
«Alberi senza radici e solo legno, quello che diventa qui». Così canta Enzo Gragnaniello in Cercando il sole del 1994, descrivendo l’esperienza di chi, dal sud Italia, cerca pane e lavoro al nord. È l’esperienza dello sradicamento, del vuoto che nasce dall’appiattimento sul presente, dell’impossibilità di mettere radici in un lavoro che produce solo «legna», materia inerte, priva di vita e progettualità per il futuro.
Questa immagine descrive con suggestione ciò che sta accadendo oggi nella Chiesa. I parroci, chiamati a essere pastori che accompagnano e curano le comunità, rischiano di diventare anch’essi come «alberi senza radici», funzionari sradicati del culto che amministrano strutture invece di coltivare relazioni, che producono «legna» invece di far crescere vita, sepolti da impegni amministrativi e pratiche cultuali piuttosto che annunciare la buona notizia del Vangelo.
Un caso che interroga la coscienza ecclesiale
A partire dall’articolo di Luigi Oss Papot, pubblicato su l’Adige.it il 10 settembre 2025 e intitolato «Crisi di vocazioni: solo 79 sacerdoti per 452 parrocchie in Trentino»[1], emerge un caso emblematico che merita particolare attenzione e che sta generando il fenomeno dei cosiddetti «super parroci», ovvero presbiteri a cui è stata affidata, con la nomina del vescovo, la cura pastorale di decine di parrocchie.
La riduzione delle vocazioni e l’età sempre più avanzata del clero hanno reso sempre più necessario affidare a un singolo sacerdote la cura di più comunità parrocchiali, tanto che i parroci che hanno una sola parrocchia stanno diventando sempre più rari: lo straordinario legato all’emergenza sta diventando ordinario[2].
In Italia, come nel resto dell’Europa, si registrano dati in calo costante delle ordinazioni presbiterali. I numeri non sono semplici dati statistici, essi rappresentano una questione che interpella la riflessione teologico-morale. A essere in gioco non ci sono solo aspetti “pastorali-vocazionali” in senso stretto, ma stili di vita, scelte concrete e, spesso, pericolose non-scelte che vanno a influire profondamente sul tessuto di relazioni e sul modo di vivere il ministero.
Due icone bibliche per leggere il presente
La Scrittura offre due grandi icone per leggere e interpretare l’emergenza del tempo presente: la schiavitù in Egitto e l’esilio in Babilonia.
Nel libro dell’Esodo il popolo d’Israele sperimenta la condizione di schiavitù (cf. Es 1,8-14): le persone sono ridotte a mera forza lavoro, strumenti di produzione. «Imposero loro lavori pesanti […] e la loro vita divenne amara a causa di una dura schiavitù» (Es 1,13-14). Qui l’oppressione è strutturale: il lavoro non può essere fermato, e i mattoni devono essere prodotti a ogni costo (cf. Es 5,6-9). Il ritmo del fare e del produrre erode la qualità del tempo e della vita stessa. I contorni della schiavitù sono tratteggiati dalla logica di un sistema che divora le persone per sostenere se stesso.
L’esilio babilonese, invece, narra l’esperienza dello sradicamento e della perdita (cf. 2Re 25; Sal 137,1-4): il popolo è strappato dalla terra promessa, lontano dai punti di riferimento. Le strutture crollano, la fede viene mantenuta viva nel ricordo di Gerusalemme. Le domande degli esuli sono cariche di dolore: «Come potremo cantare i canti del Signore in terra straniera?» (Sal 137,4). Come pregare senza tempio? Come restare fedeli al Vangelo quando le forme conosciute della vita ecclesiale non reggono più?
Da un lato, abbiamo una “schiavitù strutturale”, che incombe sui presbiteri, spesso schiacciati dal peso di un sistema divenuto ormai insostenibile; dall’altro, un “esilio pastorale”, in cui si è costretti sull’appiattimento al presente e a vivere il proprio ministero lontano dall’annuncio del Vangelo, quasi dimenticando le istanze che hanno condotto i discepoli ad affermare: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense» (At 6,2). In gioco non ci sono dei semplici compiti da svolgere. Si tratta del primato dell’annuncio del Vangelo, vincolante per ogni battezzato, radice sulla quale si fonda il ministero ordinato e ogni servizio nella Chiesa.
