
A succedere al card. Gregory alla guida della Chiesa cattolica della capitale americana sarà Robert McElroy – fino a oggi vescovo di San Diego. Nella città californiana, al confine con il Messico, McElroy ha implementato pastoralmente la visione sinodale della Chiesa proposta da papa Francesco. Particolare la sua attenzione alla questione delle migrazioni, impegnando la Chiesa locale da lui guidata in un attento servizio a difesa della dignità di ogni migrante e di accompagnamento per un pieno inserimento nel tessuto sociale della regione.
McElroy rappresenta sicuramente una delle figure di spicco, non solo dal punto di vista pastorale ma anche da quello culturale, dell’episcopato americano. Studi in scienze politiche ad Harvard, in storia americana alla Stanford University – dove, poi, nel 1989 discuteva il suo dottorato in scienze politiche.
La sua tesi di licenza in teologia su «moralità e politica estera americana» è stata pubblicata nel 1992 dalla casa editrice dell’università di Princeton. Nel 1987 ottiene il dottorato in teologia morale presso la Gregoriana di Roma.
«La decisione di papa Francesco di nominare il card. McElroy non è stata una sorpresa a Roma, dove egli è visto come il vescovo americano meglio qualificato per guidare la diocesi della capitale della Nazione in questo momento delicato della storia sia degli Stati Uniti sia del mondo. La questione delle migrazioni è diventata centrale e sono in corso guerre in Terra Santa e in Ucraina. Gli Stati Uniti sono profondamente implicati in entrambi i conflitti» (G. O’Connel, America 06/01/25).
Un prelato americano dipingeva McElroy come persona intelligente dotata di grande capacità di immaginazione, attento alla sua gente: con il dono della prudenza, ma anche con il coraggio di percorrere nuove strade.
Convinto sostenitore di una Chiesa povera per i poveri, impegnato nella pastorale dei migranti, sensibile alla dimensione sociale dell’annuncio del Vangelo e delle pratiche di vita cristiana – con McElroy papa Francesco ritaglia uno spazio significativo per la Chiesa cattolica da lui auspicata nel cuore politico dell’America.






Bravo. Non c’è dubbio che gli Stati Uniti d’America siano “coinvolti” e che il mondo cattolico grazie al nuovo arcivescovo si “ritaglia” uno spazio a Washington. Ma per fare cosa? Con un Kennedy nel governo Trump e Corte Suprema e Congresso in mano ai repubblicani e’ facile intuire che i cattolici, come sempre, baceranno la pantofola al tycoon, potente di turno. I migranti, arcivescovo permettendo, finiranno nei campi di concentramento e verranno considerati feccia umana. Lo spazio affidato all’arcivescovo dovrà’ alzare molto, ma molto molto, la voce per farsi ascoltare. E deve dire al mondo che i cattolici non sono complici dei governi americani e non lo sono mai stati. Occorre anche il pentimento per non aver mai difeso i nativi, gli “indiani” ed aver srmpre benedetto sceriffi, pistoleri, top guns e incappucciati del KKK. Questi sono i parametri per misurare quello “spazio” bergogliesco