A differenza di altri riformatori come Giovanni Calvino, che limitarono l’uso della musica in chiesa, Lutero amava profondamente la musica. Suonava il liuto e il flauto, era un abile cantante e compositore e apprezzava la polifonia del suo tempo, in particolare le opere di Josquin Desprez. Riteneva che la musica dovesse avere un ruolo centrale nell’educazione e nella liturgia.
Lutero conosceva bene gli stili musicali del suo tempo e sfruttò i suoi molteplici talenti e interessi musicali per riformare la musica religiosa e liturgica della nascente chiesa protestante tedesca. Nel 2017 è stato commemorato il 500esimo anniversario delle 95 tesi di Martin Lutero. Nella circostanza, l’enfasi è stata comprensibilmente posta sulla teologia del riformatore: la salvezza per sola fede, il sacerdozio di tutti i credenti, la priorità della Scrittura. Ma altrettanto importanti, dal punto di vista storico, sono i contributi di Lutero alla musica sacra. Sebbene nelle 95 Tesi non vi sia alcun accenno specifico alla musica, l’influenza di Lutero sulla musica sacra è stata considerevole, tanto che a ragione lo si potrebbe considerare «il padre della musica protestante in Germania».
Quando Johann Sebastian Bach nacque nel 1685, l’organo occupava già una posizione centrale nella chiesa luterana, al pari dell’altare e del pulpito. Ancora oggi, insieme al corale congregazionale, l’organo rappresenta il suono distintivo del luteranesimo, una connessione esemplificata nel Clavierübung III di Bach (1739). Questa raccolta di preludi grandi e piccoli basati sui «corali del catechismo» di Martin Lutero rafforzò il legame tra il canto vocale e la sua elaborazione strumentale. Tuttavia, nei 200 anni tra la Riforma luterana e la nomina di Bach alla Thomaskirche di Lipsia nel 1723, la presenza liturgica dell’organo non fu affatto garantita.
Il dibattito sull’uso dell’organo nella liturgia
Dopo la pubblicazione delle 95 Tesi nel 1517, teologi e riformatori si divisero su come definire il luteranesimo, in opposizione non solo al cattolicesimo romano, ma anche ad altri movimenti protestanti come il calvinismo. L’organo fu al centro di dibattiti accesi: i critici sostenevano che, essendo uno strumento «muto» senza parole, rappresentasse un eccesso superfluo, legato alle frivolezze del culto «papista». Lutero stesso inizialmente espresse dubbi sull’uso delle «canne mute» dell’organo, privilegiando la parola intelligibile dei corali in lingua vernacolare. Tuttavia, col tempo cambiò idea, e il dibattito sull’organo divenne cruciale per definire l’identità luterana.
Lo scisma di Lutero con Roma scatenò discussioni accese sulle pratiche ecclesiastiche. Se da un lato i riformatori concordavano sull’importanza della parola in lingua vernacolare, altre questioni dottrinali divisero i protestanti. Il calvinismo, guidato da teologi come Ulrico Zwingli e Giovanni Calvino, adottò un approccio più restrittivo rispetto alla musica nella liturgia. I calvinisti permettevano solo il canto dei Salmi rigorosamente all’unisono, senza decorazioni armoniche o strumenti, considerati relitti del culto veterotestamentario inadatti alla chiesa moderna. L’organo, con le sue sonorità lussuose, fu percepito come un simbolo di eccesso «papista» e quindi escluso. Al contrario, i luterani abbracciarono l’organo come strumento della gloria divina con Lutero che, nei sui scritti maturi, considerò la musica uno dei più grandi doni di Dio dopo la teologia.
Le ondate di iconoclastia seguite alla Riforma non risparmiarono gli organi, spesso ornati con ali dipinte e statue. Un episodio emblematico fu la distruzione dell’organo della cattedrale di Ulm nel 1530, quando la città passò al protestantesimo. La demolizione dell’organo divenne un racconto simbolico nei testi luterani, un ammonimento contro gli eccessi dell’iconoclastia. L’organo, da oggetto di controversia, si trasformò in un emblema della libertà di culto luterana.
Lutero cambiò opinione sull’organo intorno al 1524, influenzato dalla violenza iconoclasta e dalla sua passione per la musica. Nel Geistliche Gesangbüchlein, scrisse che il Vangelo non doveva distruggere le arti, ma utilizzarle per glorificare Dio. Nel 1526, nella Deutsche Messe, sottolineò il ruolo dell’organo nel coinvolgere i fedeli nella gioia del culto. Elementi liturgici come l’organo furono classificati come adiaphora – pratiche non comandate dalla Scrittura ma utili al culto se usate con la giusta intenzione.
Nel XVII secolo, l’organo divenne un simbolo dell’identità luterana in opposizione al calvinismo. I sermoni d’inaugurazione di nuovi organi celebravano lo strumento come parte integrante della fede luterana, sottolineando la sua capacità di elevare l’animo e ispirare la predicazione. Scritti come il De Organographia di Michael Praetorius (1619) fornivano una storia dell’organo e lo collocavano in una tradizione cristiana purificata dall’associazione al cattolicesimo romano.
I calvinisti accusavano l’organo di essere incapace di “parlare” e quindi di trasmettere il messaggio divino, un’accusa che i luterani presero sul serio. Per contrastarla, enfatizzarono il ruolo del musicista devoto che con la sua fede poteva trasformare il suono in espressione di lode. Molti compositori, come Praetorius, accompagnavano le loro opere con testi per sottolineare il significato teologico della musica.
L’organo non era solo un elemento liturgico, ma anche uno strumento di educazione spirituale. I genitori venivano incoraggiati a insegnare ai figli a cantare i corali e a suonare strumenti come il liuto, per meditare sulle melodie anche a casa. Questo allenamento all’ascolto attento avrebbe poi migliorato la comprensione della musica d’organo in chiesa. Alla vigilia della Guerra dei Trent’anni, l’organo era ormai stabilmente radicato nella liturgia luterana. Le opere di costruttori come Arp Schnitger consolidarono la tradizione, creando strumenti magnifici che incarnavano il suono del luteranesimo barocco. Bach ereditò questa ricca tradizione, in cui l’organo era visto come uno dei più grandi doni di Dio, un elemento inseparabile della fede e del culto luterano.
La riforma della musica vocale per la liturgia. Il corale
Nel 1523 Lutero introdusse un’innovazione rivoluzionaria: i canti in lingua volgare, o corali, che permettevano la partecipazione attiva dei fedeli. Molti di questi canti erano adattamenti di melodie popolari o sacre, rendendo la musica accessibile e coinvolgente. Lutero collaborò con Johann Walter per sviluppare armonizzazioni semplici e composizioni più elaborate basate su questi corali.
Un’eredità che si può ancora percepire oggi è la convinzione di Lutero che debba esserci un equilibrio tra uno stile musicale semplice e accessibile e l’uso del volgare nel testo. Come ha affermato lui stesso: «Sia il testo che la musica, l’accentazione, la melodia e l’allegria, devono provenire dalla vera lingua madre e dalla vera voce». Lutero era certamente un compositore di talento, ma la sua vera eredità risiede nel modo in cui integrò nuovi testi nella chiesa protestante primitiva, testi che ancora oggi sono capaci di esprimere la fede.
Lutero insisteva nel cantare gli inni in modo semplice e diretto. Era particolarmente preoccupato del fatto che la musica influenzasse i giovani del suo tempo:
«Vorrei che i giovani, che in ogni caso dovrebbero e devono essere istruiti nella musica e nelle altre arti proprie, avessero a disposizione qualcosa che liberi la loro mente da canzoni lascive e sensuali, e insegni loro invece qualcosa di sano, e nel loro modo che possano essere assolti con bontà in modo gioioso, come beneficio per i giovani».
La passione di Lutero per un testo chiaro e biblicamente fondato emerge con forza:
«Abbiamo intenzione di seguire l’esempio dei profeti e degli antichi Padri della Chiesa e di raccogliere un certo numero di salmi per il popolo, affinché la parola di Dio sia mantenuta viva nei loro cuori attraverso il canto».
Tuttavia, Lutero sapeva che il potere della musica andava oltre i testi. Così incoraggiò anche un nuovo stile di partecipazione della congregazione: il corale, un canto omofonico e omoritmico, per lo più basato su un testo le cui singole sillabe non sono distese su più note diverse ma una per ciascuna nota, in forma strofica (in cui tutte le strofe sono cantate sulla stessa melodia) e a cappella, in cui l’organo fornisce solo l’intonazione.
Nel 1524, Lutero e Johann Walter pubblicarono il primo libro di inni protestanti. Sia Lutero che Walter scrissero melodie caratteristiche e cantabili, che si muovevano tra note congiunte e non richiedevano un’estensione vocale eccessiva. Lutero adattò liberamente le melodie popolari del suo tempo in tre modi.