La dissoluzione del ministero
La problematica emergente dalla nomina di un parroco per più parrocchie non è una semplice questione numerico-statistica, ma teologica. Nella Prima lettera ai Corinzi l’apostolo Paolo estende il significato di «padre» per spiegare la relazione tra apostolo e comunità (cf. 1Cor 4,14). «Padre» è colui che ha un legame, accompagna e si prende cura della porzione di Chiesa a lui affidata, ma anche ammonire e correggere, il che implica amore, autorità, fatica, dono di sé secondo il cuore di Cristo.
Il parroco è spesso paragonato a un «padre di famiglia», analogia che indica la cura personale, relazionale e pastorale[3]. È chiamato a partecipare del ministero di Cristo, conoscere le sue pecore, chiamarle per nome (cf. Gv 10,3-4). Con questo non si vuole negare quella parte amministrativa che è compresa all’interno della stessa immagine paterna, ciò che si mette in questione è la sproporzione rispetto e a svantaggio della cura pastorale.
Il parroco non può essere ridotto a mero strumento giuridico atto a «coprire» le parrocchie «scoperte» senza snaturare i criteri fondamentali del diritto stesso e della dimensione costitutivamente relazionale del ministero.
Qui si apre una domanda provocatoria ma necessaria: se si può essere parroco di dieci parrocchie (così come richiesto a tanti), perché non di cinquanta? Perché non di cento? Qual è il limite oggettivo? Se il servizio del parroco diventa quello di «coprire giuridicamente» un vuoto, allora non c’è limite al numero.
Essere parroco di una decina di parrocchie – o addirittura più –, nei fatti, significa non esserlo da nessuna parte. Significa ridurre drammaticamente il ministero a mero funzionario amministrativo e distributore di sacramenti. Si tratta di una frammentazione che diventa, nei fatti, una vera e propria dissoluzione del ministero.
Il costo umano: la crisi che non possiamo ignorare
Oggi troppi sacerdoti sono in depressione, soffrono di burnout, sono privi di stimoli, lasciano il ministero. Alcuni, drammaticamente, si sono tolti la vita. Di fronte a questo, ritengo non sia più possibile appellarsi alla «tenuta» del singolo. Di fronte a questa tragica realtà, vogliamo ancora parlare delle qualità delle singole persone? Vogliamo ancora nasconderci dietro il paravento delle nuove generazioni definite «affettivamente deboli»? Ancora ci vogliamo nascondere dietro il dito della formazione dei seminari, come se bastasse migliorare la preparazione previa ignorando le strutture?
Il fatto è molto più complesso. Non possiamo ignorare che un elemento importante di questa crisi è che il numero delle parrocchie è troppo alto rispetto alle risorse umane disponibili, e soprattutto rispetto alla possibilità concreta di esercitare un ministero autenticamente pastorale.
Non possiamo mettere tra parentesi questa realtà facendo finta che la soluzione sia semplicemente chiedere ai presbiteri di «resistere», o di spiritualizzare il problema dicendo che bisogna “avere più fede”, «pregare di più», o di «affidarsi alla Provvidenza». La crisi di tanti sacerdoti è anche, e soprattutto, una crisi dell’attuale struttura ecclesiastica e del binomio parroco-parrocchia. Affrontare questa realtà con la fede significa confrontarsi con i criteri etico-teologici della Parola di Dio.
Amministrare il decadimento o costruire il futuro?
Di fronte a questa situazione la Chiesa si trova davanti a un bivio. Da un lato, c’è la tentazione di continuare ad amministrare il decadimento: tappare i buchi come si può, moltiplicare gli incarichi dei presbiteri ancora sopravvissuti, fare piccoli aggiustamenti per mantenere il sistema ancora un po’. Dall’altro, c’è la possibilità di fare scelte coraggiose e profetiche, come fu per il Concilio di Trento nel suo tempo, quando riformò profondamente le strutture ecclesiastiche per rispondere alle sfide dell’epoca.
Si tratta di una questione profondamente etica, perché è in gioco la nostra risposta alla realtà, la nostra responsabilità di fronte al cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. La coscienza morale si gioca nello spazio di libertà e di possibilità concreta che la Chiesa ha di rispondere a questa trasformazione. Papa Francesco ci ha ricordato più volte che non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, ma un vero e proprio cambiamento d’epoca[4].
