello spreco, oltre che del profitto.

Mentre scrivo queste note sono in atto la guerra in Ucraina, il dramma della popolazione palestinese e altri focolai di guerre e distruzioni. Nessuno però vuol rinunciare a ostentare manifestazioni di benessere per marcare lo status simbol, poco curandosi di ciò che avviene nel mondo.

Cosa avviene ormai dappertutto?

Si mandano inviti anche a parenti fuori sede, in alcuni casi si preparano lista regali, bomboniere e confetti; si indossa un abito speciale da parte di entrambi per la circostanza; è previsto il mazzolin di fiori e un’acconciatura speciale, il tutto compreso nel pacchetto dei fiorai e fotografi.

Nel giorno fatidico della presunta “promessa” è previsto il rinfresco in una sala del Comune o in un altro locale più fastoso nello stesso ambito, lancio di coriandoli e confetti all’uscita, aperitivo al bar o pranzo al ristorante con regali annessi, e, immancabilmente su Facebook: Auguri per il grande giorno, auguri agli sposi e via sproloquiando, fino al messaggio di una coppia: Oggi sposi! Non mancano i fuochi d’artificio per concludere la serata.

Alla fine, tanto rumore per nulla: durante la pandemia molti, essendo scaduto il termine di validità della richiesta, dovettero rifare la procedura alla chetichella e nella semplicità, come s’addice d’altronde, e come ogni tanto qualcuno ha ancora la coerenza di fare.

Un equivoco

Tutta la messinscena vorrebbe indicare una sorta di fidanzamento, come avveniva in passato. In realtà, nemmeno questa eventuale intenzionalità corrisponde alla realtà, perché la cosiddetta “promessa” viene fatta nell’imminenza delle nozze, dopo molti anni di frequentazione, spesso dopo alcuni anni di convivenza e in presenza di prole. Non si tratta di due giovani che, dopo il corteggiamento e la presentazione ai rispettivi genitori, col fidanzamento ufficiale intendono rendere pubblici il loro legame affettivo e l’intenzione e la promessa di sposarsi dopo pochi anni, siglando il tutto con lo scambio delle “fedine”, in un contesto di festa in famiglia.

Dico tutto ciò non per nostalgia di usanze del passato. Spesso i giovani parlano di compagno/a, piuttosto che di fidanzato/a. Una buona percentuale opta con molta naturalezza per la convivenza, in molti casi col proposito di celebrare in seguito il matrimonio. Siamo di fronte ad un fatto di costume da non considerare con giudizio moralistico, ma da tenere in conto per un approccio pastorale realistico e comprensivo.

I giovani, comunque, adeguandosi a quel rito triste che non è né fidanzamento né matrimonio, ma formalmente solo adempimento burocratico, pensano di essere moderni ed emancipati, mentre in realtà sono conformisti piegatisi all’ultimo diktat della moda all’insegna dell’apparire e dell’indifferenza.

Qualcuno potrebbe dire: Meno male che vengono ancora a sposarsi in chiesa. Certo, come no!?

Cercheremo, comunque, durante il cammino di fede verso il matrimonio cristiano, di educarli alla semplicità e all’aderenza alla realtà sia nell’espletare l’incombenza delle pubblicazioni civili e anche nel momento della celebrazione in chiesa per quanto attiene l’apparato floreale, l’intervento dei fotografi e il canto, evitando di trasformare la celebrazione in evento mondano sfarzoso e coreografico.

Può essere anche l’occasione per educarli a vivere il cosiddetto Addio al celibato in maniera più coerente col sacramento che si appressano a celebrare. Li esorteremo anche a non dimenticare concretamente i poveri, ben al di là del recare il cestino per la Caritas, gesto che finisce spesso nel rientrare nella coreografia.

La cosiddetta prima confessione

Un altro rito denominato Festa del perdono, al vaglio di una riflessione critica teologicamente fondata, si rivela un rito non dico triste, ma solo occasione per molti di festeggiamento al ristorante. È qualcosa di artefatto e, tutto sommato, inautentico e rientrerebbe perlomeno fra i riti «a bassa densità di significato».

Andrea Grillo fa notare anche che la Penitenza da quarto sacramento è diventato il secondo, annoverato così fra i sacramenti dell’iniziazione cristiana; e invece non lo è.

Sappiamo però che è fatto obbligo ai parroci di celebrare il sacramento della penitenza nell’imminenza della prima comunione eucaristica. Fermo restando ciò, non bisogna aver fretta di confessare bambini che, pur potendo fare, nel loro piccolo, il male, non sempre ne sono coscienti: i loro peccati, a parte quelli suggeriti dalla mamma o da esami di coscienza piuttosto infantili, sono espressione della loro vivacità, immediatezza di reazioni e capricci.

Giuliano Zanchi nota che, a quell’età, «prevale nella media quel loro perfetto adeguarsi a una forma prestabilita dalle attese dell’obbligo sacramentale, quei microelenchi standard tramandati a vicenda di quei peccati forse mai esistiti nella realtà, ma indotti da quelle esemplificazioni catechistiche in cui, più che una formazione della coscienza morale, viene configurato un pedagogismo da romanzetto di formazione: ho disobbedito ai genitori, ho detto le parolacce, non sono andato a messa e altre note espressioni di rito sotto le quali l’esperienza reale resta sommersa e innominata. Penso che anche la dignità del sacramento ne venga in tutto questo profondamente scalfita. Infatti, il risultato è il suo abbandono quasi totale. Quello della confessione è solo un esempio dello scollamento profondo fra le intenzioni dei destinatori e le condizioni dei destinatari (Rimessi in viaggio, pag. 90-91).

Comunque, si tratta eventualmente di peccati veniali. Andrea Grillo, usando una terminologia medica, distingue in campo morale la patologia severa che è il peccato grave per il quale è necessaria l’assoluzione, e i piccoli disturbi fisiologici: i peccati veniali degli adulti o le piccole mancanze dei bambini che richiedono trattamenti diversi. Agli adulti Rahner consigliava, con gli opportuni chiarimenti, la confessione frequente o di “devozione».

Una via più utile e pedagogicamente valida con i fanciulli è quella di formare la loro coscienza ed educarli alla virtù della penitenza, cioè ad un cammino di permanente conversione qual è la vita del cristiano in tutte le età, nel confronto con lo stile di Cristo mediante celebrazioni penitenziali non sacramentali, utilissime per la conversione e la purificazione del cuore; è bene farle per educare i piccoli al senso del peccato nella vita umana e della liberazione dal peccato per mezzo di Cristo (cf. RP 37). È preferibile, quindi, questo percorso piuttosto che celebrare un sacramento che poi rischia di essere vissuto in maniera infantile anche da adulti.

Al riguardo F.L. Bonomo ha fornito un contributo importante in RPL (2/2002). Egli riporta l’opinione di F. Sottocornola il quale ritiene validissime quelle celebrazioni per educare i piccoli al senso della penitenza prima di introdurli alla celebrazione sacramentale; a suo avviso, questa sarebbe una terza via tra l’ammetterli al sacramento ad una età più alta e non prevista dalla Congregazione del clero, e quella di ammetterli in massa in tenera età. Egli precisa: «Per la maggior parte o quasi la totalità dei ragazzi queste celebrazioni saranno sufficienti per una buona preparazione all’eucaristia, dato che essi non hanno generalmente peccati gravi e non sono quindi tenuti alla confessione sacramentale».

Volendosi attenere alle disposizioni, i fanciulli si confesseranno per piccoli gruppi nei giorni immediatamente precedenti la Messa di prima comunione, preparandoli con una semplice celebrazione della Parola in continuità con quelle fatte in precedenza. Sarà cura del confessore saper discernere caso per caso l’eventuale necessità di un’assoluzione: non mancano infatti bambini dotati di grande capacità introspettiva tale da favorire in essi la crescita della coscienza morale.

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4 Commenti

  1. Maria Speranza Perna 17 ottobre 2025
  2. Antonio Franceschi 12 ottobre 2025
  3. Chiara 11 ottobre 2025
    • Sara 11 ottobre 2025

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