In un primo caso, le parole vennero sostituite, ma la musica rimase. Ad esempio, Victimae paschali laudes, una sequenza pasquale latina, divenne Christ lag in Todesbanden. Un secondo modo di comporre prevedeva che le parole venissero sostituite e la musica adattata. Ad esempio, Veni redemptor gentium, un inno latino, divenne Nun komm, der Heiden Heiland. Una terza tipologia è quella in cui le parole sono state adattate e la musica presa in prestito da una fonte secolare. Ad esempio, Innsbruck, ich muss dich lassen diventò O Welt, ich muss dich lassen. Qui l’adattamento del testo è di Martin Lutero con musica basata su una melodia originale di Heinrich Isaac. La melodia corale è stata utilizzata da molti compositori tedeschi, tra cui Sebastian Knüpfer e Bach stesso.
Lutero collaborò spesso con altri per comporre e dare forma agli inni. L’importante collaborazione con Johann Walter lo portò a pubblicare le prime raccolte di musica corale protestante. Altro importante collaboratore fu il compositore Conrad Rupsch, che realizzò corali in vari stili per ogni domenica dell’anno liturgico. Justus Jonas era un compositore amico di Lutero che tradusse molti scritti del riformatore. Cinque secoli dopo la Riforma, l’eredità musicale di Lutero continua a ispirare la liturgia. La celebrazione della sua azione riformatrice, che si estese in modo significativo alla musica liturgica, rimane un tributo alla visione di una fede accessibile e condivisa.
Luca Vona, pastore evangelico, ha conseguito un Dottorato in Musicologia all’Università di Roma La Sapienza, in cotutela con la Katholieke Universiteit Leuven (Belgio) e un Dottorato in Sacra Liturgia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo.







Si rimane sempre stupiti quando argomenti vicini all’ambito strettamente liturgico vengono affrontati; lo stupore nasce dal fatto che l’approccio a questi argomenti rimane sospeso a livello meramente culturale e non ci si muove in una prospettiva di preghiera ed evangelizzazione.
Puo’ infatti anche interessare un aspetto musicale delle vicende luterane e calviniste, ma, se si vuole onestamente affrontare questa declinazione musicale della chiesa, mi sembra più urgente affrontarla riguardo alla Chiesa Cattolica, nell’ambito della quale il rapporto musica-liturgia – ripeto in un’ottica di preghiera e di evangelizzazione – e’ attualmente stato completamente spezzato.
La musica, per come viene praticata nelle case di formazione della Chiesa Cattolica e nella stragrande maggioranza delle realtà parrocchiali e non della medesima Chiesa Cattolica – sicuramente guardando all’ambito di tanti Paesi – non apporta nulla alla preghiera e all’evangelizzazione, ma costituisce esclusivamente un momento di esibizionismo ai limiti del folclorismo. Questa è la mia riflessione fondata sulla realtà circostante.
Purtroppo la soluzione è solamente una, ancorché affermare questa unicità faccia storcere molti nasi: occorre tornare alla tradizione musicale della Chiesa Cattolica, rinsaldando il legame tra musica (intesa come canto, anche accompagnato dall’organo) della preghiera liturgica, così come prescritto nei libri di pari denominazione.
Purtroppo la riforma liturgica post Concilio Vaticano II si è rivelata – gia’ nelle sue inconsistenti fondamenta e, aihme’, conseguentemente in tutti i suoi, ricorrenti e costantemente variabili, tentativi di attuazione (ammesso che vi sia) – inesistente anche sotto questo profilo e ne vediamo gli effetti.
Fortunatamente esistono realtà, occorre dirlo, che praticano la preghiera e l’evangelizzazione secondo quella che è la Tradizione, anche dei libri liturgici, della Chiesa, dove il rapporto musica-liturgia è strettamente connesso e mirabilmente efficace e ha uno splendido sviluppo sotto il profilo, appunto, della preghiera e dell’evangelizzazione.
Questa è la realtà delle cose. Ogni altra argomentazione, a me personalmente, appare priva di un serio fondamento e questa privazione e la causa dell’attuale stato del rapporto tra musica e liturgia.
Il Concilio di Trento, magistrale, lasciando i personalismi della riforma (Lutero e Calvino) rilancia il canto senza accompagnamento, a cappella secondo la più originaria tradizione cristiana. La ripresa del gregoriano nel 900 ha esteso alle comunità fino alle parrocchie questa tradizione
E ha funzionato così bene che ora il gregoriano a livello parrocchiale è praticamente sconosciuto.
E in compenso è stata fatta tabula rasa di tante tradizioni musicali locali di grande antichità, come il canto patriarchino.