Il Vangelo ci ricorda che va messo vino nuovo in otri nuovi (cf. Lc 5,36-39). Nuovo è sempre il vino dell’annuncio del Vangelo, che è la Parola di Dio sempre viva e sempre nuova. Ma i nostri otri – le nostre strutture pastorali – si stanno spaccando, non reggono più il confronto con la realtà del nostro tempo. Per quanto ancora ignoreremo lo spreco di vino che scorre a fiumi? Per quanto tempo continueremo a trasportare il vino prezioso dell’annuncio del Vangelo in contenitori che non sono più adeguati?
A farne le spese è la nostra stessa identità, non tanto di presbiteri, ma innanzitutto di battezzati. L’annuncio del Vangelo esige coscienze pronte a rispondere in prima persona della realtà concreta, e questa realtà non possiamo far finta di non vederla o spiritualizzarla con frasi consolatorie del tipo “Signore, manda santi sacerdoti”.
Le vocazioni non nascono quando il ministero è snaturato e ridotto a funzione amministrativa. È l’annuncio autentico del Vangelo, vissuto in comunità vive e credibili, a far nascere e fiorire le vocazioni. Ogni albero produce i suoi frutti, se riduciamo il ministero presbiterale a quello di funzionario, non potremo aspettarci, nella migliore delle ipotesi, che altri funzionari.
Alcune piste concrete per una possibile risposta
Di fronte a quest’analisi, alcune piste concrete possono essere oggetto di riflessione e confronto, ma non all’infinito: se la Chiesa non sceglie profeticamente di fronte alla realtà, allora sarà la realtà stessa a scegliere per noi, in quest’ultimo caso saremo solo attori passivi, privi di slancio evangelico.
Qui alcune proposte:
- Rafforzamento delle unioni pastorali: a partire dal consolidamento del consiglio di unità pastorale o forania, è possibile pensare a una vera unificazione dei percorsi pastorali, e ripensare insieme all’annuncio del Vangelo in un territorio più ampio.
- Riduzione del numero delle parrocchie: occorre avere il coraggio di ridurre le parrocchie, fonderle insieme, in modo che il parroco possa realmente essere pastore e non amministratore funzionario. Questo non significa abbandonare i territori, ma è un inizio per ripensare la presenza ecclesiale in forme nuove.
- Riduzione del numero delle messe: bisogna guarire da quella sorta di bulimia eucaristica da cui siamo affetti, valorizzando la Liturgia della Parola, preparata, curata e celebrata con dignità dalla comunità stessa dei battezzati. Non si tratta di impoverire la vita liturgica, ma al contrario di valorizzare la ricchezza della Parola e dell’Eucaristia, in modo che sia realmente «fonte e culmine»[5] della vita comunitaria.
- Esplorare nuove forme di evangelizzazione: ormai non c’è più nulla da perdere – ammesso che in passato lo fosse –, nell’ovile è rimasta una pecorella sola. Novantanove sono da un’altra parte (cf. Mt 18,12-14; Lc 15,3-7). Tanto vale che la pecorella rimasta esca in cerca delle altre, piuttosto che restare continuando a fare quello che faceva prima sperando che le altre tornino da sole. Non si tratta d’inventare chissà quale stravagante trovata pastorale, esistono già nella Chiesa nuove forme di evangelizzazione, esse vanno innanzitutto riconosciute, accolte e accompagnate, consentendo allo Spirito di poter agire nel cuore delle persone.
- Valorizzazione del ministero battesimale: occorre investire seriamente nella formazione e nel coinvolgimento di tutto il popolo dei battezzati, non come tappabuchi per supplire alla mancanza di clero, ma come espressione della natura ministeriale della Chiesa, dove il sacerdozio comune dei fedeli si esprime in forme mature e responsabili.
- Un sereno e profondo ripensamento del ministero ordinato: non basta semplicemente fare un aggiornamento della formazione nei seminari, è necessaria una «sostanziale revisione»[6]. È un invito ad aprire con coraggio il dibattito, senza timore di mettere in discussione tradizioni consolidate.
Tutto questo non vuole essere la ricetta per risolvere la questione. È necessaria, come ci ricorda papa Francesco, una vera e propria conversione, da una pastorale di conservazione a una pastorale di evangelizzazione[7].
Non possiamo essere ingenui. Questo cambiamento non avviene in automatico semplicemente cambiando le strutture, infatti, si può ridurre il numero delle parrocchie e rimanere comunque in una logica di conservazione e di ripiegamento su sé stessi.
