
Il 27 febbraio 2025, data di poco successiva quella del 15 febbraio (26° anniversario del suo arresto in Kenya da parte delle autorità turche), è stato il giorno più importante della vita di Abdullah Ocalan.
Il discorso con cui, dopo 40 anni di lotta armata, ha chiesto al suo PKK di depone le armi e rinunciare alla lotta armata ha un grande valore non solo per i curdi, per i turchi, ma per gran parte del mondo che fu ottomano. Ci si trovano anche riferimenti che intrecciano ovviamente la loro con la nostra storia. È bene leggerlo nella sua interezza per valutarlo nel modo più opportuno.
Il PKK è nato nel XX secolo — il secolo più violento della storia — nel contesto creato da due guerre mondiali, la Guerra Fredda, la repressione delle libertà e, soprattutto, la negazione dell’identità curda.
Dal punto di vista teorico, programmatico, strategico e tattico, è stato profondamente influenzato dalla realtà del sistema socialista reale del secolo scorso. Tuttavia, il crollo del socialismo reale negli anni ’90, dovuto a ragioni interne, insieme alla dissoluzione delle politiche di negazione dell’identità nel Paese e ai progressi nella libertà di espressione, hanno portato il PKK a uno stato di perdita di significato e ripetizione eccessiva. Di conseguenza, come movimenti simili, ha esaurito il proprio ciclo di vita, rendendo necessaria la sua dissoluzione.
Nel corso di una storia lunga oltre 1.000 anni, turchi e curdi hanno mantenuto un’alleanza — prevalentemente basata su una cooperazione volontaria — per preservare la loro convivenza e resistere alle potenze egemoniche.
Gli ultimi 200 anni di modernità capitalista hanno cercato di smantellare questa alleanza. Le forze coinvolte, in linea con i propri interessi di classe, hanno principalmente servito questo obiettivo. Questo processo si è accelerato con le interpretazioni assimilazioniste della Repubblica [turca]. Oggi, il nostro dovere fondamentale è riorganizzare questa fragile relazione storica in uno spirito di fratellanza, senza ignorare le fedi. L’emergere e l’ampio sostegno al PKK — la più lunga e vasta insurrezione e [il più lungo e vasto] movimento armato nella storia della Repubblica [turca] — sono derivati dalla chiusura dei canali politici democratici.
Il risultato inevitabile di una traiettoria ultranazionalista — come quello di uno Stato-nazione separato, del federalismo, dell’autonomia amministrativa o di soluzioni culturaliste — non riesce a fornire una risposta alla sociologia storica e sociale.
Il rispetto delle identità, il diritto alla libera espressione e la possibilità di organizzarsi democraticamente — permettendo a ogni segmento della società di plasmare le proprie strutture socio-economiche e politiche — possono realizzarsi solo attraverso l’esistenza di una società e di uno spazio politico democratici.
Il secondo secolo della Repubblica [turca] potrà ottenere una continuità duratura e fraterna solo se sarà coronato dalla democrazia. Non esiste un’alternativa alla democrazia per costruire e attuare un sistema. Non può esserci un’altra via. La riconciliazione democratica è il metodo fondamentale.
Anche il linguaggio di questa era di pace e società democratica deve essere sviluppato in conformità con la realtà.
Alla luce dell’attuale clima, plasmato dall’appello del signor Devlet Bahçeli, dalla volontà espressa dal signor Presidente e dagli approcci positivi di altri partiti politici nei confronti di tale appello, faccio un appello al disarmo e me ne assumo la responsabilità storica.
Così come ogni organizzazione e partito contemporaneo la cui esistenza non sia stata interrotta con la forza farebbe volontariamente, convocate il vostro congresso e prendete la decisione di integrarvi con lo Stato e la società: tutti i gruppi devono deporre le armi e il PKK deve sciogliersi.
Rivolgo i miei saluti a tutti i segmenti della società che credono nella convivenza e ascoltano il mio appello.
La parte conclusiva del testo, evidentemente, non può non colpire per i rimandi terminologici: riconciliazione, integrazione – con lo Stato e la società, chiarisce – convivenza. Ci manca solo una esplicitazione del concetto che qualifica il carattere epocale della sua allocuzione: la cittadinanza come base della fratellanza che porta alla riconciliazione democratica.
Le conseguenze di quanto detto da Ocalan andranno capite nel tempo: per la Turchia, per i curdi, ma anche per i siriani, e per i siriani curdi, che oggi vivono un’autonomia profonda da Damasco, dalla nuova Siria che si tenta di creare tra mille difficoltà.
Dare conto in questo breve testo di tutte le reazioni al suo appello non è possibile. Evidente la soddisfazione del partito filo-curdo che siede nel Parlamento turco, DEM. Ha rilievo, va detto subito, la rapidità con cui la forza armata curdo siriana, SDF, sostenuta dagli americani per la lotta all’ISIS, ma impegnata in frequenti combattimenti con i turchi, e che è impegnata in un difficile negoziato con le autorità siriane per il loro ingresso nell’esercito siriano, sul quale non c’è accordo, si è pronunciata al riguardo: “Ocalan parla al PKK non a noi”, il primo punto enunciato, pur avendo chiarito che il leader ha scritto anche a loro, i capi della SDF, auspicando un cessate il fuoco con la Turchia e una soluzione negoziata e pacifica con le autorità siriane.
Difficile dire come andranno le cose in Siria, ma oggi le posizioni intransigenti potrebbero essere indebolite. Vedremo. Molto cauto è stato il leader curdo siriano sul fronte aperto con la Turchia: “se ci sarà cessate il fuoco allora vorrà dire che i turchi smetteranno di attaccarci”, questo il suo commento.
Fermissimo nel suo pieno apprezzamento del discorso di Ocalan è stato invece il leader dei curdi iracheni, Barzani, mentre nei primi commenti i leader dell’opposizione turca sono apparsi in difficoltà, non potendo criticare Ocalan. Silenzio sin qui da parte del governo turco.
Nel PKK evidentemente ci devono essere dissapori, attese, interrogativi, consensi. Ma il discorso di Ocalan pone una prospettiva nuova alla quale la politica dovrà dare una risposta: l’urgenza di Stati plurali, del superamento dei nazionalismi malati. La sfida della cittadinanza oggi è più forte, e questa giornata resterà importante anche per altri. La riflessione posta da Erdogan riguarda profondamente molti attori. Lui ha fatto la sua scelta.





