Etty Hillesum, la memoria, “un nuovo senso delle cose”

di:

auschwitz

In questi ultimi giorni, Etty Hillesum mi ha costretto a ricordare una lettura del periodo della mia giovinezza. Si tratta del libro di Elie Wiesel, La notte[1], in cui viene narrato un tragico momento, vissuto dall’autore, nel campo di sterminio nazista di Auschwitz II-Birkenau. Racconta dell’esecuzione di due adulti e di un bambino.

Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime. Tranne che una volta.
Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro un bambino, un angelo dagli occhi tristi.
Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo copriva.
Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia.
Tre S.S. lo sostituirono.
I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.
– Viva la libertà! – gridarono i due adulti.
Il piccolo, lui, taceva.
– Dov’è il Buon Dio? Dov’è? – domandò qualcuno dietro di me.
A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.
Noi piangevamo.
Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…
Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:
– Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…

Che Dio fosse presente nel bambino morente sul patibolo era per me una prova cristologica della compagnia di Dio, che si mostra solidale con tutte le vittime della storia umana, prima e dopo il suo Venerdì Santo. Ogni vittima ha la vicinanza del Crocifisso.

Evidentemente, sapevo di essere in contraddizione con l’indicibile, drammatica esperienza teologica dell’ebreo Wiesel, che processa e condanna, forse, questo Dio, che si mostra debole e irresponsabile, abbandonando il suo popolo diletto alla crudeltà genocida del nemico. Per Wiesel rimane solo la rivolta: non c’è più HaShem e non c’è più l’Alleanza. Dio non esiste, è morto ad Auschwitz – oltre il Golgota e oltre la profezia nietzschiana – nell’assurdità della violenza e della disumanizzazione. È così che Wiesel si appropria del famoso graffito di Auschwitz: «Se c’è un dio, deve chiedermi perdono in ginocchio».

Non tutti i pensatori ebrei condividono la lettura di Wiesel della Shoah, quell’indicibile disumanità chiamata, dapprima, «Olocausto». Ad esempio, Eliezer Berkovits afferma che i sei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento avrebbero compiuto, con il loro martirio, il Kiddush HaShem, la santificazione del Nome. E ci sono casi di ebrei che, di fronte alle SS, sul punto di essere giustiziati, hanno danzato, in uno stato di esaltazione mistica, la loro indefettibile fedeltà ad HaShem.

Farsi carico della causa di Dio

Etty Hillesum, in un diverso atteggiamento mistico, senza precedenti, testimone di una santità senza alcun legame con le istituzioni religiose, va oltre la morte di Dio drammaticamente narrata da Wiesel e ci mostra un percorso spirituale da vivere in tempi bui e infernali.

Ho la forte impressione che, nelle circostanze limitate della sua vita, sia stata testimone dell’atemporale discesa di Gesù agli inferi. Non menziona il nome di Gesù nel suo diario nemmeno una volta, ma è inevitabile, per me, vederla come una testimone del mistero nascosto nell’annientamento della crocifissione. Lei vive un frammento, un riflesso, dell’Amore di Gesù nascosto sulla Croce. E va oltre il Venerdì Santo scoprendo il segreto, ancora segnato dalla Croce, del Sabato Santo, in cui l’Amore di Dio scende agli inferi e si impossessa agapicamente e definitivamente di ogni disgrazia che possa capitare ai suoi fratelli e sorelle.

Ecco una vita che si caratterizza come sequela, imitazione, bisogno impellente di farsi carico della causa di Dio. Attratta da questo Dio amorevole, si avvicina a Lui e, in questa ricerca quotidiana, nella preghiera, scopre che Dio si rivela solo attraverso la sua mediazione più umana: Dio ha bisogno del nostro aiuto.

«Ti aiuterò, Dio, a non abbandonarmi, anche se non posso garantire nulla in anticipo. Ma diventa sempre più chiaro che non puoi aiutarci, che dobbiamo aiutarti, e aiutandoti aiutiamo noi stessi. E questa è l’unica cosa che possiamo conservare in questi tempi, e anche l’unica cosa che conta: una parte di te in noi, Dio».