Tuttavia – e questo è il punto etico fondamentale – ogni coscienza che cerca autenticamente il Vangelo non può ignorare la realtà concreta e le strutture in cui viviamo. La spiritualità non è fuga dalla realtà, ma incarnazione nella storia. La conversione pastorale passa soprattutto attraverso le coscienze, ma le strutture non sono neutre.
Il tempo che viviamo è tempo di esodo e di esilio: tempo di liberazione da schiavitù strutturali che opprimono e tempo di ripensamento radicale in una terra nuova. La realtà stessa è “segno dei tempi”[8]: il crollo delle strutture non è la fine, ma nuovo inizio per una conversione più aderente al Vangelo. Siamo chiamati a camminare con speranza e agire con visione profetica, perché è proprio in questa terra nuova, ancora sconosciuta, che la nostra fede potrà fiorire in modi nuovi per portare lo stesso Cristo, che è e rimane lo stesso, ieri oggi e sempre (cf. Eb 13,8).
[1] L. Oss Papot, «Crisi di vocazioni: solo 79 sacerdoti per 452 parrocchie in Trentino», su l’Adige.it (10 settembre 2025), articolo consultato il 10/11/2025.
[2] «Il parroco abbia la cura pastorale di una sola parrocchia; tuttavia, per la scarsità di sacerdoti o per altre circostanze, può essere affidata al medesimo parroco la cura di più parrocchie vicine» (CIC 1983, Can 526 – §1).
[3] «Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l’autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto» (CIC 1983, can 519).
[4] Cf. Papa Francesco, Discorso al Convegno di Firenze (10 novembre 2015); Discorso alla Curia Romana (21 dicembre 2019).
[5] Cf. Concilio Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n.10.
[6] G. Guglielmi, «L’immutabile che rassicura. Per una semantica dei tempi storici», in Il Regno 18 (2025), 541.
[7] «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione». […] La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. […] La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 25-28).
[8] Cf. Concilio Vaticano II, costituzione Gaudium et Spes, n. 4.






Le proposte avanzate per migliorarela situazione sono sostanzialmente tutte accettabili, anche con favore. Ciononostante, come scrissi su “SettimanaNews” il 4 ottobre 2024, la madre di tutti i cambiamenti dal presente al futuro e’ l’organizzazione cattolica territoriale per “equipes pastorali” (un presbitero, una coppia di laici, una religiosa) che coordinino la vita di una o piu’ parrocchie avvalendosi di ogni forma
di sinodalità possibile. Occorre che queste figure siano impegnate seriamente a livello giuridico ed economico e che non necessariamente il presbitero sia il responsabile ultimo del gruppo. Sarebbe un’innovazione che saprebbe di radicamento effettivo nelle origini cristiane secondo prospettive attuali. Occorre che i presbiteri “scompaiano” per arrivare a tale cambiamento? Speriamo di no…
Io ,ho chiesto sempre con tutto il mio cuore, di essere ordinato sacerdote nella santa Madre cattolica apostolica romana , nel ministero del presbiterio ordinato, ma, purtroppo nessuno mi ha mai voluto accogliere, non ho mai capito il perché.
Se ci fosse una diocesi che mi vuole accogliere, sono disposto a seguire nostro Signore Gesù alla sua sequela, resto e vivo sempre con speranza, che il Nostro Signore mi possa concedere questa grazia di essere al servizio nella Santa Madre chiesa.
Problema: vocazioni in calo e carenza di sacerdoti. Soluzione: sacerdozio femminile e matrimonio dei sacerdoti. Tantissime donne intelligenti e preparate possono svolgere ottimamente gli stessi compiti degli uomini ed è ora che la chiesa cattolica abbandoni il suo ingiusto e anacronistico maschilismo. È chiaro, poi, che la prospettiva di rinunciare all’affetto di una compagna e alla presenza di figli non invogli molti ragazzi a intraprendere la strada del sacerdozio. Quindi, la chiesa apra gli occhi di fronte alla realtà e si regoli di conseguenza. Il cambiamento fa paura, ma è necessario.
