
Ho letto e riletto l’intervento di Severino Dianich «Mattarella e Leone XIV sul riarmo» pubblicato su SettimanaNews qualche giorno fa. L’ho fatto perché una prima lettura aveva destato in me alcune perplessità, pur condividendone l’argomento di fondo: non solo quella di una presa di posizione dei cristiani per la pace, ma anche quella di un loro impegno pubblico nel dare forma a una contro-narrazione che smascheri gli interessi che stanno dietro la «ineluttabilità della guerra».
Alcune perplessità sono rimaste e provo a metterle giù sulla carta, perché credo che in questo momento un dibattito teologico su quanto il prof. Dianich propone da tempo sia non solo importante ma anche necessario. Questo per arrivare a una formulazione teologica che non sia solo forte, controcorrente, ma anche concretamente attuabile nell’ordine penultimo del vivere umano e delle istituzioni che lo ordinano.
Dianich parte dalle affermazioni del presidente Mattarella e di papa Leone per affermare una certa contrapposizione tra ragione e fede, tra una ricerca della pace a partire dalla guerra e una pace che esiste e va preservata dalla guerra. Il presidente starebbe così nel passato e il papa nel futuro, come logica argomentativa. Come si argomenta nel presente? Come si costruisce nell’oggi di questo mondo l’irruzione del futuro a cui guarderebbe il papa? Basta l’opinione pubblica “convertita” alla ragione della pace per custodirla (meglio che difenderla) come condizione stabile del vivere umano a livello globale?
L’ordine penultimo è quello delle istituzioni, di cui anche la Chiesa cattolica fa parte – non solo per la ragione, ma anche per la fede. Oggi le istituzioni sono in profonda crisi, quelle che potrebbero accompagnare la custodia della pace sono diventate inefficaci, derise dalla logica del male – dall’ONU al diritto internazionale.
Forse, la distinzione di piani delle argomentazioni del papa e del presidente non è solo questione di ragione vs fede, ma anche di ruoli istituzionali ricoperti dalle due persone. E di un dovere iscritto nel ruolo istituzionale. In un momento come questo, in cui basta un nulla affinché le forze del male si impadroniscano del governo del mondo, sarei più cauto nel giudicare quella che potremmo chiamare la “fede costituzionale” di Mattarella. Lo sarei perché rappresenta una istanza penultima molto prossima a quella custodia della pace che ci viene come dovere, in quanto cristiani, dal futuro di Dio.
La pace c’è e va custodita – e noi non lo abbiamo fatto. Tutti noi, anche i cristiani, anche i cattolici. Ne abbiamo goduto e l’abbiamo data per scontata. È stato un privilegio per una piccolissima fetta di mondo, ma ben poco abbiamo fatto per l’istituzione che l’ha resa possibile. Ancor di meno ci siamo impegnati, anche noi teologi e teologhe, per sostenerla a dovere, per farla fiorire, per dare forma a prassi politiche che potessero ampliarne il raggio di influenza. Dove eravamo quando tutto questo poteva e doveva essere fatto?
La seconda perplessità riguarda le suggestioni di Dianich sul mettere in questione la legittimità della guerra di difesa e sulla indipendenza e libertà di una nazione. Su quest’ultima mi chiedo: che pace è quella che fa vincere il male, che si arrende alla sua diffusione e apre le porte all’allargamento del suo impero? Questa non è la pace che c’è di cui parla Leone XIV, questo è al massimo un cessate il fuoco che dà il via libera alle risorse apparentemente infinite del male.
Anche solo in forma di suggestione, affermazioni di questo tipo, a mio avviso, indeboliscono ogni possibile apporto teologico alla custodia della pace. Offrono al male l’ultima arma che ancora gli manca.
Quando Dianich parla di mettere in discussione la legittimità della guerra di difesa, intende questo come dottrina della Chiesa o come principio giuridico globale? Ma anche fosse il primo caso, chi proteggerebbe tutti coloro che verrebbero così consegnati all’invasione delle truppe del male? Chi si prenderebbe cura di loro? Chi spiegherebbe loro che non essere più liberi è la forma della giustizia più alta della pace?
Con quale diritto consegniamo popoli e nazioni alla dittatura di Putin, nella convinzione che non arriverà mai da noi? Non diventiamo così noi stessi agenti di quel fatto ancora più deplorevole, indicato dal papa, di una dimenticanza del ‘900? Perché proprio il ‘900 ci dice che il suggerimento della «ragione» a cedere territori, popoli e nazioni a Hitler, nella convinzione che questo lo avrebbe fermato, fu drammaticamente sbagliato.






Io sono pienamente d’accordo con quanto scritto qui. Una pace disarmata e disarmante ci mette nelle mani del male. Improponibile.
Senza inerpicarsi in discorsi troppo astratti esiste già il concetto di proporzionalità. Che non è così diverso da quello valido per i cittadini. Ad esempio posso difendermi da un furto ma non vendicarmi uccidendo. Il problema è che non esiste un esercito terzo iin grado di garantire la difesa della popolazione a causa della debolezza Onu ostaggio dei veti incrociati ecc. La Santa Sede chiede da anni un rinnovamento Onu.