Etty è una donna, per sua stessa ammissione, complessa, contraddittoria, confusa, incoerente, sempre inquieta, ma coraggiosa, in cerca di definizione, capace di devozione, di responsabilità, di correre rischi mortali, di abbandono alla bellezza della vita e alla lotta contro le minacce di un tempo buio e infernale.

In breve, è l’esatto opposto delle biografie immacolate dei santi cattolici. Vicinissima a noi, generazioni di questa modernità all’imbrunire, che non possiamo nascondere dai legittimi sospetti sui nostri limiti, fragilità, pulsioni che nessuna religione può più compensare.

Discesa agli inferi

La discesa di Gesù agli inferi (greco: κατελθόντα εἰς τὰ κατώτατα, katelthonta eis ta katôtata, e, in latino, descendit ad inferos) è una dottrina e un luogo teologico, senza alcun riferimento biblico, se non per alcuni cenni nella prima Lettera di Pietro[2], presente nel Credo degli Apostoli e nel Credo Atanasiano (Quicumque vult): «Egli ha sofferto la morte per la nostra salvezza, è disceso agli inferi e il terzo giorno è risorto dai morti».

La discesa di Gesù nello Sheol è memoria dei cattolici e degli ortodossi celebrata il Sabato Santo. Ma anche Lutero in un’omelia a Torgau, nel 1533, affermò che Gesù discese agli inferi e, nella Formula di Concordia si dice: «Noi crediamo che, dopo la sepoltura, tutta la persona, Dio e uomo, discese agli inferi, vinse il diavolo, distrusse il potere degli inferi e tolse al diavolo tutto il suo potere»[3].

Ci sono teologi che interpretano la discesa di Gesù nella dimora dei morti come l’appropriazione da parte di Gesù della pienezza della morte umana, che comporta la situazione di essere morti. La vittoria definitiva del Crocifisso sulla morte, sul morire e sull’essere morto.

Un’omelia del IV secolo ci parla di questo silenzio, di questa solitudine:

«Che cosa succede oggi? Un grande silenzio regna sulla terra. Un grande silenzio e una grande solitudine. Un gran silenzio, perché il Re dorme; la terra tremò e tacque, perché il Dio fatto uomo si addormentò e svegliò quelli che avevano dormito per secoli. Dio è morto nella carne e ha risvegliato la dimora dei morti»[4].

Altri, a cominciare da Agostino, interpretano la discesa agli inferi come la liberazione dal limbo in cui erano imprigionati Adamo, i patriarchi, i profeti e Giovanni Battista.

Di recente, Benedetto XVI, che ha spesso commentato il mistero del Sabato Santo, ha detto:

«In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. È successo l’impensabile: che, cioè, l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare, e, se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità»[5].

Dio che vince l’inferno

Le omelie di Ratzinger sono evidentemente debitrici alla teologia di Von Balthasar[6] e alle visioni di Adrienne Von Speyr[7], che vedeva l’inferno come l’esperienza di aver perso Dio per sempre.

Tuttavia, troviamo nella discesa nella barbarie del lager di Etty qualcosa di inedito: le esperienze congiunturali e le letture del peccato e dell’inferno non sono una priorità, ma ciò che conta è l’intima ricerca della familiarità con Dio, che, nonostante tutto, può seminare amore. Dio che vince l’inferno con l’amore solidale della Croce. Siamo lontani dal terrore medievale, che, insistendo sulla paura, finisce per nascondere la vittoria definitiva della Resurrezione.

E siamo anche oltre l’immenso discorso teologico di Balthasar, che ci offre la «mappa» del Triduo Pasquale, oltre le esperienze mistiche di Adrienne. Siamo nella traduzione esistenziale, corporea, profetica di un frammento del Sabato Santo di Gesù di Nazareth. Ci dice che con Gesù possiamo incontrare Dio dove non potremmo mai immaginare di trovarlo e che non c’è geografia spirituale e storica in cui Lui non sia presente come Agape, sconfitta ma vittoriosa.