Io non parlerei di crisi ma di nuova realtà. Allo stesso modo come il Santo Padre si è espresso a favore dell’accorpamento delle Diocesi se, inspecie nella Italia longobarda, ancora ricalcano inamovibili dopo 1400 anni i territori degli antichi gastaldati che erano contemporaneamente diocesi ariane, mentre, I LONGOBARDI, ad espressione di Niccolò Machiavelli, nel decorrere di due generazioni non esistevano più ma erano diluiti indistintamente nella popolazione italiana, ERGO, realisticamente, è logico ridisegnare le Diocesi che rispondano adeguatamente alle esigenze dei tempi presenti.
Lo stesso, le vocazioni nelle parrocchie rurali, non sono in crisi, bensì, ad altro vedere non sono più necessarie, perché tra gli antichi mestieri scomparsi del mondo passato c’è anche il curato di campagna insieme al contadino con la zappa, il carrettiere con il mulo, il bifolco che ara i campi con i buoi, il mietitore con la falce, se oggigiorno è tutto più tecnologico più ampio e produttivo.
Perciò il sacerdote moderno, con l’ utilizzo dei social può divenire un buon influencer e raggiungere in simultanea un numero di fedeli di gran lunga maggiori e di molti zeri a quelli che potevano comporre una parrocchia tradizionale del paese rurale .
I tempi sono diversi e mai come ora si può accedere ed usufruire dell’insegnamento e della scienza religiosi che si trovano in rete , od addirittura interagire in tempo reale con i social dedicati al Santo Padre…
Il dramma peccaminoso è nello stato italiano che non fa lo stesso ma, freddo e incurante intende mantenere la prepotenza dei piccoli comuni di qualche decine di abitanti soltanto per alimentare le clientele politiche e le corruzione nella spesa pubblica, seppur i cittadini abbiano diritto ad una amministrazione morale logica ed efficace secondo i tempi.
Vero i contadini con la zappa sono scomparsi, ma gli abitanti di paesi considerati “rurali” no, ad esempio i miei genitori che a 80 anni con un figlio disabile sono costretti a cambiare paese per andare a messa. Nemmeno tutte le settimane, non parlerei certo di bulimia.
E a messa si va anche come momento comunitario. E se si accorpano parrocchie e diocesi è perchè mancano soprattutto i laici e non vale la pena dedicare i rari sacerdoti per le esigenze di poche persone. Insomma, in linea teorica si può fare tutto, all’atto pratico questo significa lasciare senza punti di riferimento una fetta di fedeli che per motivi di età e salute non è così veloce ad adattarsi “ai segni dei tempi”.
Forse bisognerebbe anche ammettere che per molti questa “rivoluzione culturale” è un po’ triste, pur essendo necessaria. Già suona meglio dire: più di questo non possiamo fare e ci dispiace…
Continuando a decretare che i tempi non sono maturi per i preti donna, il deserto avanza e cancella tutto il buono che c’era!!!
Gli apostoli erano 12 + 1 donna, Maria di Magdala.
Però dai pulpiti si continua a diffamarla appioppandole falsamente un passato di prostituta e di indiavolata. Pur di non elevarla al giusto grado di apostola.
In tal modo il diavoletto, col vestito da maschilista, è completamente infiltrato in Vaticano. Peccato!!!
La Chiesa dovrà purtroppo toccare il fondo, prima di capire l’enorme errore che compie, temendo di perdere i 4 vecchi tradizionalisti. I vecchi, nel giro di 10 anni, saranno tutti morti e le chiese saranno deserte. Con buona pace dei tempi non ancora maturi!
Non sarà che il diavoletto, invece, stia girando in Vaticano?
Problema che è di difficile analisi e ancor più di soluzioni, che possono essere molteplici. Se mancano vocazioni per i preti non dovremmo interpretarne l’opera dello Spirito? E comunque ridurre il numero delle parrocchie si scontra con i motivi economici della quote . Così come ridurre i vescovi cozzacon il desiderio di potere e denaro legato alla carica vescovile: Oltre 200 diocesi in Italia fa rabbrividire . E poi vediamo quali vescovi a volte nascono . Lupi nel gregge … e lascio immaginare a cosa mi riferisco. Con tali esempi mi stupisco di trovare dei giovani che frequentano qualche anno le mura ecclesiali. Ma i convegni e sinodi non mancano.
Vorrei, dire tante cose.
Ma…mi limito a dire solo 2.
Oratorio zero…giovani, che vengono per fare sports…poche persone.
