La morte di Alexey Navalny è l’ennesimo crimine commesso dal regime di Vladimir Putin. Poco importa se sia stata causata da un evento contingente, come l’avvelenamento con lo sperimentato Novichok, o sia stata la conseguenza del durissimo regime carcerario che lo ha visto confinato in un penitenziario situato oltre il Circolo Polare Artico, ove la temperatura media è intorno ai trenta gradi sottozero, dotato di celle talmente umide e fredde che il muschio prospera su pareti e pavimenti e dove l’unica ora d’aria quotidiana si svolge alle 6.30 – quando l’aria è più fredda – in un minuscolo cortile sovrastato da una rete metallica.
Il fatto che, a quattro giorni dal decesso, ai famigliari ed ai legali di Navalny non sia stato concesso di vedere la salma e che, anzi, non si sappia nemmeno dove è stata portata, fa propendere per l’ipotesi della morte violenta.
Alcune testimonianze, filtrate dagli ambienti carcerari, parlano di un corpo segnato da alcune ecchimosi compatibili con il tentativo di contenere spasmi e convulsioni, effetti provocati proprio dall’avvelenamento da Novichok, il veleno utilizzato contro altri avversari di Putin, come l’ex agente segreto Sergei Skripal, che riuscì a salvarsi. Lo stesso Navalny era stato vittima di un primo tentativo di avvelenamento con il Novichok nel 2020, sopravvivendo grazie alle cure effettuate in Germania.
La lista dei dissidenti e degli avversari di Putin morti violentemente è lunghissima e comprende giornalisti come Anna Politkovskaya, oligarchi ed ex amici, come il padrone della famigerata compagnia di mercenari neonazisti “Wagner”, Evgenij Prighozyn, deceduto insieme al suo braccio destro Dimitrij Utkin il 23 agosto dello scorso anno nell’abbattimento dell’aereo privato sul quale viaggiavano.
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L’assassinio di Navalny sembra il coronamento di una serie di atti persecutori nei confronti di chiunque, in Russia, abbia osato schierarsi contro l’aggressione all’Ucraina. È di pochi giorni fa la notizia del secondo arresto e della condanna a cinque anni di colonia penale per il sociologo Boris Kagarlitsky, uno dei più importanti e stimati intellettuali marxisti attuali.
Kagarlitsky era già stato arrestato nel luglio scorso, con la solita accusa di “estremismo” per aver pubblicato un post contro la guerra, ma il processo di primo grado si era concluso con la condanna al pagamento di una multa equivalente a 6.000 euro e la sua scarcerazione, lo scorso dicembre. La Procura Militare aveva fatto ricorso in appello, dove, inaspettatamente, la condanna è stata enormemente inasprita e il sociologo è finito nuovamente in carcere.
Vale la pena di notare che il sessantacinquenne Kagarllitsky vanta il non invidiabile record di essere stato incarcerato, per le sue opinioni, sia quando esisteva ancora l’Unione Sovietica, sia quando al potere in Russia era salito Boris Eltsin, sia ora, sotto il regime di Vladimir Putin.
Nelle carceri di Putin ora si trovano altri oppositori del regime e della guerra, fra i quali il giornalista Vladimir Kara Murza, che dovrebbe scontare una condanna a venticinque anni di carcere e per la cui sorte c’è grande preoccupazione, perché di lui non si hanno più notizie da settimane, da quando cioè, secondo la denuncia della moglie, è scomparso dalla colonia penale IK-6 a Omsk, in Siberia, dove scontava la pena.
Un’altra vittima della repressione in Russia è Ilya Yashin, arrestato nel giugno 2022, condannato a otto anni e mezzo di reclusione per aver diffuso “false informazioni sull’esercito”. L’avvocato Alexei Gorinov è stato condannato a sette anni di reclusione per avere criticato l’operazione militare in Ucraina e il giornalista Ivan Safronov sta scontando una pena a 22 anni di carcere per alto tradimento per l’accusa di aver rivelato all’intelligence della Repubblica Ceca presunti segreti militari.
