La teologia e la rapidità

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tempesta

Nei giorni trascorsi padre Antonio Spadaro, a lungo direttore de La Civiltà Cattolica e oggi sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’educazione cattolica, ha tenuto la prolusione d’apertura del 76esimo anno accademico dell’Accademia Alfonsiana a Roma. Spadaro nei mesi trascorsi ha animato una discussione teologica sulla necessità di una teologia rapida, termine da capire per comprendere perché serve adesso:

«Da un lato c’è la terra del Novecento, con i suoi valori, i suoi ideali e le sue tragedie; dall’altro emerge un nuovo “continente”, generato dalla rivoluzione digitale e dal rifiuto degli orrori passati, animato da una diversa forma d’intelligenza. Tra i due mondi la tensione è sismica: il Novecento resiste, ma è destinato a diventare memoria, materia da museo. Tuttavia, il suo declino non è pacifico. Come un animale ferito, il secolo scorso, sentendo avvicinarsi la fine, ha ritrovato la sua ferocia: quella che lo portò a credere nella guerra come soluzione e a considerare la sofferenza dei civili un prezzo inevitabile. Così, mentre il nuovo mondo avanza, il vecchio si dibatte in un ultimo, violento spasmo, rievocando le sue peggiori ombre».

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Ecco allora la sua proposta, una teologia rapida visto che non siamo in un tempo di cambiamenti ma ad un cambiamento d’epoca, li intuizione di diversi anni fa di papa Francesco da cui la sua proposta prende forma. L’epoca dell’Intelligenza Artificiale, dell’algoritmo, dei social, trasforma il mondo e la fa in modo rapido, cioè che cattura, porta via, trascina con sé, come le rapide dei torrenti quando la pioggia diviene tempesta.

La teologia rapida dunque non è un kit di risposte nuove, facili e veloci, ma una teologia tempestiva davanti a cambi epocali: «La teologia rapida non esclude la lentezza, ma la integra. Non rinnega la profondità, ma la vive nel ritmo del presente, come chi sa riflettere mentre cammina». La teologia rapida, dunque, è tempestiva: ma per procedere c’è una premessa decisiva e cioè che la «teologia rapida» non è «veloce»:

«Nell’aggettivo rapido si ritrova la radice del “rapire”, cioè afferrare, trascinar via. Per chiarire ulteriormente uso una immagine. Il treno è veloce: fila indisturbato su un binario senza coinvolgere nient’altro. Le è propria l’Alta Velocità. Nota Italo Calvino nelle sue Lezioni americane: “Il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile, i cui records segnano la storia del progresso delle macchine e degli uomini”. Rapidus è invece non ciò che corre, ma ciò che rapisce, trascina, travolge. Ed è pure capace di coinvolgere atteggiamenti, stili di vita, comprensioni della realtà, della politica. L’invenzione della luce elettrica ha “rapito” il ritmo delle nostre giornate; i social network la nostra capacità di relazione; l’intelligenza artificiale il nostro modo di pensare. La teologia rapida, dunque, non è affatto una scorciatoia intellettuale. È, invece, la capacità di cogliere le domande nell’attimo in cui esplodono e di offrire risposte con un’elasticità quasi intuitiva, pur senza la pretesa di esaustività. Non si tratta di rincorrere la cronaca, ma di abitare la storia mentre accade, vincendo la tentazione postuma, che è il pericolo di certo tradizionalismo. La sfida cruciale è riconoscere che lo Spirito di Dio agisce in tempo reale, dentro le pieghe delle crisi e dei mutamenti».

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Questo convince se si pensa alla profondità di ciò che muta il nostro contesto, l’ambiente in cui tutti noi viviamo quotidianamente e che nel giro di pochi giorni si trasforma ulteriormente, si reinventa, cambia, molto spesso emargina: «la rapidità del mondo contemporaneo genera smarrimento, ansia e solitudine. Per questo la teologia non può limitarsi a interpretare i processi: deve sentire con le persone che li vivono. Una teologia rapida è una teologia empatica. Significa lasciarsi toccare dalle ferite del tempo, ascoltare le paure, riconoscere nei linguaggi nuovi – anche quelli fragili o provvisori – un desiderio autentico di senso. Non c’è rapidità senza compassione. L’intuizione spirituale più veloce è sempre quella dell’amore».

Il discorso rivolto ai teologi è divenuto estremamente coinvolgente, forse rapido nel senso usato da Spadaro, cioè che rapisce, trascina con sé, quando nella sua prolusione ha indicato in Melville un punto di riferimento per il teologo rapido:

«Rileggiamo oggi Moby Dick, vero manuale per il Teologo rapido. Melville, descrivendo nel capitolo 23 il marinaio Bulkington racconta che “valeva per lui come vale per la nave che vaga in balìa della tempesta lungo la costa di sottovento. Il porto le darebbe soccorso volentieri; il porto è caritatevole; nel porto c’è salvezza, comodità, focolare, cena, coperte calde, amici e tutto ciò che è gradito al nostro corpo mortale. Ma in una simile burrasca il porto, la terra, sono il rischio più terribile per quella nave; essa deve fuggire ogni ospitalità; un semplice urto con la terra, solo uno strisciare di chiglia, la farebbe tremare da cima a fondo. Con tutta la sua potenza essa spiega le vele per allontanarsi; e così facendo, lotta contro quegli stessi venti che volentieri la porterebbero a casa; nuovamente va in cerca di un mare flagellato privo di terra; per trovare un riparo si getta disperatamente nel pericolo; suo solo amico, l’avversario più aspro”… soltanto nell’assenza di terra risiede la verità suprema, senza coste, infinita come Dio».

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Dunque è questo tempo tempestoso il tempo per prendere il largo, e il riferimento evangelico è chiarissimo:

«Gesù, a sera, è davanti alla folla presso il lago di Tiberiade, uno specchio d’acqua esposto a improvvise tempeste di vento. Sta parlando da una barchetta che oscilla per le onde. Proprio in quel momento – forse il meno opportuno – invita al passaggio. È buio. Non sarà una traversata al chiaro di luna: il caos sopraggiunge sotto forma di acque tumultuose. D’improvviso “ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena”. Il caos non turba Gesù. Anzi, se ne sta a poppa, sul cuscino a dormire. E doveva essere profondo questo sonno se non si sveglia neanche per le frustate delle onde e per l’acqua che aveva invaso la barca! Il caos non disturba il riposo. Il Signore è sempre padrone della situazione, anche quando “dorme”. Ed è così che interviene come liberatore. Allora subito “il vento cessò e ci fu grande bonaccia”. Gesù può, dunque, dire ai suoi discepoli: “perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Questa immagine ritrae bene l’appello di Gesù a passare all’altra riva, attraversando acque minacciose e rapide. La “rapida” è il tratto di un fiume il cui letto acquista pendenza in modo repentino, producendo un velocizzarsi del suo corso con onde e turbolenza. Non è una corrente tranquilla, e non è neanche una cascata. Queste sono le acque nelle quali navighiamo nel nostro passaggio. Questa scena evangelica esprime con forza la condizione della Chiesa nel tempo della rapidità: siamo chiamati a una fede che non aspetta che la tempesta sia finita per partire, ma che l’attraversa, certi che il Signore è con noi, anche se sembra dormire».

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2 Commenti

  1. Assunta Conato 8 novembre 2025
    • Redazione 8 novembre 2025

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