
Quando Charlie Kirk è stato assassinato e il presidente Trump lo ha definito un martire, da tedesca ho pensato a Horst Wessel. Wessel era un giovane membro delle SA naziste ucciso dai comunisti. Fu esaltato nei discorsi, gli vennero intitolate strade e la canzone a lui dedicata divenne uno strumento di propaganda talmente potente da essere tuttora bandita in Germania.
I due non erano uguali: Wessel era un teppista in uniforme, Kirk non era violento. Ma entrambi illustrano la forza simbolica dei martiri politici e ciò che può essere compiuto in loro nome. Che cosa rende un martire efficace?
Non sono solo i conservatori americani a cercare di immortalare Charlie Kirk. Il suo nome è stato un grido di battaglia durante un grande raduno dell’estrema destra a Londra. La sua morte è stato il tema dominante di una conferenza di un partito di destra a Madrid. Persino il sindaco di Lima, in Perù, ha organizzato una commemorazione, paragonandolo ai martiri di Roma che contribuirono a diffondere il cristianesimo.
Il «santo MAGA»
Negli Stati Uniti, la consacrazione di Kirk come «santo MAGA» è stata rapidissima.
Ci sono proposte per intitolargli autostrade e coniare monete con il suo volto. L’Oklahoma sta valutando una legge che imporrebbe a tutti gli atenei statali di erigere una sua statua. Ieri, in quello che sarebbe stato il suo trentaduesimo compleanno — e che, per decisione del Congresso, è stato ufficialmente il Giorno nazionale del ricordo di Charlie Kirk — il presidente Trump ha tenuto una cerimonia per conferirgli postuma la Medaglia presidenziale della libertà.
I martiri sono potenti. La loro morte può infondere in una causa un’aura quasi sacra. Può servire a unire le persone a sostegno di quella causa — e contro un nemico. Può essere usata per giustificare la violenza.
Secondo gli esperti, ci sono alcuni elementi ricorrenti che rendono una persona un «buon martire» e Kirk li soddisfa tutti.
Un martire efficace
George Floyd fu un martire efficace. Ashli Babbitt, molto meno.
Se non avete mai sentito parlare di Babbitt, è perché i tentativi di elevarla a simbolo dopo la sua morte non hanno raggiunto l’impatto che molti nella destra speravano.
Babbitt morì il 6 gennaio 2021, durante l’assalto al Campidoglio. Fu uccisa da un agente di polizia mentre cercava di forzare una porta che era una delle ultime barriere tra i rivoltosi e i membri del Congresso.
Trump e altre figure di spicco del movimento MAGA descrissero la sua morte come l’esecuzione di un’«innocente». Per un periodo, nei circoli QAnon e dell’estrema destra dove tuttora viene venerata come martire, si moltiplicarono gli hashtag e le magliette con il suo nome.
Ma gli sforzi per ampliarne l’appeal al di là di quell’ambiente non hanno mai davvero attecchito.
Floyd, un uomo nero, morì invece a faccia in giù sull’asfalto, mentre un agente bianco gli premeva il ginocchio sul collo. «I can’t breathe», le parole che ripeté nei suoi ultimi momenti, divennero lo slogan del movimento Black Lives Matter. Persone di tutto il mondo marciarono in suo nome. Il luogo della sua morte, davanti a un negozio poi rinominato in suo onore, è tuttora meta di pellegrinaggio. I suoi murales sono ovunque.
Cosa spiega la differenza
Ho chiesto allo storico Tom Holland, che ha studiato il martirio cristiano, quali elementi accomunino i martiri più carismatici. Ne ha indicati tre.
- Primo: una morte pubblica, drammatica e «innocente».
La vittima Floyd non fu mai davvero messa in discussione. Il mondo intero vide il video dei suoi ultimi respiri. La morte di Babbitt, invece, spaccò la destra. Esponenti repubblicani di primo piano, come il senatore Lindsey Graham, definirono i rivoltosi del 6 gennaio «terroristi interni». L’allora speaker della Camera, Kevin McCarthy, disse che l’agente che le sparò «fece il suo dovere».
- Secondo: la morte deve essere legata a una causa.
«Martire» in greco significa «testimone»: i primi martiri cristiani erano testimoni di Dio. Sia Babbitt che Floyd morirono in nome di una causa. Nel primo caso, Stop the Steal; nel secondo, Black Lives Matter.
Ma le differenze riemergono nel terzo criterio individuato da Holland.
- Terzo: i martiri hanno bisogno di un movimento potente.
Solo i movimenti organizzati dispongono delle risorse per investire una morte di significato, per raccontarla in modo da galvanizzare le masse. Nel maggio 2020, quando Floyd morì, la sinistra americana era mobilitata in vista delle presidenziali di quell’anno. Quando Babbitt morì, Trump aveva perso le elezioni ed era a poche settimane dall’uscita dalla Casa Bianca. Il movimento MAGA non aveva ancora una direzione chiara.
Uno strumento potente
La morte di Kirk, osserva Holland, soddisfa invece tutti questi criteri. È stato ucciso mentre dibatteva con studenti universitari. Era già impegnato a reclutare giovani elettori per la causa MAGA. E viene pianto da un movimento che è oggi più forte che mai.
Le onde d’urto della sua morte vanno già oltre statue e piazze commemorative. È diventato uno strumento politico potente. L’amministrazione ha usato la sua morte per giustificare un giro di vite contro la libertà di parola e i gruppi progressisti. Ha minacciato di deportare chi banalizza l’omicidio di Kirk e ha revocato i visti ad alcuni stranieri.
Durante una puntata del Charlie Kirk Show, condotta da Stephen Miller, vicecapo di gabinetto della Casa Bianca, il funzionario ha dichiarato che l’amministrazione è «in guerra con la sinistra» e ha promesso di «identificare, interrompere, smantellare e distruggere» quello che ha definito «un vasto movimento di terrorismo interno».
«Lo faremo», ha detto, «in nome di Charlie».
- Dalla newsletter quotidiana «The World» del New York Times, 15 ottobre 2025






“In nome di Charlie”, sembra quasi che sia stato ucciso per poter coniare questo slogan.