In carcere sono finiti anche due ex esponenti del team di Navalny: Lilia Chanysheva, condannata a 7 anni e mezzo per attività estremiste, e Ksenia Fadeeva, esponente dell’organizzazione di Navalny nella città siberiana di Tomsk e alla quale sono stati inflitti 9 anni di reclusione.
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Ai casi più gravi e noti vanno aggiunti quelli di decine di migliaia di semplici cittadini sanzionati con arresti, multe e privazione del lavoro per aver preso parte a manifestazioni pacifiste, specialmente all’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Ad oggi, inoltre, si ha notizia di almeno quattrocento persone arrestate perché hanno deposto fiori in memoria di Alexey Navalny.
L’assassinio di Navalny viene interpretato da alcuni commentatori come un segno di debolezza da parte di Putin, il quale non vorrebbe arrivare alle prossime elezioni presidenziali con la spina nel fianco rappresentata dalla semplice esistenza del suo più celebre oppositore.
Probabilmente, si tratta di un’interpretazione più volenterosa che realistica, poiché lo stato dell’opposizione in Russia appare vicino allo zero, sia grazie alla sistematica repressione operata dal regime, sia per l’inesistente reattività di un’opinione pubblica che si fatica persino a definire tale.
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Intervistato da Loren Bahlorn per la rivista Jacobin nel luglio 2022, Boris Kagarlitsky affermava che la stragrande maggioranza della popolazione russa era totalmente apolitica e non avesse interesse nemmeno per la guerra in corso. Per Kagarlitsky “la maggior parte delle persone non guarda i programmi politici in TV, né i media di opposizione su Internet.
Non è interessata a nessun tipo di politica. L’intero spettro di opinioni politiche – che comprende sia i lealisti che l’opposizione, sia essa di sinistra o fascista, liberale o conservatrice – rappresenta forse il 15-20% della popolazione, probabilmente meno del 10%. Il resto è totalmente apolitico”.
Da un lato, questo è un grande vantaggio per il regime, ma è anche il suo più grande problema. Nessuno si muove contro il governo, ma nemmeno a favore. Purtroppo, la Storia insegna come le dittature prosperino proprio grazie all’indifferenza, piuttosto che col consenso: la dittatura di Putin sembra voler confermare questa lezione.
La crisi evidente delle forme classiche di democrazia può far nascere in alcuni il desiderio di figure forti, che finalmente facciano smettere l’insopportabile confusione delle voci, comportamenti e opinioni. Si ha la tentazione di pensare che se uno decide per tutti le cose andranno sicuramente meglio. Beh: basta ripensare alla tragica esperienza degli ebrei italiani col fascismo. Moltu erano fascisti convinti. Addirittura gerarchi. Ma quando nel 38, per ragioni di convenienza l’uomo forte decise improvvisamente che gli ebrei erano i nemici della razza italica…. In mancanza di democrazia si deve essere sicuri che un giorno non si finirà all’improvviso tra i nemici da abbattere… e nessuno avrà mai questa sicurezza!
Il comportamento di Salvini è semplicemente scandaloso.
Il Senatore Matteo Salvini: Capo della Lega, vicepremier nonché ministro dell’ attuale Governo ha saggiamente dichiarato che sarà la Magistratura (russa, immagino) a chiarire le cause della morte di Navalny. Plaudo inoltre al silenzio della Chiesa russa sapientemente guidata dal Primate Cirillo: uomo pio e Pastore illuminato (evidentemente anche lui in attesa di un pronunciamento delle Autorità statali circa le cause del decesso del sovversivo in questione).
Ricordo da ultimo che il già citato Senatore Salvini, anni addietro ebbe a dire che un Putin valeva da solo tre Mattarella e mi domando se abbia rivisto la sua valutazione di merito.