2) non capisco perché donne non possano celebrare messa…devo avere + responsabilità…
Vorrei dire…3) chi ha problematiche psicofisiche…tagliato fuori( mio figlio ahimé buon’ anima).
Cambierà …non credo …perché non parla nessuno e nessuna…accomodante…la cosa!!
Concordo pienamente sul fatto che bisognerebbe aprire alle donne e si risolverebbe tutto
L’argomento è decisamente molto complesso.
Tenendo conto che per i cambiamenti c’è comunque bisogno di tempo, invito ad allargare lo sguardo: come fanno i pochi sacerdoti nel resto del mondo (mi riferisco agli stati africani, all’Amazzonia, all’oriente vicino e lontano, ecc)? Potremmo aver qualcosa da imparare da loro?
Se Acutis fosse ancora fra noi…
Se avesse voluto predicare il Vangelo invece di testimoniarlo…
Se avesse voluto fare il Sacerdote…
Che avrebbe fatto l’umana Chiesa?
Che avrebbe fatto la Santa Chiesa?
Non so la seconda.
La prima lo avrebbe chiuso in seminario 7 anni.
Non e’ per caso che a volte sia piu’ veloce diventare Santi che Preti?
Bisogna un po’ “rischiare”.
E poi pure Gesu’ su dodici me ha scelto uno che era un demonio. E lo ha detto Lui stesso (forse con stupore…)
E la Chiesa e’ diffusa lo stesso.
Ma quando si annuncia che questo è un “Cambio di Epoca” pensate che possiamo abitarlo e viverlo con gli stessi modelli teologici? Ad esempio Amartiocentrismo? Cosa intendiamo per Salvezza? A proposito di Laici, dovevamo essere coinvolti e preparati appena terminato il Concilio, sono certo che lo Spirito soffia sulla barca bisogna accertarsi che le vele siano spiegate.
Il problema è nella struttura della chiesa sancita dal diritto canonico: clero e fedeli sono nettamente separati, con l’aggravante del celibato obbligatorio, e nel clero sono concentrate le tre funzioni blibliche di governo, rito e profezia. Per diritto, nella chiesa cattolica chi non appartiene al clero e quindi è celibe, non gode di alcuna prerogativa nè può esercitare una funzione reale.
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Proporre di ridurre il numero delle messe è pura follia.
È come dire ad un malato: non ti diamo nessun medicamento ma disquisiamo in un congresso scientifico del tuo caso.
I sacerdoti dovrebbero dedicarsi allo specifico del loro ministero. Munus docendi, gubernandi e sanctificandi.
Catechismo, governo della parrocchia e sacramenti, su tutti Confessione ed eucaristia.
Se la messa venisse celebrata con la dovuta preparazione spirituale da parte dei sacerdoti, in religioso ossequio e nella forma prevista dal messale (senza improvvisazioni, battimani e canti sessantottini) e si lasciasse spazio al silenzio ed al ringraziamento post communionem credo che se ne vedrebbero molto i frutti, i frutti del Santo Sacrificio. Chiese aperte e prete a confessare. Altro che ricette protestanti.
Dio costruisce la sua casa se l’uomo lo mette al centro della propria vita.
E da ultimo rosario e preghiera personale e comunitaria.
Chiedete e vi sarà dato
Io vengo da una zona dove ancora oggi i preti il sabato confessano.
E dico che non ho mai visto folle immense, ma massimo 10 persone.
La Chiesa della mia parrocchia è quasi sempre aperta, ma dentro vedo le solite rare facce e alle messe feriali (quando riuscivo ad andarci) vedevo anche li le stesse persone.
Il rosario è già un’altra cosa, penso già più sentito e partecipato, ma questo è quasi solo gestito dai laici…
Di fronte alla crisi delle vocazioni (presbiterali) che nei prossimi anni saranno sempre più forti, c’è una sola cosa da fare: dare un nuovo assetto ecclesiale alle nostre comunità a partire dai laici. Per troppo tempo si è creduto che tutto potesse ruotare intorno al sacerdote. Ora è tempo di ridare centralità alle comunità, al vivere insieme e accanto l’unica vera chiamata per un cristiano (l’unica vera vocazione!) che è quella alla santità!
Le due cose vanno di pari passo però: meno laici, meno sacerdoti, la percentuale tra laici e sacerdoti mi pare sia rimasta abbastanza invariata (almeno ne leggevo tempo fa). Aggiungiamo pure che ci sono meno giovani e facciamo bingo.