Etty ha trovato un metodo, uno stile spirituale inedito, per affrontare i tempi apocalittici della Shoah: l’accettazione della convivenza col male e la bellezza, tragedia e poesia, nella lotta vittoriosa dell’Amore:

«È nel mezzo dell’inferno, è nel soffitto in fiamme che guarderò i fiori, che mi prenderò cura dei fiori. È nella latrina del campo di concentramento che mi inginocchierò e pregherò, è nelle baracche più sporche, più assediate dal dolore che mi prenderò cura dei fiori».

Scelse di non salvarsi da sola e si gettò col suo popolo in quell’inferno di annientamento e sterminio. E in quell’inferno, in compagnia dell’amorevole silenzio divino, vive una mistica, che ci sorprende per la sua novità: una mistica immersa nella materialità del mondo, che contempla la bellezza del mondo, senza sfuggire alla corporeità e alle ripetizioni tragiche e cicliche della storia umana: un universo interiore libero, inattingibile e invincibile, di fronte alle potenze del mondo.

Sceglie la vicinanza agli oppressi e ai perseguitati, perché crede fermamente nella forza salvifica dell’amore, quel frammento del cuore di Dio che abita nel suo cuore e può trasformare tutti i cuori. Una gioia scandalosa in un contesto tragico, in cui sceglie di ascoltare e prendersi cura di chi soffre.

Come i gigli del campo

«Mi piacerebbe vivere come i gigli del campo. Se le persone capissero questa stagione, sarebbero in grado di imparare da essa per vivere come i gigli del campo».

Etty non era ingenua, né era priva di dubbi. Ricordo un frammento del diario in cui descrive un tragico giorno di deportazioni nel campo di Westerbork:

«Se penso alle facce della scorta armata in divisa verde, mio Dio, quelle facce! Li osservavo uno ad uno, dalla mia postazione nascosta dietro una finestra, non ho mai avuto tanta paura come per quei volti. Mi sono trovata in difficoltà con la Parola che è il tema fondamentale della mia vita: “E Dio creò l’uomo a sua immagine”. Questa Parola ha vissuto con me una mattina difficile».

Dobbiamo tornare a meditare sulle parole di Etty Hillesum e ad imitare i suoi atteggiamenti. Pensiamo, ad esempio, alla profonda riflessione che ci offre sui sopravvissuti ai campi di concentramento nazifascisti:

«Se salviamo i nostri corpi e nient’altro dai campi di prigionia, ovunque essi siano, sarà ben poco. (…) Se non possiamo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a tutti i costi – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – allora non sarà abbastanza» (Lettere, 45).

Credo che la sua esperienza, forgiata nella follia del secolo scorso, abbia oggi un ruolo fondamentale e insostituibile, perché assistiamo impotenti alla riproposizione dell’odio, delle guerre, dei genocidi e delle insensatezze che minacciano la continuità della vita stessa nel pianeta Terra.


[1] Wiesel Elie, La notte, Giuntina, Firenze, 1980, pp. 102-105.

[2] «Nel quale andò anche a predicare agli spiriti in prigione, che un tempo erano disubbidienti, mentre Dio aspettava pazientemente ai giorni di Noè…» (I Pietro 3,19-20). «Per questo motivo l’Evangelo è stato annunziato ai morti…» (I Pietro 4,6).

[3] Livro de Concórdia, As Confissões da Igreja Evangélica Lutherana, Editora Sinodal Concordia, São Leopoldo, Porto Alegre, 2006, p.654, in Internet Archive: Digital Library of Free & Borrowable.

[4] Da un’antica Omelia del grande Sabato Santo (XVIII secolo IV), Patrologia Greca (PG), Jacques-Paul Migne (PG 43.439.451.462-463)

[5] Benedetto XVI, Torino 2 maggio 2010, in occasione della visita alla Sacra Sindone.

[6] Hans Urs von Balthasar, Mysterium paschale, vol. VI Mysterium salutis, Queriniana, Brescia 1971.

[7] Hans Urs von Balthasar, Teologia della discesa agli inferi, in La missione ecclesiale di Adrienne von Speyr. Atti del II Colloquio Internazionale del pensiero cristiano, Jaca Book, Milano 1986, pp. 143-154 (orig. Theologie des Abstiegs zur Hölle, 1985).

 

Print Friendly, PDF & Email

2 Commenti

  1. Pietro 28 gennaio 2025
  2. Marco 28 gennaio 2025

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto