Analisi simbolica dei testi biblici

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Il biblista Lorenzo Gasparro – religioso della Congregazione del Santissimo Redentore (noti come Redentoristi), licenziato al PIB di Roma e addottorato all’Ecole Biblique et Archéologique Française di Gerusalemme, già docente in Madagascar e attualmente alla PFTIM (sezione San Luigi) e alla Pontificia Università Gregoriana – intende recuperare la ricchezza dell’interpretazione simbolica di molti testi biblici che non possono essere esaminati limitandosi a una severa ma anche rigida e povera indagine esegetico-filologica.

Molti testi della Bibbia contengono una struttura simbolica e molti termini che alludono a una profondità di senso che va oltre il puro dato storico-critico e filologico. L’ermeneutica biblica perde gran parte del suo valore quando si trascura l’interpretazione simbolica dei testi.

Gasparro si rifà, in questo, al lavoro magistrale di L. Alonso Schökel e si serve del lavoro seminariale condotto durante il proprio insegnamento accademico.

Segno, metafora, allegoria e simbolo

Nell’introduzione al suo lavoro, Gasparro chiarisce con semplicità alcuni concetti passibili di errata comprensione. Lo seguiamo da vicino.

Il segno collega due realtà o elementi osservabili, appartenenti allo stesso livello di realtà ed è oggetto di osservazione concreta (come il cartello stradale).

La metafora è, invece, una figura verbale, creata coscientemente dall’uomo ed è caratterizzata da una tensione semantica al livello del linguaggio (per esempio, l’affermazione «il cielo piange»).

Anche l’allegoria è una creazione umana nell’ambito linguistico per tradurre in concetti un’idea astratta, difficile da cogliere o da esprimere (così le «tre fiere» di santi in Inferno I,31-60).

Il simbolo, pur appartenendo anch’esso alla categoria del segno, ha tuttavia la sua specificità nel mettere a contatto due realtà (una simbolizzante e un simbolizzato), appartenenti a due forme diverse d’essere a un livello ulteriore rispetto al linguaggio, attraverso un legame non soltanto intellettuale o linguistico, ma di fusione e unione; senza che si annulli o modifichi il lato empirico.

Il sintesi, si può dire che il simbolo è un riferimento che esplicita un’esperienza profonda non interamente traducibile in parole (una realtà fisica diventa immagine visibile dell’invisibile), senza perdere il suo valore concreto; stimola incessantemente la riflessione, eppure mantiene una fondamentale inesauribilità interpretativa; ha una costitutiva apertura allAssoluto (pur ancorato al mondo naturale, punta costantemente al di là di esso, come «manifestazione viva, istantanea, dell’impenetrabile»); è partecipativo perché non significa solo qualcosa, ma lo rende presente (dà ciò che indica e realizza ciò che significa).

Ancorandosi allo strato più profondo della realtà e della vita, i simboli realizzano una sorta di contemporaneità tra l’uomo di ogni luogo e tempo. Per questa ragione i simboli hanno conservato lungo i secoli una significatività costante, permettendo una comunicazione tra mondo antico e moderno. Radicandosi nel livello più profondo dell’esperienza umana, il simbolo costituisce una lingua franca che travalica una vita ed epoche, rendendo possibile un approccio sincronico alla vita e alle sue dimensioni fondamentali.

Mentre il mito perde ogni contatto con la realtà, il simbolo rimanda a una comprensione più profonda dell’evento e della parola storica, di cui però non lascia cadere il sostrato concreto e fattuale.

L’analisi simbolica

Gasparro offre in Appendice 1 (pp. 167-174) una presentazione schematica del metodo dell’analisi simbolica (= AS). La riprendiamo fin d’ora per la sua chiarezza didattica.

L’AS si concentra sull’individuazione di immagini e dinamiche semantiche di tipo figurativo-simbolico nel testo. In questo senso, è un approccio che privilegia una domanda specifica o un interesse preciso (sociale, psicologico, femminista ecc.). Ma esso è anche un metodo che ha come fine un’interpretazione complessiva del testo (Gasparro ondeggia tra «approccio» e «metodo»).

L’AS non è una spiegazione allegorica, ma un’interpretazione del testo a partire dal simbolo. L’ambito in cui ci si muove è specificamente esegetico (diverso da un’interpretazione simbolico-spirituale) e fa riferimento al senso letterale, a cui il simbolo si allaccia inevitabilmente.

L’AS non estromette la dimensione storica del testo ma la arricchisce, evidenziando il più che storico della testimonianza biblica. Il simbolo arricchisce il concetto di storia, evidenziando la sua configurazione biblica di ricordo paradigmatico. I racconti biblici sono sempre storia già interpretata e simbolizzata, e questo già a livello di trasmissione orale e poi in quello della scrizione da parte degli autori.

L’AS coinvolge e valorizza al suo interno i dati che provengono da diversi approcci e metodologie di lettura. Più che essere un metodo esclusivo, consiste nella convergenza di diverse metodologie che permettono di esplorare la dimensione simbolica del testo.

Dal momento che i simboli biblici ritornano a più riprese lungo il testo, tracciano percorsi simbolici che uniscono in un piano di simultaneità (pancronia) sezioni testuali storicamente diverse.

La comprensione di un simbolo richiede non solo lo studio della sua apparizione puntuale, ma anche del suo tragitto attraverso tutto il corpus biblico (pantestualità). L’analisi simbolica apre a una teologia biblica, poiché i simboli ricapitolano e collegano i due Testamenti, contribuendo a una visione unitaria della Scrittura.

Circa l’applicabilità dell’approccio, Gasparro afferma che esso si applica a brani (dell’AT e del NT) che presentano una conformazione simbolica: per la presenza di immagini e figure (accertata con opportuni criteri) o delle cosiddette azioni simboliche.

Esso è praticabile in almeno due modalità:

  1. in maniera sistematica, secondo lo schema indicato in tutte le sue parti e nei diversi passaggi (analisi esegetico-simbolica);
  2. in forma più libera, concentrandosi sulla decifrazione della dimensione figurativa del testo, senza seguire rigidamente lo schema indicato (analisi esegetica attenta al simbolo).
Le tappe dell’analisi esegetico-simbolica

Sempre all’interno dell’Appendice 1, Gasparro indica le tappe di un’esegesi esegetico-simbolica.

Il primo passo è l’analisi esegetica del testo. La scelta della metodologia dipende da due criteri: la tipologia del testo scelto (narrativo, poetico, innico, epistolare…); la sensibilità e la preferenza dell’interprete (diacronia o sincronia, metodo o approccio).

Le tappe fondamentali dell’analisi esegetica sono: 1) Studio del testo (delimitazione, critica testuale, questioni grammaticali, questioni lessicografiche, traduzione); 2) Studio della composizione (critica letteraria, analisi retorica o compositiva); 3) Confronto sinottico (se possibile); 4) Studio del contesto (storico, biblico ed extra-biblico); 5) Interpretazione.

Circa l’identificazione delle figure simboliche presenti nel testo, si rende necessario scegliere alcuni criteri per l’identificazione dei simboli e dei passaggi simbolici. Solo la presenza accertata di figure simboliche all’interno di un testo rende legittimo l’utilizzo di questo particolare approccio.

I criteri per individuare i simboli biblici fanno sì che la loro individuazione non sia arbitraria, ma scaturisca da alcuni criteri che conferiscono al processo una rilevanza scientifica ed esegetica.

Innanzitutto, occorre sia presente una plausibilità testuale o interna. La presenza di un simbolo biblico è sempre riconoscibile da alcuni elementi interni al testo (livello testuale). In particolare essi sono: 1) Una generale ambiguità, enigmaticità o anomalia espressiva; 2) Alcune incongruenze sintattico-grammaticali; 3) Il raggruppamento di più immagini o simboli attorno a uno maggiore (costellazione simbolica); 4) Accumulo di metafore, elementi paradossali e altre figure di doppio senso; 5) Una conformazione narrativa che suggerisce un senso ulteriore al racconto.

Benché nessuno di questi elementi costituisca da solo una prova, la loro concentrazione in un singolo segmento è un segnale specifico del livello simbolico.

Occorre sia presente anche una plausibilità convenzionale o esterna. Tenendo conto che i simboli hanno una convenzionalità nelle culture o tradizioni, si suppone come simbolico un motivo o un’immagine biblica utilizzata in tal senso: nella tradizione simbolica giudaica; in altri luoghi del testo biblico.

Deve sussistere anche una plausibilità contestuale (contesto e/o sezione testuale). Il valore simbolico della pericope o di alcune immagini al suo interno è suggerito generalmente dal contesto più largo (sezione o intero libro) attraverso: 1) La ripetizione della stessa immagine; 2) La sua associazione ad altri motivi o elementi figurativi; 3) Il collegamento ad altri testi o sezioni che ne illuminano la natura simbolica (Gasparro lo illustra ampiamente analizzando il racconto intercalato di Mc 5,21-24.25-34.35-43: risurrezione della figlia di Giàiro intercalato con la guarigione dell’emorroissa); 4) Le caratteristiche proprie della sezione o del libro che la contiene.

Ulteriore tappa dell’analisi esegetico-simbolica è lo studio del simbolo nel corpus biblico.

Questa tappa mira a individuare il significato comune o convenzionale dell’elemento simbolico (ossia ciò che significa abitualmente) nella tradizione biblico-giudaica e nell’insieme del corpus biblico, attraverso: la consultazione di strumenti e dizionari specifici sui simboli (biblici); una diretta indagine delle ricorrenze dell’elemento all’interno del testo biblico.

Consultazione di strumenti e dizionari specifici sul simbolo. Si consultano, anzitutto, i dizionari generici sui simboli, i dizionari sulle immagini e i simboli biblici, e gli studi monografici che approfondiscono il tema o alcune immagini.

Indagine allinterno del testo biblico. Si analizzano quindi i testi specifici in cui gli elementi simbolici scelti appaiono. Tale studio comporta concretamente di: 1) Individuare il vocabolario specifico dell’elemento ricercato (in ebraico o in greco); 2) Analizzare le ricorrenze all’interno del testo biblico (tutte o in parte); 3) Ricostruire il significato di base dell’elemento e le eventuali specificazioni semantiche.

Oltre al singolo termine, occorre prestare attenzione all’insieme del vocabolario e del campo semantico implicato. Nel caso in cui le ricorrenze dell’elemento siano troppo numerose, ci si concentra su quelle più rilevanti, sondando i diversi generi del canone biblico.

Ulteriore tappa è l’interpretazione del simbolo nel testo in esame. L’obiettivo di questa tappa consiste nel ricostruire il profilo semantico specifico di un dato simbolo all’interno della pericope studiata.

La decifrazione delle figure simboliche nella pericope. A questa analisi concorrono: 1) Il contenuto complessivo del segmento testuale in cui esso è inserito; 2) La presenza di figure e immagini collegate, che ne specificano il significato; 3) La struttura del brano che spesso illumina la portata figurativa degli elementi al suo interno.

Le diverse metodologie esegetiche possono concorrere alla decifrazione del significato specifico del simbolo, a partire da un’accurata analisi testuale e strutturale della pericope scelta.

Distinzione dei simboli da altre figure del doppio senso. Nell’individuare e definire i simboli presenti nella pericope, occorre distinguerli dalle figure del doppio senso: la similitudine, l’allegoria e la metafora.

La dinamica di significazione è ciò che le differenzia: 1) La similitudine o comparazione esprime una somiglianza tra due realtà concrete; 2) L’allegoria è un enunciato da decifrare attraverso un senso metaforico assegnato dall’esterno; 3) La metafora è una figura verbale creata dall’uomo e caratterizzata da una tensione semantica; 4) Il simbolo stabilisce un nesso di tipo evocativo-partecipativo tra una realtà (significante) e un senso ulteriore (significato) di ordine diverso (spesso trascendente).

La stessa immagine può assumere conformazioni diverse (similitudine, allegoria, metafora o simbolo) a partire dalla sua funzione nel racconto.

Identificazione della tipologia simbolica specifica. È utile identificare la tipologia simbolica, distinguendo tra: simboli monovalenti e polivalenti; simboli archetipici e culturali; simboli storici e letterari; azioni simboliche.

 Reinterpretazione del testo a partire dal simbolo. Più che tradurre o dare una definizione dell’immagine simbolica, si tratta di lasciare esprimere il suo potenziale poetico-rivelativo, reperendo una modalità comunicativa (polisemica, paradossale, evocativa…) adeguata.

Rilettura del segmento e del macro-racconto che lo contiene. La decifrazione dei simboli aggiunge un di più interpretativo al testo, introducendo una rilettura sostanziale di tutto il macro-racconto che lo contiene. Ogni simbolo autentico obbliga a confrontarsi con il testo nel suo insieme e a rileggerlo alla sua luce.

Il simbolo e tutto il testo: pancronia e pantestualità. La piena valorizzazione dei simboli comporta un’attenzione al suo valore unificante (pancronia) e alle traiettorie che esso disegna lungo tutto l’insieme biblico (pantestualità).

Aprendo l’analisi esegetica a un orizzonte canonico più ampio, il simbolo immette in una prospettiva che si potrebbe definire di teologia biblica.

Sintesi degli apporti dellanalisi espletata. Una conclusione sintetizza il percorso fatto, evidenziandone i contributi più significativi e offrendo spunti per ulteriori approfondimenti e sviluppi. Si mette in luce come l’analisi simbolica arricchisca la comprensione del testo, rivelandone significati trascurati da approcci esclusivamente storico-critici o filologici.

Tipologie di simboli

Alle pp. 41-43 del suo lavoro – siamo nell’ambito del primo capitolo del volume –, Gasparro indica uno schema euristico che aiuti a distinguere alcune principali tipologie di simboli.

Una soluzione essenziale può essere quella di differenziare i simboli comuni dell’esperienza umana e i simboli della tradizione biblico-giudaica.

Al primo gruppo appartengono i simboli archetipi, riconosciuti in maniera universale nelle civiltà antiche (luce, tenebre, acqua, fuoco, pietra, monte, sole, albero, nuvola). Nel secondo gruppo si collocano quelli specifici del mondo biblico giudaico (tempio, Geenna, Sion, deserto, pascolo, pastore, agnello, vite, vino, sale, vento, vestito) che si radicano nella storia e nella geografia di Israele e fanno parte della tradizione simbolica propria.

Questa ripartizione minima può essere ulteriormente specificata alla luce di altri dati. Considerando la funzione e la frequenza nel testo, alcuni simboli possono essere definiti centrali all’interno di un libro o di una sezione (come il termine hebel/soffio/vanità in Qoelet), rispetto ad altri secondari o subordinati.

Qualche autore distingue i simboli monovalenti da quelli polivalenti: i primi rappresentano in modo stabile una sola realtà positiva (anello, roccia, destra, alto) o negativo (Geenna, lebbra, paglia, basso), gli altri hanno invece riferimenti molteplici e ambivalenti (fuoco, leone, acqua, deserto, fumo, lievito, vento, giogo). Sarà l’analisi puntuale a dire quale di questi schemi sia più fruttuoso per comprendere il simbolismo implicato nei diversi segmenti biblici.

Mito, simbolo, testo biblico e storia

Nelle pp. 44-47 l’autore riflette sulla differenza tra mito e simbolo in rapporto alla storia e al racconto biblico.

Innanzitutto, va tenuta ben presente la distinzione fra mito e simbolo. La differenza sta tutta nel diverso radicamento del racconto/evento nella storia. Il sostrato su cui si attua la simbolizzazione è diverso.

Il mito si fonda su un’invenzione iniziale o su racconti in cui la finzione ha una parte decisiva; i racconti biblici, invece, si legano a eventi o a ricordi che hanno tale pretesa. Se i miti si svolgono in un tempo sacro, nettamente distinto da quello profano, che tende a risucchiare in esso, gli eventi biblici si collocano su un piano spazio-temporale che, assunto a rivelativo, non perde la sua collocazione spazio-temporale e il suo tono di ordinarietà. Per quanto obliquo possa essere il suo rapporto con la storia, il racconto biblico si riferisce a persone ed eventi presentati come reali.

L’articolazione e l’ancoraggio ultimo del simbolismo rappresentano la sostanziale differenza tra mito e testo biblico. Amplificando il contrasto, si può affermare che, mentre nel mito è il significato figurativo prospettato a generare un racconto fittizio che lo manifesti, nella narrazione biblica il simbolismo è fatto invece emergere come espansione di un racconto o tradizione preesistente.

Nel primo caso, la narrazione è creata in vista del simbolismo; nel secondo, esso è frutto di una rilettura operata su un racconto già dato. Se nel primo caso si può parlare di una storicizzazione del simbolo, nel secondo si ha piuttosto una simbolizzazione del racconto. È per questo motivo che il mito può essere creduto come vero, pur se considerato come mai realmente accaduto, secondo un principio non del tutto valido e applicabile per il testo biblico.

Si può concludere che, sebbene il mito condivida con i racconti simbolici biblici sia la matrice letteraria sia l’ampio ricorso alle figure, la diversa correlazione alla storia li diversifica in modo decisivo.

L’uso del temine «mito» per il testo biblico come sinonimo di «racconto creatore di senso» appare – secondo Gasparro – non necessario (oltreché fuorviante) se si dà alle categorie di «simbolo» e «racconto simbolico» il significato pieno che loro compete: permettendo di salvaguardare le potenzialità di senso che lo accomunano al mito, la categoria di simbolo evita il rischio di considerare il testo biblico alla stregua di una pura creazione di fantasia. Ecco un ulteriore vantaggio della nozione di simbolo in ambito biblico.