Poi si ripartirà o meglio, ci si assesterà sulle nuovi possibilità.
Nel senso: è facile dire togliamo ai parroci per dare ai laici quando a spanne sono soprattutto i laici a mancare.
I veri cristiani conseguono la Santità, solo se sono istruiti con la Parola di Dio, come dice la Scrittura nella prima lettera di Pietro al capitolo 1, versetti da 14 a 16 . Io che sono nato nel 1939, mi ricordo che la Sacra Bibbia era tabù per tutti i cattolici. Ma quando a nel 1975 , mi venne il desiderio di conoscere le Sacre Scritture, soprattutto quello che Gesù Cristo dice nel Vangelo di Giovanni, capitolo 6 versetto 45 , qui Gesù cita la profezia ispirata da Dio, del Profeta ISAIA, capitolo 54 versetto 13 che letteralmente dice: Tutti i tuoi figli saranno istruiti da Geova, e grande sarà la Pace dei tuoi figli . Gesù dice nel Vangelo di Giovanni 6 v. 45 : ” Nei Profeti è scritto: ‘ Saranno tutti istruiti da Geova. Chiunque ascolta il Padre e impara da Lui viene da me.” ….. Quando ho conosciuto la verità, ho capito perché è mancata la Pace sulla Terra. E che presto il Regno di Dio e del Re Gesù Cristo, metterà fine alle tenebre spirituali che avvolgono tutti i popoli della terra 🌎…. Perché si compirà la Volontà di Dio sulla Terra, come in Cielo, il suo Nome sarà Santificato, liberandoci completamente dal malvagio, che acceca la mente degli increduli, ” Seconda lettera ai Corinti cap. 4 v. 4 .
Per ulteriori informazioni visitare il sito ufficiale JW.ORG… Cordiali saluti, Lucio.
Gli apostoli erano 12 e la loro fede è stata capace di attraversare il tempo e la storia generando un movimento chiamato Chiesa che è giunto fino a noi con il solo scopo di rendere visibile e dunque vivibile il sacrificio di Cristo morto e risorto.
Non c’è altro da fare che continuare a testimoniare ciò ogni istante in ogni ambito senza
paura nonostante il mondo sembra andare in
senso contrario.
Se i 12 avessero pensato all’esito della loro testimonianza davanti al mondo che niente sapeva di Cristo si sarebbero chiusi in casa.
Io purtroppo sono una donna, dico purtroppo perché nella Chiesa non contano nulla, sono relegate al ruolo di domestiche ( tranne eccezioni), occorrono anche le domestiche ci mancherebbe. Escludendo le donne si esclude la maggioranza perché coloro che frequentano sono in maggioranza donne, non è questione di comando. Decidono tutto gli uomini e quindi ci si priva di risorse. Nelle parrocchie almeno in quelle che io ho frequentato i parroci difficilmente si fidano.. I laici sono trattati come bambini piccoli che non hanno capacità di prendere decisioni. C’è la dittatura, dispiace dirlo. Questo succede anche a persone preparate che da una vita servono la Chiesa ed essendo donne o non avendo la vocazione sacerdotale sono costrette a eseguire acriticamente gli ordini imposti dall’ alto. Massimo rispetto per i sacerdoti ma essere sacerdote non credo significhi essere in grado di far tutto e capir tutto. Questo è veramente molto ma molto scoraggiante. Altroché concilio Vaticano II purtroppo non credo che sia stato tanto recepito.Non voglio colpevolizzare il clero ognuno ha le sue carenze. Mi auguro che ci sia il coraggio di cambiare radicalmente. Se ci sono poche forze diminuire incontri, Messe ecc. Non credo che sia importante la quantità ma la qualità. Il vangelo non si trasmette moltiplicando incontri su incontri e feste su feste per arginare la concorrenza del mondo ma con la vita
È verissimo.
Quando leggo “bulimia eucaristica” e la soluzione è “celebrazioni della Parola” … penso a due cose:
Anzitutto ai fratelli protestanti che dicono “sola scriptura” e mi inquieto
Poi penso a San Carlo Acutis “l’Eucarestia è l’autostrada per il cielo” e mi tranquillizzo.
