Il filosofo Telmo Pievani, esperto di evoluzionismo, durante una puntata di Quante storie supportava le teorie esposte nel suo ultimo libro dal titolo Tutti i mondi possibili con i sorprendenti risultati degli studi sull’evoluzione umana raccolti ne Il tempo dei padri, ponderoso lavoro di ricerca della biologa e primatologa Sarah Blaffer Hrdy.
Definirei sorprendenti gli esiti delle ricerche della scienziata perché credo costituiscano una svolta epocale nel processo del generare e del tessere relazioni con i partners: anche i maschi possiedono, – e lo dimostrano i dati – un istinto naturale nella cura dei figli.

“Il naturale e sfortunato diritto di nascita”
L’espressione è di Darwin il quale, in seguito alle sue ricerche sull’evoluzione umana, aveva ipotizzato una natura “innatamente egoistica, competitiva e violenta dell’uomo” [1]. Alla base di questo c’era l’idea che il maschio si dovesse attrezzare per poter competere con altri maschi al fine di garantirsi uno status e una compagna. “Ancestrale”, invece, era l’istinto nelle femmine ad agire con prudenza per preservarsi ai fini dell’accudimento, cosa che le rendeva più empatiche e più capaci di custodia e di tenerezza.
Ricerche condotte in più di mezzo secolo con il contributo anche delle neuroscienze hanno permesso di superare gli assiomi darwiniani rispetto alla divisione dei ruoli fra i sessi e di documentare che la vicinanza dei maschi alle partners e ai piccoli hanno sviluppato in loro gli stessi ormoni della cura propri delle madri (prolattina e ossitocina) e diminuito il testosterone, l’ormone dell’aggressività.
Di qui reali “speranze sulle possibilità del genere umano” di poter raggiungere la vera parità tra i sessi che – come dice S. de Beauvoir – è possibile solo se anche i padri incominciano a prendersi cura della prole.
Antropologi e psicologi sanno da tempo che la prossimità alle femmine e ai piccoli rende i maschi meno bellicosi e violenti – studi sugli scimpanzè del Pleistocene confermano in loro attitudini alla socialità, interesse per il giudizio della comunità sui propri comportamenti e desiderio di cooperare nella gestione familiare.
Nel XXI secolo, dopo secoli di sudditanza delle figure femminili al dominio maschile in tutti i campi, una serie di convergenze – fra cui l’incremento del lavoro femminile – ha indotto anche i padri a dedicare più tempo alla prole, innescando in loro quel processo di femminilizzazione, ben rilevato dalle ricercatrici donne nei loro studi.
I nuovi padri
L’ambiente e la cultura nella quale la scienziata Sarah Blaffer Hrdy era cresciuta e si era formata l’avevano indotta a trovare normale che la cura della prole fosse di pertinenza delle donne, in quanto “biologicamente predisposte”. Fu con stupore misto a gioia che, nel 2014, le capitò di osservare con quanta tenerezza il genero accudisse il suo primogenito fin dai primi giorni di vita.
In seguito a quella “meravigliosa visione” la biologa iniziò ad approfondire le sue ricerche e a scoprire già presente in letteratura che anche i padri potevano essere affettuosi con i figli e nello stesso tempo “veri uomini”.
La pubblicazione di ricerche svolte fra i raccoglitori dell’Africa centrale confermavano queste ipotesi: presso alcune tribù i padri trascorrevano molto tempo con i figli e manifestavano nei loro confronti una particolare tenerezza.
Nonostante la mentalità patriarcale – dura a morire – facesse ancora resistenza, sostenendo che la “fluidità di genere” era un “crimine contro l’umanità” [2], nel XXI secolo, anche grazie alle conquiste femministe e all’inserimento delle donne in posti di responsabilità, tutta una normativa si sviluppava a favore della riduzione di orari di lavoro per i padri e di congedi di paternità.
L’evoluzione del diritto
Nelle società WEIRD [3] (XIX secolo) alla pratica del “patrilocale”, che prevedeva la residenza dei figli maschi con mogli e prole nella casa del padre, si sostituisce il modello “neolocale”, destinato a famiglie unifamiliari, all’interno del quale le cure “allomaterne” non erano più prestate da figure con legami di parentela ma dalla servitù.
Tuttavia in queste nuove realtà, più svincolate dalla patrilinearità, la dominanza del maschio è ancora forte, a partire dal diritto all’eredità e dal fatto che figli e mogli erano considerati proprietà del capofamiglia.
