San Francesco e l’idea di riforma

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Esce in questi giorni il volume Riforma nella Chiesa. Un percorso storico-teologico (Cittadella, Assisi 2025). Il volume considera la tematica della “riforma” nella Chiesa usando il metodo storico-teologico. Il testo di Fabio Nardelli, frate minore e docente di ecclesiologia presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, vuole essere un invito alla riflessione anche riferendosi alla figura di Francesco di Assisi quale riformatore della Chiesa nella Chiesa. Anticipiamo di seguito un estratto del volume dedicato proprio alla figura di Francesco.

Riflettendo sull’idea di rinnovamento della Chiesa, secondo Francesco d’Assisi, si sceglie di considerare due aspetti particolarmente caratteristici della sua riflessione ecclesiologica: a) l’immagine della casa e, quindi, l’aspetto materno della Chiesa; b) la dimensione dell’annuncio del Vangelo.

Innanzitutto si può affermare che è la Chiesa la sua casa, la sua madre e la sua famiglia. Essa, infatti, è lo spazio di vita nel quale si compiva la sua speranza. La Chiesa quindi è la grande «fraternità» chiamata a raggiungere tutti, perché tutti diventino veri fratelli con Gesù Cristo: non è un concetto, né un’organizzazione con una storia passata, ma è la Madre in cui si riflette l’immenso amore di Dio.

La Chiesa infatti si mostra «madre» camminando in questo mondo tra speranze e difficoltà, con uomini santi e peccatori e vivendo la sua storia nell’ottica della donazione totale del Cristo e ciò potrebbe consentire ad essa di manifestare la sua bellezza come istituzione unita, serva e povera, nella continua lode di Dio e intenta a mostrare la via salvifica del Vangelo.

In tale contesto di un sempre più crescente «fervore» riformatore, ad opera di tanti movimenti sorti tra il XII‑XIII secolo (catari, valdesi etc…), nacquero una serie di gruppi che cercavano sinceramente di essere fedeli al Vangelo e condurre una vita autenticamente cristiana e questa situazione storica ed ecclesiale influì fortemente sul modo di concepire la Chiesa da parte di Francesco d’Assisi.

Per il Poverello esiste una sola Chiesa, cioè quella che si siede alla mensa con Cristo per celebrare l’Eucaristia. Ciò che ripeteva continuamente ai frati era di essere saldi nella fede cattolica e di vivere cattolicamente. Questa in realtà fu la prima conseguenza dell’opzione fondamentale proposta da Francesco: «vivere in conformità al santo Vangelo», nella Chiesa, per preservare l’unità e conservare la Parola, secondo il volere di Cristo.

In questo cammino emerge chiaramente la dimensione della comunione, che può essere definita concretamente come la buona notizia, e come rimedio donato dal Signore contro la solitudine.

Proprio su questo tema Benedetto XVI affermava che «l’insistenza sulla comunione fraterna, ci orienta a vedere nella koinonia dello Spirito Santo non solo la «partecipazione» alla vita divina quasi singolarmente, ognuno per sé, ma anche logicamente la «comunione» tra i credenti che lo Spirito stesso suscita come suo artefice e principale agente». Pertanto la Chiesa è una comunità di fedeli chiamati a vivere la parola di Dio in comunione fraterna, servendosi l’un l’altro secondo il comandamento nuovo (cf. Gv 13,34), dando testimonianza del Signore risorto, e celebrando nel tempo la sua memoria fino al suo ritorno (cf. 1Cor 11,23‑26).

La seconda caratteristica «rinnovatrice» della visione ecclesiologica di Francesco consiste sicuramente nella chiamata all’annuncio evangelico. Riprendendo l’espressione di Paolo VI, per il quale «la Chiesa esiste per evangelizzare» (EN 14), viene riaffermata l’imprescindibile vocazione e il dovere che è chiamata a svolgere nel mondo: per Francesco, figlio fedele della Chiesa, il suo primo compito è quello di portare la Buona Novella a tutti gli uomini, trasformando il cuore della stessa umanità.

Per il Poverello si tratta di annunciare pubblicamente l’opera della salvezza compiuta da Dio con la morte e risurrezione del Figlio: è la proclamazione del mistero pasquale a tutte le genti e lo Spirito è colui che ispira, dirige e anima a porre nel cuore degli uomini il messaggio evangelico. L’annuncio suscita la ricerca delle ragioni per credere, l’esperienza di vita cristiana, la celebrazione dei sacramenti, la testimonianza missionaria. Il vangelo è per gli uomini e, più che un’esigenza, è un’offerta gioiosa di vita in povertà, missione e itineranza.

In diversi passaggi dei suoi Scritti Francesco parla del proprio rapporto con la Chiesa, ma vanno ricordate principalmente le dichiarazioni all’inizio delle due Regole (cf. Rb 1,2 in FF 76; Rnb 3‑4 in FF 3). Egli utilizza di proposito l’espressione singolare «fede» (nei sacerdoti, nei chierici, nelle Chiese) proprio per esplicitare la radice e il fondamento divino della sua scelta e appartenenza a tale istituzione. A cui aggiunge, come ulteriore elemento che esprime questo legame istituzionale, la “figura del cardinale protettore”.

Riassumendo, si può dire che il movimento francescano prese forma all’interno di due correnti, che caratterizzarono fortemente l’Occidente nel corso del XII secolo: da un lato il desiderio generale di «ritornare» alle origini, dall’altro la volontà di «rinnovare» la Chiesa attraverso un’interpretazione letterale delle Scritture.

Di conseguenza Francesco d’Assisi, in quel «secolo della rinascita», potrebbe essere considerato come un apostolo e profeta dell’epoca d’oro della Scolastica. Non sarebbe quindi fuori luogo concludere affermando in modo verace che la proposta di Francesco e dell’Ordine minoritico, ancora viva e attuale, è un dono dello Spirito alla Chiesa in quanto ripropone la necessità di uno stretto legame tra minorità, fraternità e missionarietà per ridare ad essa vitalità. Egli, da itinerante, inviava i suoi frati nel mondo in obbedienza alla chiamata di Dio che lo orientava solamente al Vangelo.

Joseph Ratzinger, parlando di Francesco, come figura ancora attuale, ha affermato che «egli non fu propriamente il fondatore di un Ordine […]. Sapeva che il compito che lo attendeva era molto più radicale: egli voleva raccogliere un novus populus che seguisse il Discorso della montagna sine glossa, trovando in esso la sua unica e immediata “regola”».

Per concludere storicamente l’analisi di questa epoca, è opportuno menzionare alcuni concili che hanno rappresentato una tappa fondamentale nella storia della riforma ecclesiale: il Lateranense IV (1215) che fu convocato proprio con questo intento; il Concilio di Vienne (1311-1312) che sancì il principio di Durando «reformatio in capite et in membris», per sottolineare che la riforma andava compiuta a partire dalla gerarchia; e il Concilio di Costanza (1415) che provò a risolvere il grave scisma d’Occidente e ristabilire l’unità ecclesiale.

L’aspirazione di una «riforma», da un punto di vista ecclesiologico, aprì le porte della modernità, dando vita a movimenti culturali che trovarono in Martin Lutero il suo principale rappresentante.

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Un commento

  1. Pietro Messa 24 novembre 2025

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