Dai Salmi ricordo un monito per i costruttiri di futuro: “Se il Signore non costruisce la città invano faticano i costruttori”
invece un po’ di ragione ce l’hanno: negli ultimi decenni si sono profondamente ridotte quelle celebrazioni alternative alla Messa quali Lodi, Vespri, Benedizioni Eucaristiche, processioni etc.
Con il risultato che per moltissima gente l’unico contatto con la Liturgia è la Messa, spesso celebrata in maniera molto piatta. E questo annoia tanta gente.
Poi non sono sicuro che delle celebrazioni della Parola, magari dove si è costretti ad ascoltare e basta, sia la soluzione.
La parrocchia accanto alla mia fa un momento di preghiera infrasettimanale con letture, canti e spesso altri gesti che tentano di coinvolgere le persone, e dai, qualche decina di partecipanti ci sono sempre
Probabilmente sarebbe anche opportuno di valorizzare tutti quei territori e ambienti non strettamente o tradizionalmente facenti parte della “struttura” parrocchia, e spendervi più energie e “numeri”. Di fronte a chiese vuote o semivuote, si perpetuano ritmi e modalità ormai insensati, a fronte di ospedale, realtà giovanili, impianti sportivi, dove l’incontro con le persone sarebbe favorito dalla presenza stessa loro. Ma siamo davvero disposti a dirci che, le parrocchie nate nella modalità con cui sono nate nel concilio di Trento, non possono più essere ritenute adeguate al ministero e ai tempi attuali?
Bellissima analisi del presente, nessuna prospettiva per il futuro. Troppo drastico il passaggio dalla pastorale di conservazione a quella missionaria, individuando la prima con quella istituzionale-sacramentatia e la seconda con quella missionaria: anche perché la gente è refrattaria all’annuncio della parola. E il problema sta proprio qui: gli stessi cristiani non vogliono saperne di pastorale missionaria, di evangelizzazione,… È questo ciò che turba i parroci: il Vangelo non interessa più a nessuno!
Quanto all’affido di più parrocchie ad un solo parroco non è un problema insuperabile, come qui si vuol far credere: basta ritenere dieci parrocchie come un’unica comunità nella quale si opera con creatività e si fa quel che si può.
È il problema di sempre. Basta andare indietro nel tempo fino ad almeno Pio XII. La messa non deve essere toccata. Molti parroci e sacerdoti hanno una mentalità protestante. Cristo si, chiesa no!! Manca in realtà la fede, la fiducia nel magistero della Chiesa. Non ci servono “preti sociali”. Preti che si vergognano di indossare l’abito ecclesiastico che è per loro obbligatorio. Devono testimoniare di appartenere totalmente a Cristo. La Chiesa gerarchica è: Papa, vescovi, sacerdoti e diaconi. Senza di loro non c’è Chiesa e sicurezza nella fede. Troppo sociale. Dare ai laici un compito di evangelizzazione senza la supervisione del clero è pericoloso. Si arriva al protestantesimo. Diaconesse? Dio c’è ne liberi. È un passo al protestantesimo. Diaconesse, poi preti, poi vescovi… Gesù lo ha predetto: ” quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà la fede?”.
ma questo protestantesimo di cui ha tanta paura… non è che è uno spauracchio per non voler cambiare nulla, per evitare di dire ‘questa cosa ai suoi tempi ha funzionato, ora non più tanto: affianchiamola da altri modi di fare!’
Sul diaconato delle donne non si riesce a fare un passo in avanti .le donne vanno valorizzate non certo per fare tappa tuchi. I preti di diverse parrocchie del mio circondario parlano spesso di demonio e fanno rimproveri nelle omelie….pensano così di far rientrare le pecore smarrite?ma il Vangelo di Gesù parla di amore non di negatività .Poi tutto ciò che ho letto molto interessante .Speriamo di essere capaci di aprire il cuore e di essere pronti al nuovo.
Analisi franca, a tratti spietata ma esauriente.
Proposte operative evanescenti.
Dico la mia:
A) Rovesciare la piramide strutturale gerarchica: Papa, vescovi, parroci, fedeli, ripristinando alla quella di Matteo (20,26-28).
B) Ai presbiteri la liturgia e la Parola;
C) Ai “santi” la gestione finanziaria, la gestione ordinaria, le opere di carità.
Non riusciamo a interpretare i segni dei tempi. Non mancano i preti ma la disponibilità di pastori e pastore reclutati tra i credenti capaci e disponibili. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.