Sebbene il legame tra storia e simbolo si articoli in modo diverso tra Antico Testamento e Nuovo Testamento, si possono annotare alcune osservazioni.

In primo luogo, occorre considerare che la storia rappresenta nella Scrittura non solo un oggetto di simbolizzazione, ma anche un agente di tale processo. Alcune vicende di Israele (come il passaggio del Mar Rosso, la distruzione del tempio o l’esilio) non solo si colorano di valore figurativo, ma contribuiscono a caricare alcune realtà, istituzione ed eventi (la schiavitù, la monarchia, il re, il tempio, Gerusalemme, Sion) di una portata simbolica propria, facendone un paradigma di esperienze umane più ampie.

Qualcosa di simile avviene nel Nuovo Testamento per gli eventi che hanno per protagonista il maestro di Nazaret dopo la sua vicenda terrena. La scomparsa storica è paradossalmente ciò che ne sancisce la trasformazione in figure, con la storia che funziona, oltre che da contenuto, anche da causa della simbolizzazione.

In secondo luogo, l’attenuazione in alcuni passaggi scritturistici del riferimento storico non smentisce il fondamentale legame tra storia e racconto biblico, ma evidenzia piuttosto come la dimensione simbolica degli avvenimenti abbia la meglio su quella storico-fattuale, talvolta in maniera mitigata, talaltra più decisa come in Gen 1–11 (e in maniera diversa in Mt 1–2 e Lc 1–2).

Questo dato si rivela importante anche in un’indagine diacronica dei testi, perché suggerisce che la rinuncia a una configurazione storica del racconto non indica una scelta d’invenzione o di esplicita negazione né ne dipende necessariamente.

Quando il riferimento storico è attenuato o messo in stand-by, non è per la sua irrilevanza quanto per una priorità riconosciuta, rispetto ad esso, alla direzione kerigmatica e paradigmatica di quanto si racconta.

Secondo Gasparro, in un’ipotetica gerarchia valoriale delle dimensioni implicate nel testo biblico, la fedeltà storica è seconda solo alla rilevanza simbolico-kerigmatica di ciò che si racconta. La storia non è sacrificata dagli autori biblici se non sull’altare del simbolo, in un atto che, paradossalmente, non ne estingue la pregnanza e funzione, ma, al contrario, la rinvigorisce.

L’autore riconosce con amarezza che, se tale è la rilevanza della dimensione simbolica nella Scrittura, non si può negare che l’attenzione accordatele dall’esegesi degli ultimi due secoli è del tutto insufficiente.

Una possibile causa di ciò sta nell’inadeguata nozione di senso letterale, spesso erroneamente identificato con il senso ovvio (o livello zero) del testo. Un segmento o racconto concepito come simbolico non possiede, tuttavia, alcun senso letterale al di fuori di questo: «quando un testo è metaforico, il suo senso letterale non è quello che risulta dal significato immediato delle parole […] ma quello che corrisponde all’uso metaforico dei termini» (cf. S.M. Scheneiders cit. in nota 108 a p. 46).

Gasparro fa l’esempio di Lc 12,35, con l’invito di Gesù ai discepoli di avere «la cintura stretta ai fianchi». Questo non indica un accorgimento nel vestire, quanto un invito ad essere pronti e disponibili. In questa espressione, che riprende una metafora tipica del mondo biblico-giudaico, non esiste un senso letterale della richiesta se non quello metaforico di stare pronti.

Una nozione impropria di senso letterale, radicata più a monte in una concezione riduttiva di simbolo, ha prodotto in ambito interpretativo non solo la falsa contrapposizione tra simbolico e letterale, ma anche quella fuorviante e appena vista tra simbolico e storico. Una più consona considerazione del concetto di simbolo, come Gasparro ha tentato di esporre nella prima parte del suo volume (“Simbolo e simbolismo nella Scrittura”, pp. 15-48), è dunque essenziale per sondare in maniera rinnovata la rilevanza esegetica e tradurla poi in una proposta metodologica concreta.

Tutti questi dati rafforzano la consapevolezza della imprescindibilità di una considerazione della dimensione simbolica in ambito esegetico, evidenziando, al contempo, la necessità che ne rispetti lo statuto proprio e il linguaggio tipico.

Struttura del volume

Per avere un quadro d’insieme riassuntivo, esponiamo a questo punto l’articolazione del volume di Gasparro. Esso si articola in quattro capitoli.

