Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà. (Mt 24,36-44)
Il tempo di Avvento si apre con una domenica nella quale all’attesa per la celebrazione dell’evento storico del Natale si sovrappone un’altra attesa e un altro evento. Il vangelo della prima domenica, infatti, annuncia la venuta del Signore alla fine del tempo.
Il brano evangelico su cui siamo invitati a sostare questa domenica fa parte dell’ultimo grande discorso di Gesù e risponde a una richiesta fatta dai discepoli all’inizio del cap. 24: «Dicci quando accadranno queste cose».
La venuta finale è senza data
La risposta di Gesù sembra deludere l’aspettativa dei discepoli, perché, se la sua venuta finale è certa, il giorno e l’ora in cui essa avverrà rimangono invece ignoti; la loro conoscenza è talmente misteriosa che appartiene solo al Padre.
Anche noi potremmo avvertire un senso di delusione e di incertezza di fronte a questa parola; sarebbe più facile conoscere il tempo esatto per meglio prepararci all’incontro, per non lasciarcene sorprendere.
La scelta di Gesù però ci aiuta a spostare l’attenzione dalla mera conoscenza di una data a un sapere esistenziale, relativo a come vivere, a come affrontare l’indeterminatezza e l’imprevedibilità della sua venuta finale, imparando a riconoscere ogni sua venuta, nel tempo quotidiano che ci è dato di vivere.
L’indeterminatezza e l’inconoscibilità di questo tempo hanno infatti delle conseguenze, perché si può vivere alla giornata, in modo spensierato, senza cogliere nessuna differenza nelle situazioni, oppure si può cercare in vario modo di stabilire il tempo in cui vegliare, facendo magari un calcolo approssimativo o ragionevole, oppure si può accedere a una dimensione spirituale più profonda, quella a cui il Signore intende condurci.
Il discorso si apre con un paragone tra il tempo di Noè precedente al diluvio e il tempo che precede la venuta del Figlio dell’uomo. I contemporanei di Noè vivevano completamente assorbiti da quanto facevano, cioè da tutti gli avvenimenti e gli aspetti che tessono la trama quotidiana della vita, senza che altro li interessasse veramente.
Tutta l’attenzione e tutto l’impegno apparivano tesi a trarre vantaggio e godimento da questa vita; ogni altro possibile orizzonte pareva chiuso ai loro occhi; Noè è entrato nell’arca, ed essi hanno continuato a non accorgersi di nulla, finché il diluvio non ha cancellato ogni cosa. Così – dice Gesù, – avverrà per la venuta del Figlio dell’uomo: se il nostro orizzonte rimane chiuso, essa sarà improvvisa e sorprendente.
Non solo, ma la quotidiana normalità della nostra esistenza, uguale a quella della maggior parte della gente, potrebbe essere l’origine di un altro inganno se non esercitiamo uno sguardo sapiente di discernimento.
Dall’impressione che lavoro e fatica, felicità e infelicità, sofferenza e gioia, vita e morte toccano in egual misura tutti gli uomini, può nascere l’illusione che l’obbedienza o la disobbedienza verso Dio, la rettitudine o l’ingiustizia non abbiano alcuna importanza; che tutto sia indifferente e senza significato, poiché appunto tutto si concluderà ugualmente per tutti.
Attraverso l’esempio della scelta compiuta tra i due uomini e le due donne, Gesù corregge questa falsa idea. L’uguaglianza nella situazione esterna non può indurre alla conclusione sbagliata che sarà sempre lo stesso per tutti. Con la venuta del Signore si verificherà una radicale separazione, quelli che sono preparati ad essa vengono accolti nella sua comunione, gli altri ne restano esclusi. Non possiamo lasciarci ingannare dunque dall’uguaglianza esteriore, perché la radicale separazione sopraggiungerà tanto improvvisa, come la venuta del Signore.
Non una minaccia ma un invito
Potremmo pensare che le parole di Gesù costituiscano una sorta di minaccia, che abbiano cioè l’intenzione di suscitare in noi paura davanti alla prospettiva di una venuta e di un giudizio nei confronti dei quali siamo in un certo senso indifesi; da qui verrebbe l’invito a vigilare e a essere pronti, perché il Signore non ci colga impreparati.
In realtà anche queste parole così sorprendenti sono una buona notizia. La parola di Gesù intende di fatto aprirci gli occhi e promuovere la sapienza; la vigilanza e l’essere pronti, non sono perciò un modo di vivere con ansia, con tensione e con paura il tempo che abbiamo, nell’attesa di una fine che verrà e di cui abbiamo l’impressione che ci porterà via qualcosa di prezioso (come fa il ladro).
La vigilanza a cui siamo esortati ha piuttosto una duplice caratteristica.
La prima è quella di saper guardare oltre lo stretto orizzonte di ciò che sperimentiamo, riconoscendo, da un lato, la parzialità del nostro sguardo e, dall’altro, la continua venuta del Signore che dà senso al nostro esistere.
Da qui deriva la seconda qualità, quella di imparare a nutrire grandi desideri, lasciando emergere in noi ciò che ci attrae, ciò che nutre il nostro quotidiano pazientare, riscoprendo che la nostra vita è desiderio, alimentato e sostenuto dalla fedeltà del Signore Gesù che non viene per portarci via ciò che abbiamo di prezioso, ma per donarci la beatitudine perfetta.