La consanguineità, poi, trasformò radicalmente il modo dei maschi di stare con la prole. Se i cacciatori/raccoglitori del Pleistocene, coabitando con femmine e piccoli, erano protettivi indipendentemente dal legame di parentela, gli agricoltori/ allevatori del Neolitico, più interessati all’accumulo dei beni, trascuravano ogni forma di accudimento, atteggiamento rimasto invariato fino alla scoperta della paternità naturale che fece del padre la figura deputata al mantenimento, senza alcuna preoccupazione per la cura della prole.
Quali modificazioni, dunque, di carattere giuridico, economico, sociale e tecnologico hanno fatto sì che, nel XXI secolo, un padre come il genero della scrittrice, accudisse così amorevolmente il suo primogenito? Fino alla fine del XIX i documenti relativi alle dispute legali fanno rilevare che, durante l’infanzia, la cura dei figli era affidata alle madri, accudenti “per natura”, e protratta fino all’età in cui il bambino avesse bisogno della “disciplina del padre”.
Solo nel XX secolo i tribunali si concentrano sull’”interesse dei minori”; ma ancora nel 2005 – in risposta alla richiesta di coppie gay di poter adottare – dai giudici della Corte Suprema viene emessa la sentenza secondo cui “la struttura ottimale in cui crescere i figli è composta da un padre e una madre sposati fra di loro”, pronunciamento che ribadisce come nulla sia cambiato rispetto al “paradigma del padre – cacciatore- capofamiglia” [4].
Negli anni successivi, grazie agli studi in ambito psicologico che dimostrano che un bambino cresce felice anche con coppie dello stesso sesso, le valutazioni legali spostano l’attenzione sul significato di “essere padre”. Conquista di nuovo vanificata dal sequenziamento del DNA che induce a sentenziare non in favore di chi, in sostituzione delle figure parentali, si è caricato dell’onere dell’accudimento, ma del padre naturale a cui viene riconosciuto il diritto di riprendersi il figlio.
Nel 2019 gli psicologi documentano che anche gli uomini possono essere premurosi e affettuosi, che possiedono “l’innata capacità di legarsi ai figli” e che “il cervello di un padre cambia quando si prende cura del proprio bambino”. Insieme a ciò una nuova idea di “virilità” si fa strada, “più gentile e materna”, e contestualmente si va, via via, pareggiando con le madri il tempo che i padri dedicano alla cura dei figli.
Il caso e la necessità… affinché “le stelle si allineassero”
Il “caso” ha fatto sì che un cambio di clima verificatosi nel Pleistocene, inducesse le grandi scimmie ad uscire dalle foreste e ad adattarsi all’ambiente più arido e meno ricco di selvaggina della savana; la “necessità” ha spinto i piccoli degli ominidi ad attirare l’attenzione degli adulti per essere nutriti, dando avvio al processo di “selezione sociale” di maschi collaborativi e generosi che, in cambio, ricevevano riconoscimento e fiducia.
La selezione naturale darwiniana subì così una variazione in senso sociale, favorendo anche nei cacciatori-raccoglitori la prossimità coi piccoli e le madri, dal cui accoppiamento ricevevano la garanzia della consanguineità.
Tutto ciò, secondo le recenti scoperte scientifiche, generò trasformazioni a livello neuronale e sviluppò parti del cervello che predispose a cure “allomaterne” i padri e tutti i membri delle comunità.
Ma fu una particolare congiuntura di eventi casuali e di stati di necessità che, combinatisi con circostanze storiche (femminismo, diritti) e innovazioni culturali (fecondazione artificiale, aborto, lattazione artificiale, congedi etc) a fare sì che “il diritto di nascita evolutivo” dell’uomo si realizzasse – che “le stelle si allineassero” appunto – affinché nel XXI secolo un giovane padre trovasse del tutto naturale prendersi cura del proprio figlio.
Sarah Blaffer Hrdy, Il tempo dei padri, Bollati Boringhieri, Torino 2024
[1] Sarah Blaffer Hrdy, Il tempo dei padri, Bollati Boringhieri, Torino 2024, 13.
[2] Ivi, 38.
[3] WEIRD: acronimo che, attribuito alla società, in italiano significa occidentale, istruita, industrializzata, ricca, democratica.
[4] Ivi, 324ss.







Una prospettiva fuori dal coro assordante ché assegna ai generi i rigidi ruoli di vittima e carnefice, creando una trappola che imprigiona entrambi n una gabbia di scuse, colore, condanna e liberazione utile solo a sollevare le une e gli altri da ogni responsabilità nella costruzione di individui, relazioni e società più serene, nelle quali si possa crescere per realizzarsi e realizzare, anziché dover scegliere tra salire sulla croce o piantarvi i chiodi.
La vicinanza delle mamme ai papà, il fatto che le donne indossano i pantaloni e occupano posti un tempo riservati ai soli uomini comporterà un travaso anche del maschile nel femminile?