Il primo capitolo («Simbolo e simbolismo nella Scrittura», pp. 15-49) espone la storia dell’interpretazione del simbolo, facendo riferimento a Mircea Eliade e a Paul Ricoeur. Il resto della trattazione è stato già esposto all’inizio di queste note.

Anche il secondo capitolo («Analisi simbolica: presupposti e tappe del metodo», pp. 49-90) è stato da noi già riassunto in modo anticipato.

Il terzo capitolo («Esempi concreti di analisi simbolica», pp. 91-154) riporta l’analisi simbolica di tre brani biblici.

Dalla tradizione sinottica viene attinto il racconto intercalare di Mc 5,21-43: la donna emorroissa e la figlia di Giàiro. I racconti intercalati in Marco sono più di uno. I molti rimandi terminologici e simbolici tra i due racconti intercalati rimandano alla figura femminile giovane e anziana, che rappresenta Israele giovane e matura, che, da una parte, è riavviata alla sua funzione di fecondità nuziale e, dall’altra, è guarita nella sua perdita di vita (espressa dall’emorragia cronica). Il numero dodici e la menzione dei termini «donna/figlia/ragazza» – oltre ad altri vari elementi – collegano strettamente i due brani e fanno sì che si illuminino a vicenda. Vanno interpretati insieme.

Dalla tradizione giovannea viene tratto il racconto della moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-15). L’analisi simbolica porta a sottolineare l’autoconfessione del testo sul suo statuto simbolico. Si esamina il significato simbolico del pane e il legame tra simbolo, storia e logica dell’incarnazione.

Gasparro esamina, infine, il gesto simbolico del fico (Mc 11,12-25). Titolato spesso come l’episodio della «maledizione del fico» in rapporto al racconto della cosiddetta «purificazione del tempio» che segue, questo racconto secondo Gasparro non rappresenta una maledizione, ma una constatazione amara dell’infruttuosità del popolo di Israele che sempre dovrebbe portare frutto di profonda comunione col suo Dio. Il fico rappresenta nella Bibbia un momento fecondo e importante del rapporto di YHWH con il suo popolo.

Un altro testo farà vedere che l’infruttuosità non sarà definitiva (Mt 24,32: «Dalla pianta del fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina»).

Gesù non purifica il tempio ma interrompe e chiude il culto templare fondato sui sacrifici animali. In ogni caso la Chiesa non sostituisce Israele e Gasparro esamina i simboli, il testo e la “verità” del racconto.

Anche il quarto capitolo («Per una riammissione del simbolo in esegesi», pp. 155-167) è già stato da noi riassunto nelle righe precedenti. Esso esamina il testo biblico tra storia e simbolo: tratta del ricordo, della simbolizzazione e della formazione del testo; il simbolo come tema ineludibile per l’esegesi; implicazioni e prospettive del simbolo in esegesi.

La simbolizzazione è avvenuta già nella tradizione orale e poi si è approfondita nel momento della messa per iscritto dei testi biblici.

Nelle pp. 167-174.175-176 trovano posto la presentazione schematica del metodo dell’analisi simbolica e un suo schema riassuntivo (da noi esposto dettagliatamente sopra).

Una Bibliografia di approfondimento articolata per temi è riportata alle pp. 177-182.

Un Indice dei nomi (pp. 183-186) chiude l’opera di Gasparro, veramente interessante, scritta con chiarezza didattica e vertente su un aspetto fondamentale dell’ermeneutica biblica, da recuperare con ampiezza di profondità. Ne guadagnerà enormemente la lettura corretta, gustosa e impastata di interstualità dei testi biblici. L’esegesi storico-critica deve avvalersi dell’analisi simbolica. Solo in tal modo farà risplendere l’enorme fecondità dei testi biblici.

Tutte le corde della Bibbia vanno toccate, per farne risuonare la bellezza sinfonica. L’analisi simbolica tende proprio a suonare questo concerto, evidenziando lo stretto rapporto tra la storia e il suo significato più profondo, simbolico, rivelativo del piano amoroso di Dio sugli uomini.

  • LORENZO GASPARRO, Parlare per immagini. Analisi simbolica dei testi biblici (Lectio 18), Edizioni San Paolo, Cinisello B. (MI) 2025, pp. 192, € 28,00, ISBN 9788892247376.
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2 Commenti

  1. Ervens Mengelle 13 ottobre 2025
  2. Fabio Cittadini 11 ottobre 2025

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