Donna e diaconato: il “no” pasticciato

di:

donne e teologia

Pur cercando di mettere un poco di ordine nei loro pregiudizi, gli estensori della Sintesi del lavoro della Commissione Pontificia sulla ammissione delle donne al diaconato (che si può leggere qui) sembrano restare indietro di 60 anni rispetto al dibattito ecclesiale. Sembrano i nonni di Giovanni XXIII, non i nipoti.

Vorrei che chi ha il tempo di leggere il testo, che in apparenza sembra molto analitico, esaminasse con attenzione la sequenza delle proposizioni che sono state messe in votazione. Se si leggono in sequenza cronologica, danno ragione al famoso incipit di I. Kant, Il male radicale: “Il mondo va di male in peggio”. Le tesi iniziano sul piano storico, in modo piuttosto cauto e precipitano in due abissi, come mai era capitato nella storia recente sul tema.

Le due sintesi distruttive

In effetti le due ultime tesi messe ai voti sono tra loro agli antipodi, ma mettono bene in luce l’imbarazzo e, insieme, la violenza della reazione:

  • Da un lato l’esito è CAMBIARE ARGOMENTO: la Commissione viene interpellata sul diaconato e risponde sui ministeri istituiti (ossia è interpellata de iure condendo e risponde de iure condito, senza alcun rischio…)

«Al riguardo, è oggi opportuno ampliare l’accesso delle donne ai ministeri istituiti per il servizio della comunità. I motu proprio Spiritus Domini Antiquum ministerium di Papa Francesco, pur confermando quanto espresso dalla Lettera Apostolica di San Giovanni Paolo II Ordinatio Sacerdotalis, vanno in questa direzione. Spetta ora al discernimento dei pastori valutare quali ulteriori ministeri possano essere introdotti per le concrete necessità della Chiesa del nostro tempo, assicurando così anche un adeguato riconoscimento ecclesiale alla diaconia dei battezzati, in particolare delle donne. Questo riconoscimento risulterà un segno profetico specie laddove le donne patiscono ancora situazioni di discriminazione di genere».

Ovviamente su questo testo si raggiunge la unanimità, con evidente soddisfazione, peccato che non è su questo che la Commissione era stata interpellata. La reazione migliore sarebbe: grazie, questo non ci interessa!

  • Più interessante e drammatico è invece il modo con cui si arriva alla penultima proposizione votata, con un esito del tutto interlocutorio (vogliamo dire per grazia di Dio?). Dopo aver presentato con qualche dettaglio i numerosi contributi ricevuti per espressa richiesta in seguito alla Assemblea del Sinodo dei Vescovi di ottobre 2024, ecco che nel febbraio del 2025 viene proposta una proposizione DEL TUTTO PARADOSSALE, che non sarebbe esagerato definire la peggiore possibile:

«La mascolinità di Cristo, e quindi la mascolinità di coloro che ricevono l’Ordine, non è accidentale, ma è parte integrante dell’identità sacramentale, preservando l’ordine divino della salvezza in Cristo. Alterare questa realtà non sarebbe un semplice aggiustamento del ministero ma una rottura del significato nuziale della salvezza».

Il paradosso: si dice il contrario di ciò che si è letto

Rispetto alla proposizione n.60 del Documento di Sintesi del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2024) questo secondo testo, or ora presentato, appare una specie di caricatura forzata di una lettura del sesso maschile come “sostanza” del sacramento dell’ordine. Certamente, la grande massa di testi ricevuti dalla Commissione, di cui viene proposta una sintesi molto generica e per sommi capi, non ha minimamente toccato il cuore di un ragionamento, che anzi si è nel tempo sempre più polarizzato, fino a proporre una giustificazione della “riserva maschile” come legata addirittura “all’ordine divino della salvezza in Cristo”.

Una analisi dettagliata delle argomentazioni presentate lungo il testo deve essere rimandata ad altra sede. Quello che è certo è che:

  • Non si è minimamente tenuto conto della teologia contemporanea sul tema, che viene liquidata frettolosamente come marginale e come una forma “ideazione” (che strano modo di parlare).
  • Si sposta il discorso sul terreno pacifico dei ministeri istituiti, su cui si resta in “comfort zone”.
  • Si avvalora una lettura della tradizione in cui oriente ed occidente diventano una cosa indistinta, senza rilievo e senza forma, tutto ridotto a proposizioni vuote.

Non è un caso che l’ultima formulazione, la più esagerata e unilaterale, abbia spaccato la commissione a metà: solo metà dei membri se la sono sentita di identificarsi con una proposizione teologicamente e antropologicamente scandalosa.

Credo che sia inevitabile che molte donne cattoliche si sentano offese da un documento tanto gretto, che un teologo, se resta equilibrato, non può accettare in nessun modo, se non come una grave involuzione del dibattito teologico e sinodale.

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